Didattica e fede ai tempi della pandemia.
Il racconto di Civiltà Cattolica
Un articolo a firma di padre Antonio Spadaro e Andrea Casavecchia, che parte da uno studio del Censis intitolato “Stress test Italia. I soggetti dell’Italia che c’è e il loro fronteggiamento della crisi”, mette in parallelo le difficoltà della scuola in tempo di pandemia e l’esigenza di spiritualità delle persone
Un articolo di padre Antonio Spadaro e Andrea Casavecchia sul nuovo numero de La Civiltà Cattolica approfondisce in modo molto stimolante il tema della didattica e della fede ai tempi della pandemia.
L’articolo presenta, evidenzia e valuta alcuni dati, utilissimi e attualissimi, a partire da uno studio pubblicato questa estate dal Censis e intitolato “Stress test Italia. I soggetti dell’Italia che c’è e il loro fronteggiamento della crisi”. Tra i vari soggetti analizzati dallo studio, La Civiltà Cattolica ha dunque scelto di soffermarsi su questi due e partendo dalla scuola rileva una mancata riduzione delle diseguaglianze: grazie a quanto rilevato da 2.800 dirigenti scolastici lo studio del Censis arriva infatti a individuare delle criticità: “L’82,1% di essi ha segnalato una disuguaglianza nella dotazione tecnologica: sia docenti sia studenti dispongono di differenti sistemi di connessione, di device più o meno efficienti e mostrano livelli diversi di abilità nel loro utilizzo. Anche il livello di apprendimento è stato differente tra gli alunni: il 74,8% dei presidi ha constatato un aumento della disuguaglianza tra gli studenti che ottenevano i risultati migliori e gli altri. Secondo gli intervistati, la Dad ha accentuato il divario, sia a causa del livello di cultura tecnologica presente nella famiglia dell’alunno, sia a causa della diversa disponibilità di strumenti. Non solo non tutte le piattaforme sono risultate friendly, di facile utilizzo, ma l’esperienza ha mostrato che i cosiddetti ‘nativi digitali’ – coloro che sono nati dopo l’anno 2000, durante la rapida affermazione delle tecnologie comunicative – non sono necessariamente anche ‘alfabetizzati digitali’. Non è scontato quindi che tutti loro abbiano le stesse abilità per ricavare le informazioni adeguate, date le tecnologie a disposizione”.
Colpisce che a fine aprile soltanto l’11,2% “dichiarava che tutti gli iscritti della propria scuola erano stati raggiunti nel corso delle lezioni proposte. La difficoltà di arrivare a tutti è stata uno dei problemi più gravi. Lo conferma anche un Rapporto di Save the Children, dal quale si apprende che uno studente su 8 in Italia e uno su 5 nel Sud del Paese non hanno avuto accesso regolare alla Dad”.
È normale ma da non sottovalutare la constatazione degli autori dell’articolo che per gli alunni delle elementari e per i disabili è fondamentale un supporto da parte dei genitori che aumenta la vulnerabilità di chi viene dai contesti socio-culturali più deboli. Neanche tutti gli insegnanti sono stati attivi, e lo dice la maggioranza assoluta del campione studiato, il 54% dei dirigenti scolastici coinvolti. Dunque? La valutazione del Censis è questa: “Nonostante i segnali di vivacità, l’impegno e lo slancio con cui la comunità scolastica allargata si è misurata con l’emergenza, nel complesso, la scuola italiana si è scoperta culturalmente non attrezzata per la didattica a distanza”. Citando un suo proprio precedente articolo, La Civiltà Cattolica ricorda che “la pandemia ci consegna l’idea di una prospettiva educativa che si sviluppa in ambienti di apprendimento anche diversi da quelli dell’aula scolastica tradizionale. Non sono più i perimetri delle mura a circoscrivere il luogo in cui avviene l’apprendimento, ma questo diventa un’esperienza più ampia e più inclusiva che può avvenire in altri luoghi, altri spazi e altri ambienti”.
Eppure il discorso pubblico si concentra sulle carenze strutturali, che restano molto importanti per gli italiani, visto che “una ricerca di ‘Osservatorio Futura’ ha segnalato, che per il 24% degli italiani intervistati la qualità e la sicurezza degli edifici scolastici è la principale criticità. Così – come poi abbiamo constatato – l’ostacolo maggiore al rientro per il 43% degli intervistati sarebbe stato il mantenimento della distanza tra gli studenti (accompagnato dal sovraffollamento dei mezzi pubblici, segnalato dal 39% del campione)”.
Citando un articolo apparso su Scuola Democratica si ricorda che “la relazione pedagogica in presenza non è solo trasmissione e apprendimento di contenuti. È una relazione più complessa, densa e ricca di elementi che hanno un ruolo e una funzione fondamentale tanto nel processo di insegnamento, quanto nel processo di apprendimento. D’altro canto, la scuola non è solo luogo di apprendimento, ma anche di esperienza culturale”. Così padre Antonio Spadaro e Andrea Casavecchia concludono che la scuola non è solo luogo di apprendimento, “ma anche di esperienza culturale, che comprende la dimensione etica, morale e civica dell’educazione. A scuola non si trasmettono solo nozioni, ma si impara a vivere in una piccola comunità – la classe e poi l’istituto –, a sperimentare la cooperazione per raggiungere risultati insieme ai propri compagni e si ha l’occasione di conoscere se stessi”.
L’articolo passa quindi a trattare di Chiesa e pandemia. I ricercatori del Censis vengono citati a partire da questa netta critica: “In questa situazione di generale impreparazione, le strutture ecclesiali si sono trovate più impreparate di tutte le altre […]. Colpisce come la Chiesa come ‘corpo collettivo’ si sia trovata a subire i processi reali (la pandemia e gli interventi di fronteggiamento) senza elaborare una propria valutazione della dinamica collettiva dei mesi da febbraio a giugno, chiusura e riapertura dei riti ecclesiali compresi”. L’unico che per il Censis si sarebbe dimostrato all’altezza della sfida sarebbe stato Francesco: “Solo il pontefice avrebbe riempito tale vuoto con la sua presenza sui media in occasione delle feste pasquali. Un’immagine forte, che però non è in grado di sostituire il lavoro ordinario delle comunità parrocchiali e diocesane, avverte l’Istituto di ricerca”. Il Censis fa presente quattro criticità: “La catena gerarchica non ha preso immediata coscienza della necessità di decisioni strategiche sulla chiusura delle chiese, sulla gestione dei momenti collettivi, sulla modalità di garantire religiosità personale ecc. Il secondo aspetto è la carenza comunicativa, che avrebbe fornito un’insufficiente (insoddisfacente) spiegazione dei risvolti ecclesiali: televisione e social media, scrive il Censis, hanno accentuato l’inerzia collettiva da puri spettatori. Il terzo punto è la mancanza di una riflessione interna e l’assenza di momenti di relazione in cui confrontarsi su speranze e attese. Infine, si segnala l’isolamento dei singoli preti, rimasti soli a fronteggiare una situazione inedita”.
A queste affermazioni l’articolo eccepisce partendo dalla precisazione che le chiese in Italia non sono mai state chiuse, i fedeli hanno sempre potuto recarvisi individualmente. Precisazione importante, come la constatazione che “l’azione di sostegno ai poveri non è stata mai abbandonata. La continuità dei servizi di assistenza agli ultimi è stata assicurata. Molte sale parrocchiali sono state utilizzate come punti di deposito per la distribuzione di viveri organizzata da sacerdoti e laici, spesso coordinati da gruppi, associazioni o movimenti. Contemporaneamente, le attività di mensa e di consegna dei pasti non hanno subìto interruzioni; anzi, sono diventate un osservatorio per rilevare e denunciare le difficoltà – aggravate dal lockdown – di tante persone che vivono dell’elemosina dei passanti e sono senza fissa dimora, come pure di nuovi poveri”. La rilevanza di questo aspetto è ancor più chiara nell’oggi, visto che la nuova emergenza ci pone davanti a uno Stato che anche avvertito appare sovente inadeguato o assente.
Passando agli effetti della sospensione delle attività comunitarie l’articolo sottolinea che essa ha costituito uno “stress test” per la maturità dei fedeli laici, chiamati a custodire la loro spiritualità, e uno stimolo per i pastori, chiamati a loro volta a offrire proposte di sostegno nuove. Citando uno studio pubblicato da Nipoti di Maritain, si rileva che “quanti osservavano una pratica costante hanno incrementato, nel 26% dei casi, la lettura del Vangelo durante la settimana” e si richiama opportunamente l’attenzione sui toni improntati all’ottimismo degli intervistati, visto che solo il 2% ritiene la pandemia un “castigo divino” e il 70% è convinto che la Chiesa ne uscirà più ricca spiritualmente. Dunque? Ecco l’indicazione: “La vera domanda a cui rispondere è come mettere a frutto questa esperienza per il futuro, nella consapevolezza che, oltre alla gioia della celebrazione eucaristica, è mancata la ‘fisicità’ della comunità, fatta di spazi di confronto in presenza, di incontri occasionali e informali che incoraggiano a proseguire nel cammino, di socialità ordinaria che alimenta la crescita della comunità. E ancora oggi questa difficoltà rimane, perché ‘la Chiesa vera, quella fatta di uomini, ringraziando Dio, può vivere anche senza chiese, come è accaduto per i primi secoli e come ancora accade in molte parti del mondo’, però non vive senza le persone e senza l’incontro tra loro. E quindi oggi rimane aperto l’interrogativo: come accogliere?”.
Francesco poi è stato un protagonista, ma non un protagonista solitario: se la sua famosa preghiera del 27 marzo – dati auditel – è stata seguita da 17 milioni di italiani, il rosario della festa di San Giuseppe trasmesso da Tv2000 ha raggiunto 4 milioni di persone. Se ne evince “la presenza di un sentimento religioso diffuso, come afferma Franco Garelli, anche tra i fedeli tiepidi e tra i praticanti occasionali, che nei tempi ordinari fecondano un cattolicesimo culturale attento alla matrice identitaria e valoriale di persone nate e cresciute in Italia, le quali in momenti eccezionali e drammatici si rivolgono alla Chiesa come mediatrice del sacro”.
Dunque si intravedono tre gruppi, variegati al loro interno: gli indifferenti, i religiosi e i coinvolti. Questo terzo gruppo è quello che meriterebbe maggiore attenzione ad avviso di chi scrive e sul quale padre Spadaro e Casavecchia sottolineano: “Si sentono parte del popolo di Dio e ne condividono il percorso, secondo le loro possibilità. Forse anche a partire da questa consapevolezza si potrebbero individuare dei piccoli passi da fare”.
(fonte: Formiche, articolo di Riccardo Cristiano 05/11/2020)
Leggi l'articolo LA SCUOLA E LA CHIESA NELLA PANDEMIA dal sito de La Civiltà Cattolica