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sabato 14 novembre 2020

In rete i video choc con la disperazione della mamma del piccolo affogato nel Mediterraneo e il morto trovato nel bagno dell'ospedale. I commenti di don Patriciello e don La Magra


Video choc con il neonato affogato e il morto nel bagno di ospedale. 
Don Patriciello: “Utili se scalfiscono le nostre coscienze addormentate”

"Vedere con gli occhi del cuore la sofferenza degli altri, mettendosi nei loro panni": è l'invito che viene da don Maurizio Patriciello, dopo le ennesime tragedie di barconi affondati e migranti morti, anche neonati, e i drammi che si vivono quotidianamente negli ospedali intasati per il gran numero di pazienti Covid. E se, per rispetto, non è bene diffondere sui social video che attestano tutto questo dolore, non è sbagliato vederli per sapere la verità ed entrare in empatia con l'altro



Due video drammatici stanno facendo il giro del web: quello rilanciato dalla ong Open Arms, con il grido disperato della madre del bimbo morto nel naufragio dell’11 novembre, nel Mediterraneo – “Ho perso mio figlio”, “Dov’è mio figlio?” -, e quello girato nel Pronto Soccorso dell’Ospedale Cardarelli di Napoli, intasato per l’afflusso di pazienti sospetti Covid, con un uomo deceduto nel bagno. I barconi che affondano ogni giorno, cancellando vite umane in fuga dall’orrore della Libia, e la disperazione di malati alle prese con un male che altrettanto quotidianamente semina morte e lascia ferite nei familiari di chi non ce la fa. Ne parliamo con don Maurizio Patriciello, parroco di Caivano.

Quel grido di dolore della mamma del neonato, affogato nelle acque del Mediterraneo, riesce ancora a scuotere le coscienze?

Gli uomini fanno l’abitudine a tutto. Basti pensare come abbiamo vissuto i primi mesi della pandemia e come stiamo vivendo adesso, eppure la situazione è molto più grave in queste settimane ma ci abbiamo fatto l’abitudine: a marzo e aprile eravamo terrorizzati e chiusi in casa, adesso è difficile far capire alle persone la necessità di essere più responsabili. Lo stesso avviene per le tragedie del mare:

sembra quasi che il numero dei morti non ci facciano più impressione, 
se leggiamo che sono annegate 10 persone o 110 è la stessa cosa.

Allora, se non ci mettiamo nei panni degli altri, l’egoismo che è dentro di noi prende il sopravvento. Pensiamo a cosa significa per una mamma vedere scomparire tra le onde il figlio, inghiottito dal mare, io non riesco neanche a immaginare quel dolore. Posso pensare che il primo pensiero che le venga è di gettarsi dalla barca per annegare assieme a lui. La disperazione di quella mamma mi richiama a quando ero un giovane infermiere professionale e ci fu il terremoto nell’Irpinia, nel 1980: io corsi subito là per dare una mano. Restai impressionato dai vivi sotto le macerie che chiedevano aiuto ma noi non avevamo i mezzi per tirarli fuori e pian piano quelle voci si spegnevano. I parenti che si erano salvati sembravano impazziti dal dolore e si mettevano a scavare con le mani con il rischio di restare anche loro sotto le macerie. Queste sono le scene più belle della grandezza dell’amore dell’essere umano quando mette a rischio la sua vita per l’altro.

Molti faticano ancora a vedere nei migranti dei fratelli…

Il Papa insiste che dobbiamo aprire il cuore ai migranti, ma anche tanti cattolici non comprendono, però

se chiudiamo il cuore possiamo pure sigillare le nostre chiese e mettere un cartello con scritto “Chiuso”,

riferito non solo alla porta della chiesa ma anche a quella del nostro cuore. Un conto sono le questioni politiche - chi viene in Italia pensa di approdare in Europa perché le nostre coste sono le più vicine, ma l’Europa per troppo tempo ha fatto finta di non capire -, un conto è il discorso cristiano. La Chiesa non lascia mai da solo nessuno. Il Papa ci ricorda quanto ci dice Gesù chiaramente, nel capitolo 25 del Vangelo di Matteo: “Ero forestiero e mi avete ospitato, ero nudo e mi avete vestito, ero ammalato e mi avete visitato”. Tutto questo ci richiama le condizioni dei nostri fratelli migranti. Il Signore dia a questa povera mamma che ha visto sparire il figlio tra i flutti la grazia di incontrare, nella destinazione dove arriverà, persone dal cuore grande, che le apriranno le porte della casa e della famiglia, avendo il coraggio di dire: “Abbiamo ospitato Gesù tra noi”.

Secondo lei è stato giusto diffondere il video con l’urlo disperato della mamma?

È un discorso simile a quello che possiamo fare per il video girato al Cardarelli con l’uomo morto in bagno e la condizione terribile in cui stavano gli altri pazienti. Io ho lavorato per dieci anni in ospedale, conosco bene le difficoltà e nessuno pensa di accusare i sanitari, anzi dobbiamo ringraziarli per tutto quello che stanno facendo. Il problema sono le strutture e i numeri: cosa possono fare medici e infermieri quando arrivano continuamente malati? E, ancora, il problema è che abbiamo vissuto un’estate da irresponsabili, abbiamo pensato ai banchi con le rotelle o ai monopattini, mentre sarebbe bastato vedere quello che successe con la Spagnola e la sua seconda ondata che fece oltre 50 milioni di morti… Allora, l’uomo che ha fatto la ripresa al Cardarelli era un uomo esasperato. Io non l’ho pubblicato sui miei profili social perché sarebbe stato irrispettoso per quella persona deceduta nel bagno. Ma dobbiamo dire anche con molta onestà: noi non possiamo andare nei reparti Covid né sappiamo cosa succede veramente. Quell’uomo attraverso il video ci ha fatto vedere nel Pronto Soccorso del Cardarelli in che condizioni si sta, senza voler scaricare la croce su nessuno. Lo stesso possiamo dire del video della mamma che ha perso il bimbo tra le onde: è utile se scalfisce le nostre coscienze addormentate. E chi salva una vita salva il mondo intero.

Ma allora dovremmo guardare o no simili video?

Io ho un caro confratello, don Fortunato Di Noto, presidente di Meter. Quando sono andato a trovarlo ad Avola gli ho chiesto di vedere i video delle violenze sui neonati perché non riuscivo a capacitarmi come fosse possibile. Sono video orripilanti. Ma penso che dovremmo vedere questi video, anche spietati, anche se non in televisione, perché un conto è leggere certe vicende dolorose e un altro è vederle con i propri occhi. Questo ci aiuta a non fermarci a numeri, ma a considerare i volti di coloro che soffrono. Quando Gesù racconta la parabola del Buon Samaritano sottolinea che al contrario degli altri che passano oltre, lui vede l’uomo assalito dai briganti e ne ha compassione. Come diceva don Pino Puglisi, se ognuno facesse qualcosa, allora si può fare molto. Ecco, chiedo al Signore la grazia di essere strabico: un occhio per guardare l’immediato, il mio vicino di casa, il mio parente; e l’altro occhio per spaziare per il mondo intero sull’umanità perché ogni uomo è mio fratello.
(fonte: Sir, articolo di Gigliola Alfaro 13/11/2020)

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Il dramma del piccolo Joseph. 
Don La Magra (parroco Lampedusa): “Questa morte non è come le altre”

Don Carmelo La Magra è il parroco di Lampedusa e racconta con la voce rotta dalla commozione il dramma della morte del piccolo Joseph, il bimbo di appena sei mesi che veniva dalla Guinea. Tra i morti del naufragio dell'11 novembre nel Mediterraneo centrale, insieme a centinaia di corpi in mare, c'è anche lui che viaggiava con la sua mamma, sopravvissuta. “La sua morte di questo piccolo e il grido disperato della sua giovane mamma rappresentano un macigno sulla nostra cultura occidentale – dice – ma se tutto si fermerà alla commozione di questi giorni avremo fallito un’altra volta”.



“Per me, la morte di questo piccolo non è come le altre”. Don Carmelo La Magra, parroco di Lampedusa racconta così, con la voce rotta dalla commozione, il dramma della morte del piccolo Joseph, il bimbo di appena sei mesi che veniva dalla Guinea. Tra i morti del naufragio dell’11 novembre nel Mediterraneo centrale, insieme a centinaia di corpi in mare, c’è anche lui che viaggiava con la sua mamma, sopravvissuta. “La sua morte di questo piccolo e il grido disperato della sua giovane mamma rappresentano un macigno sulla nostra cultura occidentale – dice – ma se tutto si fermerà alla commozione di questi giorni avremo fallito un’altra volta”.

Don Carmelo, come sta, come vanno le cose sull’isola?

Bene, compatibilmente con quanto successo e quanto sta succedendo, sto bene! Stiamo un po’ come sempre. Non è una novità per l’isola affrontare eventi di questo tipo e di questa portata. Detto questo viviamo una tristezza immensa per i tanti morti, per le tante persone che muoiono nel tentativo di raggiungere le nostre coste. E comunque, a parte questo, l’accoglienza continua come sempre.

Parliamo del piccolo Joseph, sei mesi, deceduto in mare. Anzitutto come sta la mamma?

La mamma fisicamente sta bene, ma psicologicamente è devastata, distrutta perché sa che perso il suo piccolo, sa che ha perso tutto. Per ora è ospite dell’Hot Spot in attesa di essere trasferita come gli altri. Volutamente non l’abbiamo ancora incontrata. Abbiamo preferito lasciarla il più possibile tranquilla e in pace seguita da medici e psicologi. Sicuramente sarà con noi quando ci riuniremo per la sepoltura del piccolo.

Quando avverrà e dove sarà sepolto?

Aspettiamo che l’iter burocratico sia completato. Poi procederemo alla sepoltura che avverrà qui, nel nostro cimitero, che di migranti, spesso senza nome, ne ospita già tanti.

Cosa c’è di nuovo, se c’è qualcosa di nuovo, nella morte di questo bimbo

Non faccio assolutamente nessuna disparità, ma la morte di questo piccolo per me non è come le altre.

Questo bambino era nato in Libia e come tanti suoi coetanei in diverse parti del mondo, non ha conosciuto la libertà, la pace. In altre parole non ha mai fatto il bambino, cioè non ha mai avuto la possibilità di vivere in un Paese dove i diritti dei più piccoli sono garantiti e sacri. E forse, in un certo senso, questi diritti non siamo riuscirti garantirli neanche noi, vittime come siamo, della nostra incapacità di capire che i flussi migratori, quando nascono dalla fame e dalla povertà sono inarrestabili. Chi scappa da guerra e persecuzioni non si fermerà di fronte all’ignoto e alle difficoltà. Ecco, credo che garantire vie sicure di arrivo come i corridoi umanitari, avrebbe salvato questo bambino. La sua morte è un macigno sulla nostra cultura occidentale, democratica e cristiana.

Il grido della mamma ha fatto il giro del mondo.

Quel grido è un peso grande. Ricordo che papa Francesco, quando venne a Lampedusa, volle leggere il Vangelo della strage degli innocenti dove si ricorda che: “Rachele piange i suoi figli che non ci sono più”. Ecco questa donna incarna Rachele. Il suo grido è il grido di ogni mamma che perde il figlio e con lui qualsiasi speranza nel futuro. Questa mamma è giovanissima ma è come se fosse morta anche lei col suo piccolo che rappresentava la sua speranza, il suo futuro che iniziava a crescere. Il grido di questa giovane donna pesa sulle nostre coscienze, ma se tutto si fermerà alla commozione di questi giorni avremo fallito un’altra volta. Quel grido deve tradursi in scelte concrete nel fare il bene dei poveri e degli emarginati, come ci ricorda continuamente il Papa.

Dalla sua visita a Lampedusa papa Francesco è sempre vicino a voi tutti, alla vostra comunità.

Sappiamo che il Papa ci è sempre vicino e sappiamo per certo che possiamo contare sulla sua preghiera e sulla sua vicinanza. La sua è una delle poche voci che in questo momento ci danno il coraggio e la speranza per andare avanti.

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QUEL VIDEO ORRIPILANTE CHE SMASCHERA LA SANITÀ CAMPANA

Sui siti e nei social circola un agghiacciante video del pronto soccorso dell'ospedale Cardarelli di Napoli, girato nel momento del ritrovamento di un cadavere in uno dei bagni. Il commento di don Maurizio Patriciello


Circola sui siti e sui social un video choc dall'ospedale Cardarelli di Napoli: si vede un cadavere sul pavimento del bagno del pronto soccorso, la telecamera allarga poi il campo sugli altri pazienti. L'ospedale ha diramato una nota: "Un paziente ricoverato nell'area di Area Sospetti del pronto soccorso, con probabile infezione da Covid-19 e per questo già in terapia, è stato trovato privo di vita nel bagno. A ritrovare il corpo è stato il personale dell'ospedale. A pochi minuti dal decesso ha iniziato a circolare in rete un video che mostra il corpo dell'uomo, girato approfittando dell'allontanamento dei soccorritori andati a prendere una lettiga sulla quale adagiare il corpo. La direzione sanitaria ha doverosamente avviato ogni indagine necessaria". 

Il commento di don Maurizio Patriciello, parroco di Caivano.

Abbiamo paura. Ci sentiamo abbandonati a noi stessi. Smarriti tra le tante – troppe – voci contrastanti di politici e scienziati. Non parteggiamo per nessuno, non andiamo alla ricerca del consenso, non facciamo campagna elettorale; siamo attenti a eseguire gli ordini che ci vengono impartiti. Ma abbiamo paura. Ci viene detto di non intasare gli ospedali, di rimanere a casa quando i primi sintomi del contagio si fossero manifestati. Abbiamo obbedito, ci siamo ammalati, abbiamo telefonato per il tampone, ma sono passati ore, giorni, prima di avere un minimo riscontro. I medici curanti – cui va la nostra riconoscenza - sono oberati di lavoro, la terapia la prescrivono telefonicamente. Trovare un infermiere per un’ iniezione endovenosa, però, è un’impresa. Mercoledì sera un video inizia a girare sui social.

Una scena orripilante viene ripresa da qualcuno con un telefonino. Nel bagno del Pronto Soccorso del Cardarelli, importante ospedale di Napoli, un uomo giace morto, nel bagno; mentre altri pazienti, abbandonati a se stessi, versano in condizioni pietose. Uno stato di abbandono che impressiona anche i più cinici. L’opinione pubblica, orripilata dalla crudeltà del filmato si chiede se era giusto o meno pubblicare il video. No, non lo era, per rispetto alla persona deceduta e dei suoi cari. Intanto quel video ha smascherato le tante menzogne che vengono dette e ripetute sulla Sanità in Campania. Abbiamo paura. Chiediamo aiuto. Ci vengano, per favore, risparmiate i soliti, penosi, scaricabarile tra le varie istituzioni.