Lampada ai miei passi
A me basterà avere un cuore in ascolto, ravvivarlo e
uscire correndo, incontro al suo abbraccio.
I commenti di p. Ermes al Vangelo della domenica sono due:
- il primo per gli amici dei social
- il secondo pubblicato su Avvenire
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l’olio; le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono. A mezzanotte si alzò un grido: “Ecco lo sposo! Andategli incontro!”. Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. […] Matteo 25,1-13
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A me basterà avere un cuore in ascolto, ravvivarlo e uscire correndo, incontro al suo abbraccio.
Lampada ai miei passi
E’ bello questo racconto, è bello un Regno simile a dieci ragazze che sfidano la notte, armate solo di un po’ di luce, di quasi niente. Dieci piccole luci nel buio, gente coraggiosa che si mette per strada e osa sfidare la notte e il ritardo del sogno; e che ha l’attesa nel cuore, perché aspetta qualcuno, un po’ d’amore dalla vita, lo splendore di un abbraccio in fondo alla nebbia.
Nel dettaglio cinque ragazze sono sagge, sono custodi di luce perché vedono lontano, vedono oltre; cinque sono stolte, hanno una vita vuota e superficiale, presto spenta.
E qui cominciano i problemi. Tutti i protagonisti fanno brutta figura: lo sposo con il suo ritardo esagerato che mette in crisi tutte le ragazze; le cinque stolte che non hanno pensato all’olio di riserva; le sagge che si rifiutano di condividere; e quello che chiude la porta della casa in festa, cosa che è contro l’usanza, perché tutto il paese partecipava all’evento delle nozze.
Gesù usa tutte le incongruenze possibili per provocare e rendere attento l’uditorio.
Il punto di svolta del racconto è un grido. Che rivela non tanto la mancata vigilanza (tutte si addormentano, sagge e stolte, tutte ugualmente stanche) ma lo spegnersi delle torce: “dateci un po’ del vostro olio perché le nostre lampade si spengono, perché senza luce non è vita”.
La risposta è lapidaria: no, perché non venga a mancare a tutte. Andate a comprarlo.
Tutto sembra oscurare l’atmosfera gioiosa della festa, ma il senso profondo di queste parole è un richiamo alla responsabilità: un altro non può amare al posto mio, essere buono o onesto al posto mio, desiderare Dio per me. Se io non sono protagonista di me stesso, chi lo sarà?
Una parabola difficile che si chiude con un esito duro: “Non vi (ri)conosco!”, e non potrebbe essere diversamente, perché lui è luce, luce pura, e gli spenti non sa chi siano.
Parabola esigente e consolante.
Gesù non spiega che cosa sia l’olio delle lampade. Sappiamo però che ha a che fare con la luce e col fuoco: in fondo, è saper bruciare per qualcosa o per Qualcuno. Saper bruciare per un’attesa.
L’alternativa centrale è tra vivere accesi o vivere spenti.
Tutte si addormentano, ed è la nostra storia: tutti ci siamo stancati, forse abbiamo mollato.
Dio non ci coglie in flagrante, è una voce che ci scuote, ogni volta, anche nel buio più fitto, per mille strade intricate e, nel momento più nero, qualcosa, ci ha risvegliato.
La nostra vera forza sta nella certezza che la voce di Dio verrà. È in quella voce, che non mancherà; che riuscirà a ridestare da tutti gli sconforti; che mi rialza dicendo che di me non è stanca, che mi sostiene nella paura; che disegna un mondo colmo di incontri e di luci.
A me basterà avere un cuore in ascolto, ravvivarlo come una lampada e uscire correndo, incontro al suo abbraccio.