La forza dell'amore:
in piedi per ore sul tetto della sua auto per salutare dalla finestra la madre in ospedale per Covid
Ospedale Valduce di Como, un uomo che abita lì di fronte assiste alla scena e la fotografa: "Ho ascoltato le telefonate con gli infermieri che le garantivano che avrebbero avvicinato sua madre alla finestra, così quella donna è stata lì per vederla"
Foto Fb/Salvatore Amura
Una donna in piedi sul tettuccio della propria auto, con gli occhi puntati sulla finestra dietro cui è ricoverata sua madre malata di Covid: la scena è stata fotografata fuori dall'ospedale Valduce di Como da Salvatore Amura, che ha deciso di condividere lo scatto su Facebook, nella convinzione che un'immagine del genere possa descrivere meglio di mille parole la situazione in cui si trovano migliaia di famiglie italiane.
"Abito proprio accanto all'ospedale e in questi mesi io, mia moglie e i miei figli siamo stati nostro malgrado testimoni di tanti episodi simili, con parenti e amici in paziente attesa per ore nella speranza di ricevere notizie e rassicurazioni sui propri cari - racconta - La potenza di quella scena però mi ha colpito in modo particolare, perché fotografa perfettamente quello che stiamo vivendo".
Ha deciso di scattare quella fotografia spinto dalla costanza e determinazione della donna: "Sono uscito verso le 10 del mattino per fare delle commissioni e lei era già lì con il marito. Parlava al telefono con gli infermieri dell'ospedale, in vivavoce, e non ho potuto fare a meno di sentire che le garantivano che avrebbero cercato di avvicinare sua madre alla finestra per fargliela salutare - continua Amura - Poi sono rientrato in casa intorno all'ora di pranzo e lei era sempre lì di fronte, senza darsi per vinta. Nel pomeriggio sono dovuto uscire nuovamente e l'ho vista in piedi sull'auto, mentre il marito cercava di indicarle qualcosa al di là della finestra, dal marciapiede di fronte".
Lo scatto è stato realizzato intorno alle 17.30, il che significa che la coppia ha trascorso quasi tutta la giornata fuori da quella finestra: volevano a ogni costo che la donna ricoverata fosse consapevole della presenza di sua figlia a pochi metri di distanza. "In alcuni dei commenti postati su Facebook la gente si chiede perché non siano ricorsi alla videochiamata, ma il tema non è questo - prosegue l'autore dello scatto - Ho vissuto sulla mia pelle una situazione molto simile nel primo lockdown: a marzo entrambi i miei genitori sono stati ricoverati per Covid, rimanendo in ospedale per mesi prima di migliorare abbastanza da essere dimessi. Il Valduce, come tanti altri ospedali, garantisce il servizio di aggiornamento quotidiano ai familiari e di videochiamata quando possibile, ma la vicinanza fisica è ovviamente un'altra cosa".
L'immagine di una figlia in piedi sul tettuccio di un'auto solo per strappare uno sguardo o un saluto da lontano rappresenta per una madre "qualcosa che nessuna tecnologia, per quanto avanzata, potrà mai sostituire - conclude Amura - Non so chi sia quella donna, ma in quel momento mi è apparsa come un simbolo di una fase della nostra storia che tutti speriamo possa concludersi al più presto".
(fonte: Repubblica, articolo di Lucia Landoni 23/11/2020)
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La donna sul tetto dell'auto,
icona di un tempo di dolore
... Di tutta la drammaticità del Covid, ciò che è più insostenibile è il distacco dai propri cari, che subiscono i ricoverati. Uomini e donne spesso anziani, di colpo separati dal compagno, da figli e nipoti; e dalla casa in cui vivono da sempre, da ogni piccola cosa cara. Arriva un’ambulanza e gli infermieri, il volto nascosto dalle mascherine, portano via il malato così com’è, senza un libro, una foto dei suoi, senza niente. I portelloni della lettiga si chiudono sulle facce dei familiari, e potrebbe essere, e talvolta è, per sempre.
È questa cesura brutale che lascia attoniti, perché non si è mai morti così, da noi; sempre è stato lasciato quel tempo per stare accanto a un malato grave o moribondo, per stringergli una mano – il tempo perché, magari, un figlio con cui non ci si parlava da anni facesse infine ritorno. Tempo prezioso di riconciliazione e perdono, tempo che vale oro. Ora, nemmeno più un minuto: il distacco può fare al malato anche una paura maggiore della morte. E in chi resta, impotente, a guardare un’ambulanza che si allontana con la sirena accesa, che strappo: come ti portassero via un pezzo di cuore. Sapere, poi, dello smarrimento di tua madre o tuo marito, laggiù, soli. Fioche la voce, al telefono; poi, un mattino il cellulare «è irraggiungibile », dice una voce registrata. In quanti, dei parenti dei cinquantamila italiani che sono morti e degli altri, ricoverati a lungo in condizioni gravi, hanno sperimentato questa tagliente, incredibile separazione. L’insopportabile lontananza da chi ci è caro, e sta soffrendo o morendo, solo. Il gesto della ragazza di Como, in piedi su un’auto per vedere la madre ricoverata, allora è un’icona di questo tempo di dolore. Ma non è unico.
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Quanti altri, invece, se ne sono andati soli. Non si potrà fare proprio niente, viene da chiedersi, se i ricoveri nelle terapie intensive diminuiranno, per dare ai malati almeno un saluto da lontano? Già in un incrocio di sguardi, in certi istanti, quante cose ci si possono dire, e quanto valore hanno. L’annichilente strappo dai propri affetti in cui oggi in Italia muoiono centinaia e centinaia di persone al giorno, è qualcosa che mai avremmo immaginato.
Qualcosa che genera un’istintiva ribellione: perché è intollerabile andarsene così, senza neanche potersi salutare. I più si arrendono alla necessità, e soffrono in silenzio. Qualcuno invece, non sentendo ragione, con la limpida ostinazione di un bambino si ingegna: sale sul tetto di un’auto e aspetta, davanti a un ospedale; o prende la fisarmonica, e nel cortile di un ospedale suona sotto alla finestra della sua donna – come si faceva, un tempo, la serenata alla fidanzata.
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La ragazza sull’auto, l’alpino con la fisarmonica sotto alla finestra della sua sposa ci commuovono perché ci ricordano l’essenziale: che viviamo per l’altro, per volere bene – e che l’amore vero, è per sempre.