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venerdì 3 gennaio 2020

"VIA I CELLULARI A TAVOLA. RECUPERARE LA COMUNICAZIONE NELLE FAMIGLIE" di Massimo Recalcati

"VIA I CELLULARI A TAVOLA. 
RECUPERARE LA COMUNICAZIONE NELLE FAMIGLIE"  
di Massimo Recalcati


Avviso: Il grassetto applicato al testo è stato inserito dal nostro staff ed ha l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Papa Francesco invita a recuperare la comunicazione nelle famiglie devastate dall’irruzione prepotente degli smartphone. Anche il luogo del convivio dove la parola e il cibo si alternavano sembra essere stato demolito dalla chiusura autistica che l’uso illimitato della tecnologia ha provocato. È un problema di grande attualità che coinvolge non soli i figli, ma anche gli adulti altrettanto alienati nei loro partner tecnologici.
Il richiamo di Francesco non contiene tanto l’evocazione nostalgica di un tempo perduto dove la famiglia era luogo idilliaco di scambio e comunicazione. Nel tempo dominato dalla figura patriarcale del padre padrone, molto frequentemente, lo spazio della parola era sequestrato dalla sua voce il cui timbro severo otteneva un silenzio impaurito. Non si tratta dunque di mendicare un tempo irreversibilmente alle nostre spalle e per nulla ideale; non si tratta di guardare nostalgicamente al passato per trovare una soluzione ai problemi del nostro tempo.

La famiglia non è una istituzione ideale come non lo è nessuna istituzione umana. Come genitori brancoliamo sempre nel buio, precari, in difficoltà. Nessuno, tantomeno il padre disciplinare del patriarcato, possiede la chiave per rendere la vita insieme generativa. Ma il nostro tempo pone un problema supplementare: esiste una tendenza sempre più diffusa — soprattutto nel mondo giovanile — (che ho definito recentemente «neo-melanconica») alla fobia, al ritiro sociale, alla chiusura. I nostri figli tendono a costruire nicchie separate che però anziché proteggerli dalla vita li separano dalla vita. È una scorciatoia che comprende anche il mondo degli adulti: preferire la chiusura all’apertura; la difesa dalla vita all’incontro con la pienezza della vita.
L’illusione dell’iperconnessione è quella di mettere le nostre vite in rapporto con quelle degli altri quando invece molto spesso separa dal rapporto. Ma ogni rapporto, compreso quello familiare, non è al riparo dalla difficoltà, dall’incomprensione e dal conflitto. Forse per questa ragione si preferisce il rapporto senza rapporto del partner tecnologico alle asperità inevitabili del rapporto reale. Il richiamo di Francesco dovrebbe allora essere letto in modo diverso da quello di un generico ritorno alla retorica patriarcale della famiglia. Lo sappiamo per esperienza; se c’è una bellezza nella famiglia è quella che possiamo trovare in ogni istituzione umana; una bellezza che non esclude la crepa, l’incrinatura, il disagio, la ferita.
Nel tempo dove la parola non è più (giustamente) sequestrata dall’autorità dei padri, nel tempo dove una nuova pluralità si configura, quello che più conta è preservare il luogo della parola come luogo di una connessione diversa da quella alimentata dagli oggetti tecnologici. Non la parola retorica del dialogo tra le generazioni — spesso impossibile — , non quella conformistico-borghese, né quella pacificante del buon senso. Abitare la vita della famiglia impone oggi più di ieri un nuovo equipaggiamento: sopportare la solitudine in cui tutti noi siamo evitando di coltivare l’illusione di un’armonia che semplicemente non esiste. Ma questa disillusione anziché scoraggiare, abbattere, frustrare dovrebbe aiutarci a raccogliere come “preziosi tesori” quei frammenti di umanità e bellezza che ancora oggi possiamo trovare nello stare insieme in famiglia. Non pretendere la felicità dei figli, non porsi come esempi di come sia giusto vivere, non nascondere le nostre difficoltà. Stare, insomma, insieme nel disagio che ogni essere insieme comporta.
Allora, letto in questa chiave, il richiamo di Francesco non ci esorta a coltivare l’illusione di una famiglia ideale, ma a non nascondere la testa nella sabbia di fronte alla difficoltà di costruire rapporti umani non artificiosi e unilaterali come quelli che la tecnologia offre. Quei rapporti sono infatti non rapporti. Sono rapporti — connessioni — che promettono di salvare dalla difficoltà reale di ogni rapporto compreso quello della famiglia.

(Fonte: “La Repubblica”  - 30 dicembre 2019)