OLTRE LA PORTA
Entriamo nel tempo della speranza, disarmato stato di grazia che fa volare. Perché attendere è il futuro semplice del verbo amare..
I commenti di p. Ermes al Vangelo della domenica sono due:
- il primo per gli amici dei social
- il secondo pubblicato su Avvenire
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare. Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati. Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!». Marco 13, 33-37
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Entriamo nel tempo della speranza, disarmato stato di grazia che fa volare. Perché attendere è il futuro semplice del verbo amare.
OLTRE LA PORTA
Prima domenica di avvento: ricomincia il ciclo dell’anno liturgico come una scossa, un bagliore di futuro dentro il giro lento dei giorni sempre uguali. A ricordarci che la realtà non è solo questa che si vede, ma che il suo segreto è oltre noi, oltre la nostra porta.
E’ Isaia ad aprire le pagine di questi giorni, come un maestro d’attesa e desiderio. E con lui, sono le madri ad essere le grandi esperte della trepidazione nell’attesa, nell’attesa disarmata. Disarmato stato di grazia che fa volare. Perché attendere è il futuro semplice del verbo amare.
Entriamo nel tempo della speranza, tempo in cui tutto si fa vicino: Dio a noi, noi agli altri, io a me stesso. Dove, oggi più che mai, sappiamo cosa sia davvero urgente: sentiamo forte il bisogno di abbreviare distanze, l’urgenza impellente di tracciare cammini di prossimità, la necessità imperante di vicinanza e relazione. Sono realtà che davamo per scontate, sparite come un furto nella notte, che ci mancano con una fame che non si placa.
Nel Vangelo il padrone se ne va e lascia tutto in mano ai servi. Come custodire fra le mie povere mani i beni di Dio? Il testo propone due atteggiamenti: fate attenzione e vegliate, due parole che spingono forte verso qualcosa e Qualcuno, che è già in viaggio verso me.
Io voglio una vita attenta a tutto ciò che sale dalla terra, e a tutti gli avventi del mondo. Attenta alle parole e ai silenzi degli altri, alle lacrime, alla profezia; alle domande mute e alla ricchezza dei loro doni. In ascolto dei minimi movimenti nella porzione di realtà in cui vivo, e dei grandi sommovimenti della storia. Attenta al dolore sacro di questo pianeta barbaro e magnifico, alla sua bellezza, all’acqua, all’aria, ai germogli piccoli.
Il secondo verbo: vegliate. E’ un dovere vegliare sui nostri ragazzi puliti, contro una vita sonnolenta, contro l’ottundimento del pensare e del sentire, contro il lasciarsi andare alla mentalità corrente.
Vegliare perché non è tutto qui, perché viene una pienezza che è ancora embrione, piccolo seme dal volto incerto. Vegliare perché c’è una prospettiva, una direzione, e oltre, un approdo. Spiare il lento emergere dell’alba sul muro della notte, perché il presente non basta a nessuno.
Vegliare su tutto ciò che nasce, sui primi passi della pace, sul respiro della luce, sui vagiti della vita.
Allora è sempre tempo d’Avvento, e ogni distanza si accorcia solo se vivo con attenzione, in vigile ascolto.
Ma tu ritorna, Signore. Per amore! Se tu squarci i cieli e scendi su noi, non ci troverai addormentati, non finiremo come foglie avvizzite portate dal vento!
E’ sempre tempo di risvegliare mente e cuore, così da non arrendersi al preteso primato della notte, così da non dissipare bellezza, e non peccare mai contro la speranza.