Sorelle tutte
Il (non) ruolo delle donne
nella nuova enciclica del Papa
A Linkiesta Festival, la sociologa Paola Lazzarini e l’arcivescovo di Bologna, il cardinale Matteo Zuppi, hanno discusso con Francesco Lepore sulla forma e il contenuto di Fratelli. Nelle 280 note del testo non viene citata nessuna teologa o intellettuale di sesso femminile, ma Bergoglio più volte ha denunciato la mancata inclusione nella politica e nelle istituzioni
Mentre i media erano ancora alle prese con le dimissioni (in realtà una decardinalizzazione) del cardinale Giovanni Angelo Becciu, Papa Francesco ha pubblicato un documento che chiarisce, approfondisce e sviluppa i punti cardine del suo pontificato: l’enciclica Fratelli Tutti.
È passato oltre un mese da quel 3 ottobre ma quel documento è ancora centrale nel dibattito per capire il ruolo della Chiesa nel presente alle prese le critiche dei vescovi americani per alcune posizioni di Bergoglio sulla proprietà privata e le unioni omosessuali. Per non parlare delle proteste contro i vescovi polacchi per la loro posizione a favore di una legge che di fatto impedisce qualsiasi aborto nel Paese.
Di questo e altro si è parlato durante il Festival de Linkiesta nell’incontro moderato da Francesco Lepore con i suoi due ospiti: il cardinale Matteo Zuppi arcivescovo di Bologna e Paola Lazzarini, sociologa e fondatrice di Donne per la Chiesa. Si parte subito da un dettaglio: per la prima volta in oltre duecento anni il Papa non ha firmato la sua enciclica nel Vaticano. L’ultimo era stato Pio VII quando a Cesena, il 4 maggio 1814, aveva pubblicato “Il trionfo”, una enciclica legata al riottenimento dei territori dello Stato Pontificio da parte dei francesi. Tutt’altra storia e finalità.
Bergoglio invece ha deciso di firmare la sua enciclica ad Assisi, quasi in silenzio, dopo aver celebrato la messa sulla tomba di san Francesco, limitandosi soltanto a ringraziare i collaboratori. «Purtroppo è passato in secondo piano rispetto alla cronaca la scelta di Papa Francesco di avere un atteggiamento severo di ascolto e di confronto con una dimensione ulteriore e di indicare il testo come la vera consegna», spiega il cardinal Zuppi.
«Questo è un documento importante perché sistematizza e rilancia tanti temi che sono stati affrontati in questi anni di pontificato da Papa Francesco in un momento peraltro così importante quale quello che stiamo vivendo della pandemia. Papa Francesco non ha voluto che questa enciclica sia un “vogliamoci bene” per poi continuare a farci la guerra, come sempre. Fratelli tutti non vuole essere affatto un immagine inutilmente romantica ma semmai un romanticismo che diventa un impegno. Una scelta anche politica, una visione su cui guardare e su cui impegnare la Chiesa i credenti e tutti gli uomini».
Già tutti gli uomini. Proprio il titolo “Fratelli Tutti” è stato contestato da numerose teologhe e femministe per l’uso del maschile. Vorrei però ricordare che fa riferimento a un testo di San Francesco, la sesta Admonitio, in cui il poverello di Assisi si rivolge ai frati minori con l’appellativo fratres omnes», ricorda Lepore.
La stessa Lazzarini, assieme ad altre donne del Catholic Women’s council, ha scritto al Papa una lunga lettera per criticare questo titolo considerato poco rispettoso delle donne e del soprattutto del concetto di sorellanza, tutt’altra cosa rispetto alla fratellanza, ma comunque un concetto centrale per il destino della Chiesa. «Abbiamo reagito con la lettera prima di conoscere il testo dell’enciclica, avendo saputo solo il titolo, ma la sostanza non cambia. Lo sappiamo, il linguaggio non soltanto descrive ma crea la realtà», spiega Lazzarini. «La scelta precisa del Papa di usare questa citazione per aprire il suo discorso non coinvolge le donne che sono la metà dell’umanità a cui si rivolge. Quando si riassume il femminile in un maschile utilizzato come se fosse neutro, ma neutro non è, le donne spariscono. E invece noi non solo ci siamo, ma rappresentiamo la spina dorsale della Chiesa. Fa sorridere il fatto che il Papa chieda una conversione così coraggiosa al mondo, ma allo stesso tempo non voglia fare questa modifica perché l’enciclica si inizia per tradizione con le prime parole».
Una scelta che ha lasciato insoddisfatte le donne del Catholic Women’s Council, ma si poteva davvero cambiare il titolo? Secondo Zuppi no, perché il testo non presta alcun fianco a una lettura maschilista. Bergoglio è inclusivo nel testo. L’esempio più lampante sarebbe il paragrafo 23 dell’enciclica: “l’organizzazione delle società in tutto il mondo è ancora lontana dal rispecchiare con chiarezza che le donne hanno esattamente la stessa dignità e identici diritti degli uomini. A parole si affermano certe cose, ma le decisioni e la realtà gridano un altro messaggio. È un fatto che doppiamente povere sono le donne che soffrono situazioni di esclusione, maltrattamento e violenza, perché spesso si trovano con minori possibilità di difendere i loro diritti”.
Lazzarini però fa notare il fatto che nessuna donna sia mai stata menzionata nelle 280 note dell’enciclica, così come nessuna donna è stata citata come fonte di ispirazione del Papa: «Cita Martin Luther King, Desmond Tutu, Gandhi e il Beato Charles de Foucauld, ma mai una donna. In realtà il paragrafo 23 è il più critico per noi. Il Papa denuncia una inclusione solo a parole delle donne, ma tace sul fatto che la Chiesa per prima non include le donne. La gerarchia cattolica è completamente maschile».
La critica all’indifferenza
Uno degli aspetti più innovativi di questa enciclica è la condanna dell’indifferenza. Perché secondo Bergoglio questa pandemia ha fatto capire ancora di più all’umanità che siamo tutti sulla stessa barca, che nessuno si può salvare da solo.
Per spiegare questo concetto Papa Francesco cita la parabola del buon samaritano, narrata nel Vangelo secondo Luca. Ovvero la storia di un uomo ferito e derubato da dei briganti che viene soccorso da un samaritano (un eretico per i giudei a cui parlava Gesù) e invece ignorato da un sacerdote del tempio e da un levita (i leviti erano una delle tribù di Israele che frequentavano più assiduamente il tempio, e quindi formalmente religiosi). «L’aspetto più interessante è che Papa Francesco faccia notare che ad aver ignorato il loro prossimo erano state due persone religiose. La sua capacità di essere così libero nel segnalare il peccato anche all’interno della Chiesa mi ha colpito», spiega Lazzarini.
Il Papa più volte in questi anni ha attaccato il populismo che va a braccetto con il sovranismo, difendendo invece un concetto diverso: quello del cosiddetto “popolarismo” che si ispira alla teologia del popolo di cui il teologo gesuita Juan Carlos Scannone, morto lo scorso anno e maestro del Papa, è stato uno dei massimi artefici. Ma qual è la differenza fra il popolarismo di cui parla Bergoglio e il populismo di oggi? «Il Papa mostra i rischi del populismo la cui degenerazione è pericolosa, a prescindere dall’ideologia di fondo, perché diventa strumento dei progetti personali del leader di turno che pensa solo alla permanenza al potere», spiega il cardinal Zuppi.
Bergoglio lo spiega bene nel paragrafo 159 quando dice che il leader tipo populista “altre volte mira ad accumulare popolarità fomentando le inclinazioni più basse ed egoistiche di alcuni settori della popolazione. Ciò si aggrava quando diventa, in forme grossolane o sottili, un assoggettamento delle istituzioni e della legalità”. Per questo secondo Zuppi serve una politica che sia davvero popolare: che interpreti le ansie, le aspettative e le richieste del popolo. E questo insegnamento non vale solo per i sovranisti: «Quando la politica si rinchiude nei salotti e diventa gestione del potere anche in quel caso non è popolare».
Il voto delle donne nel sinodo
Un altro tema spinoso toccato durante l’evento è stato quello del Sinodo dei Vescovi dove molte donne teologhe vengono invitate ma non hanno diritto di voto. «Il Papa sta insistendo molto sulla sinodalità come esercizio del nostro camminare insieme. Credo che si troveranno dei meccanismi per cui chi partecipa al Sinodo abbia poi piena responsabilità di esprimere il proprio pensiero anche con i voti. Il problema non riguarda solo le donne, perché io stesso ho partecipato a un sinodo sui giovani e molte persone coinvolte a pieno titolo nella discussione non hanno potuto votare», spiega Zuppi.
La legge sull’aborto in Polonia
Il 22 ottobre la Corte Costituzionale polacca con una sentenza ha reso illegittimo l’aborto per gravi malformazioni del feto, rendendo in pratica di fatto impossibile alle donne polacche abortire costringendole indirettamente a ricorrere alle pratiche clandestine o recarsi all’estero. Formalmente la sentenza non è ancora stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale polacca, ma secondo Lepore una tattica per prendere tempo perché si arriverà con una legge più restrittiva il 18 prossimo al Sejm, la Camera dei deputati polacca. Il tema è controverso e più volte Papa Francesco ha ribadito la difesa della vita sin dal concepimento. Ma l’intransigenza dell’episcopato polacco sul tema e il suo stretto rapporto col partito sovranista al governo, Diritto e Giustizia, ha portato molti polacchi a protestare in piazza anche contro la Chiesa. Cosa dovrebbe fare la Santa Sede?
«Ho tante amiche in Polonia anche teologhe che in questo momento sono in piazza con le altre donne. Perché quello che sta provocando questa sentenza è che le donne in difficoltà dovranno ricorrere ad aborti clandestini, quelle con più mezzi andranno in Austria o in Germania. Ancora una volta si scarica il peso sulle spalle delle donne», spiega Lazzarini. «Stiamo assistendo a delle vere proteste contro l’Episcopato polacco che non brilla per attenzione ai temi sociali e ai diritti delle donne. Ho visto un’immagine per me straziante: una locandina nella quale c’era una donna incinta sulla croce con scritto “tua colpa, tua colpa, tua massima colpa” in polacco. Ecco questa è la percezione che le donne hanno della Chiesa. Facciamoci una domanda: perché vedono così la Chiesa che dovrebbe essere la loro comunità la loro famiglia la loro casa?».
(fonte: Linkiesta 09/11/2020)