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lunedì 13 gennaio 2020

Joseph Ratzinger rompe il silenzio promesso - Il papa emerito non è un papa né tantomeno il papa, nemmeno per modo di dire - "Ma ostacolare o correggere il Papa regnante è irrealistico" - Ratzinger difende il celibato dei sacerdoti: ​​​ “È indispensabile, non posso tacere”

Il papa emerito non è un papa 
né tantomeno il papa, 
nemmeno per modo di dire
di Stefano Sodaro*

Il cardinale Joseph Ratzinger - 
foto tratta da commons.wikimedia,org

Mentre scende la sera dei Secondi Vespri sulla festa liturgica del Battesimo del Signore, giungono improvvise notizie inquietanti per la pace ecclesiale, per l’unità stessa della Chiesa, che sembra dover affrontare una sorta di sbalorditivo “negazionismo comunionale”.

Viene annunciata infatti l’uscita di un libro, il prossimo 15 gennaio, a firma del Card. Robert Sarah, attuale Prefetto della Congregazione per il Culto Divina e la Disciplina dei Sacramenti, e di Joseph Ratzinger, vescovo che rinunziò al pontificato con efficacia canonica a far data dal 28 febbraio 2013. In tale libro gli autori si sentirebbero necessitati a non tacere di fronte alla prospettiva che, quale conseguenza del Sinodo Speciale sull’Amazzonia svoltosi nel mese di ottobre dell’anno appena concluso - in attesa peraltro ancora dell’Esortazione apostolica post-sinodale -, siano ordinati presbiteri uomini sposati (si può rinviare ad esempio ai link https://www.repubblica.it/vaticano/2020/01/12/news/ratzinger_nel_nuovo_libro_scritto_con_il_cardinale_sarah_il_celibato_e_indispensabile_-245619052/; https://www.quotidiano.net/cronaca/papa-ratzinger-celibato-1.4977282).

Alcune considerazioni molto semplici.

Il Papa che rinuncia all’ufficio di vescovo di Roma non è più papa sotto nessun profilo possibile.

Avere definito Joseph Ratzinger “Papa emerito” è un errore canonistico piuttosto grossolano per due ragioni squisitamente “tecniche”.

Prima di tutto il canone 185 del codice di diritto canonico prevede che “a colui, che perde l’ufficio per raggiunti limiti d’età o per rinuncia accettata, può essere conferito il titolo di emerito.” “Può”, dunque, non “deve”.

E poi, quand’anche si volesse invece sostenere la legittimità del titolo di “papa emerito” in ragione del § 1 del canone 402 – che dispone che “il Vescovo, la cui rinuncia all’ufficio sia stata accettata, mantiene il titolo di vescovo emerito della sua diocesi” -, tale canone risulta del tutto inconferente per il caso concreto, dal momento che fu positivamente esclusa proprio la possibilità di appellare Ratzinger “vescovo emerito di Roma” (era una delle possibilità giuridiche che furono configurate, ma che la Santa Sede – quasi vacante – non accolse) e, peraltro, la rinuncia all’ufficio del vescovo di Roma non abbisogna di alcuna accettazione, come espressamente prevede il canone 332, al § 2: “Nel caso che il Romano Pontefice rinunci al suo ufficio, si richiede per la validità che la rinuncia sia fatta liberamente e che venga debitamente manifestata, non si richiede invece che qualcuno la accetti.”

La norma canonica è chiarissima: non si richiede che qualcuno accetti la rinuncia al ministero papale.

Dunque: 1) il titolo di emerito è una mera possibilità per chi vi abbia rinunciato; 2) nel caso del vescovo diocesano, perché possa mantenere il titolo di “emerito”, si richiede che la rinuncia all’ufficio episcopale sia accettata; 3) la rinuncia all’ufficio di vescovo di Roma non prevede nessuna accettazione; 4) è stato rifiutato il titolo di “vescovo emerito di Roma” al rinunciante Benedetto XVI.

Va pertanto affermato, con assoluta perentorietà e senza tema di alcuna smentita, che il papa che abbia rinunciato al proprio ufficio non è più papa, in nessun significato possibile del sostantivo “papa”, e ridiventa un vescovo, la cui titolarità dovrebbe essere chiarita.

Aver consentito: a) l’uso di un titolo giuridicamente inaudito come quello di “papa emerito”, b) l’uso del nome pontificale e della veste bianca, c) la residenza nello Stato della Città del Vaticano e d) l’appellativo di “Santità”, tutto ciò ha provocato una vera e propria “finzione papale” che rischia di far detonare enormi problemi dogmatici invece che risolverli e disinnescarli, acutizzandoli anzi fino ad esiti imprevedibili.

Ritenere di far assurgere in queste ore al “papa emerito” il ruolo di campione degli oppositori ai risultati dell’ultimo Sinodo dei Vescovi è poi gravissimo per un altro motivo.

Il n. 111 del Documento Finale del Sinodo sull’Amazzonia (http://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2019/10/26/0820/01706.html), che richiede la possibilità di ordinare presbiteri diaconi sposati, è stato approvato con la maggioranza di 128 Padri Sinodali favorevoli e 41 contrari. Pensare oggi che la rettitudine ecclesiale corrisponda invece al risultato esattamente rovesciato – i 41 contrari avrebbero ragione e torto i 128 – inserisce un “vulnus” gravissimo nella comprensione ecclesiologica delle determinazioni del corpo episcopale. Una sorta di negazionismo, per appunto, che afferma la validità veritativa del contrario di quanto è stato approvato.

Ancora: gli autori del libro annunciato, stando alle notizie di stampa, parlerebbero di “uno strano Sinodo dei media che ha prevalso sul Sinodo reale”. Si tratta della medesima osservazione – proprio con identica formulazione – approfondita e criticata da Giovanni Miccoli nel suo articolo comparso sul numero 200 di questo nostro giornale: si veda al link https://sites.google.com/site/larchiviodirodafa/numero-200---3-marzo-2013/in-margine-alle-dimissioni-di-benedetto-xvi-alcuni-spunti-per-una-riflessione. Fa impressione questa riproposizione di logiche che ricorrono a formulazioni sempre identiche, financo nella descrizione degli eventi su cui vogliono fondarsi.

Ed un’ultima considerazione: i presbiteri coniugati sono realtà pienamente legittima e plurisecolare secondo il diritto delle Chiese Orientali Cattoliche. Pur non conoscendo ancora il contenuto integrale del libro di cui viene annunciata la pubblicazione, affermare che solo il celibato integri la verità del sacerdozio cattolico è contrario non solo a tale prassi canonica solennemente sancita nel Codice dei Canoni delle Chiese Orientali (canone 373), ma anche all’affermazione del Vaticano II contenuta nel Decreto “Presbyterorum Ordinis”, al n. 16: “La perfetta e perpetua continenza per il regno dei cieli, raccomandata da Cristo Signore nel corso dei secoli e anche ai nostri giorni gioiosamente abbracciata e lodevolmente osservata da non pochi fedeli, è sempre stata considerata dalla Chiesa come particolarmente confacente alla vita sacerdotale. Essa è infatti segno e allo stesso tempo stimolo della carità pastorale, nonché fonte speciale di fecondità spirituale nel mondo. Essa non è certamente richiesta dalla natura stessa del sacerdozio, come risulta evidente se si pensa alla prassi della Chiesa primitiva e alla tradizione delle Chiese orientali, nelle quali, oltre a coloro che assieme a tutti i vescovi scelgono con l'aiuto della grazia il celibato, vi sono anche degli eccellenti presbiteri coniugati: per questo il nostro sacro Sinodo, nel raccomandare il celibato ecclesiastico, non intende tuttavia mutare quella disciplina diversa che è legittimamente in vigore nelle Chiese orientali, anzi esorta amorevolmente tutti coloro che hanno ricevuto il presbiterato quando erano nello stato matrimoniale a perseverare nella santa vocazione, continuando a dedicare pienamente e con generosità la propria vita per il gregge loro affidato.”

Ci si rifiuta di credere che uno studioso del calibro di Joseph Ratzinger sia potuto incorrere, anche solo parzialmente, anche solo tangenzialmente, nel macroscopico errore di ignorare simile testo del Concilio.

Il quadro è, alla fine, di grande desolazione, ma resta la speranza, quella che deriva da una Chiesa riunita attorno al suo segno di unità, che non è Benedetto XVI, ma Francesco, salvo non voler negare la verità canonica e dogmatica o voler, piuttosto, intavolare le premesse di uno scisma. Bisogna dirlo infatti: non si può più tacere, il rischio è questo e lo sappiamo tutti.

Ma il cruccio di chi vuole opporsi alle evoluzioni del cammino ecclesiale richiede anche di essere fatto svaporare con serenità, umiltà, coraggio, consapevolezza, rigore analitico e, per chi ci crede, molta preghiera.
(fonte: Il giornale di Rodafà, 12/01/2020)

*Giornalista pubblicista, socio dell’Associazione Teologica Italiana (ATI), della Consociatio Internationalis Studio Iuris Canonici Promovendo, della Società per il Diritto delle Chiese Orientali, dell’Associazione Italiana Giuristi d’Impresa (AIGI), socio aggregato del Coordinamento Teologhe Italiane (CTI) e membro del Gruppo Italiano Docenti di Diritto Canonico (GIDDC).

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"Ma ostacolare o correggere il Papa regnante è irrealistico"
di Giacomo Galeazzi

 «Il celibato sacerdotale non è un dogma teologico, è una tradizione con un'utilità pastorale e spirituale. Al Sinodo sull'Amazzonia è stata aperta una discussione, spetta a papa Francesco l'ultima parola, alla quale tutti dovremo attenerci». L'arcivescovo di Monreale Michele Pennisi, vicepresidente della Conferenza episcopale siciliana ed ex rettore del Collegio Capranica di Roma, osserva che «hanno mantenuto la propria condizione i pastori anglicani sposati tornati nella Chiesa cattolica durante il precedente pontificato».

Il Papa emerito "frena" le aperture di Bergoglio?
«Benedetto XVI ha legittimamente espresso la sua convinzione. Tocca a Francesco tenere presente l'universalità della Chiesa e prendere una decisione, tenendo conto di una tradizione testimoniata dai tempi della lettera di San Paolo ai Corinzi».

Qual è la sua esperienza?
«All'interno del territorio della mia arcidiocesi, si trova l'enclave cattolica di rito bizantino di Piana degli Albanesi dove convivono preti sposati e celibi. E non si può certo dire che nel clero uxorato la dedizione a Dio e alla Chiesa sia inferiore».

Cosa giustifica allora il no all'abolizione del celibato?
«Una convenienza, un'utilità dal punto di vista spirituale ed ecclesiale, nel senso che si ritiene tradizionalmente che il celibato metta in condizione di donarsi in maniera integrale alla propria missione. Ma non significa che ciò non accada anche per il clero uxorato. Nelle Chiese ortodosse a non sposarsi sono i vescovi e i monaci. Nella Chiesa latina i presbiteri sono celibi, i diaconi permanenti no».

È una questione aperta?
«È dal Concilio Vaticano II che si discute di "viri probati", cioè dell'ordinazione di uomini sposati di una certa età e di provata fede che possano celebrare Messa in quelle comunità che hanno scarsità di sacerdoti e dove è difficile che un prete possa recarsi regolarmente.
Nel 1971 la proposta fu sottoposta ai vescovi e ottenne scarse adesioni. Ma la mancanza di preti non richiede necessariamente l'ordinazione. Si può ovviare estendendo i ministeri».

Quale decisione si aspetta da Francesco sul celibato?
«Il Sinodo ha riproposto la questione e occorre aspettare. Si possono esprimere convinzioni, ma poi vale la decisione del Papa. È irrealistico un quadro in cui il Pontefice regnante venga corretto o ostacolato da posizioni contrarie. È il Papa a fare la sintesi e dare l'indicazione per il bene della Chiesa. Bisognerà vedere quali condizioni verranno trattate. Potrebbe essere una decisione che non riguardi tutto il clero ma solo determinate situazioni o la possibilità di ordinare uomini sposati.»
(fonte: La Stampa 13/01/2020)

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Ratzinger difende il celibato dei sacerdoti: ​​​
“È indispensabile, non posso tacere”
di Salvatore Cernuzio

Il monito del Papa emerito in un libro dopo che il Sinodo sull’Amazzonia aveva recepito l’apertura di Francesco

Era già successo nel 2017 per questioni liturgiche, poi la scorsa primavera con la problematica degli abusi sessuali. Adesso Joseph Ratzinger, il Papa emerito Benedetto XVI, rompe ancora il silenzio che aveva promesso di mantenere dopo le clamorose dimissioni e prende posizione sul celibato sacerdotale. Ovvero il tema che ha dominato le discussioni nel Sinodo sull’Amazzonia convocato da Francesco in Vaticano e per il quale si attende un pronunciamento del Pontefice nell’esortazione post-sinodale che dovrebbe pubblicare nelle prossime settimane.

Questa volta non sono lettere o appunti ma un libro, edito da Fayard, che Ratzinger firma con il cardinale guineano Robert Sarah, il prefetto della Congregazione per il Culto divino considerato un punto di riferimento dalla fila di oppositori al pontificato bergogliano, che auspicano per lui l’elezione al prossimo Conclave. Dichiaratosi da sempre fedele al Papa, Sarah - nominato arcivescovo a soli 34 anni da Giovanni Paolo II - ha mantenuto tuttavia in questi anni posizioni diametralmente opposte a quelle di Francesco che in più di un’occasione lo ha corretto pubblicamente.

Il fatto che il 92enne Papa emerito, già baluardo delle correnti sedevacantiste, abbia scelto di firmare un libro, per di più con un cardinale acclamato dalla fronda ultra tradizionalista, farà discutere. Sembra evidente, inoltre, che l’obiettivo di fondo sia di orientare le discussioni in vista della pubblicazione dell’esortazione post-sinodale di papa Francesco, il documento che raccoglie le istanze dei padri riuniti nell’assise per renderle magistero della Chiesa. Tra queste anche la proposta di ordinare uomini sposati che possano distribuire i sacramenti in zone sperdute della “cuenca” amazzonica dove i preti si vedono una volta ogni due mesi.

La tematica ha ricevuto il placet dei 2/3 del Sinodo ma ha acceso un forte dibattito dentro e fuori la Curia, facendo emergere il fantasma dello scisma. Alcuni paventano il rischio che tale riforma possa uscire dai confini amazzonici e generare uno strappo nella tradizione ecclesiale che porterà all’abolizione definitiva del celibato (non è un dogma ma una prassi che ogni Papa o Concilio potrebbero abolire).

Un rischio troppo grande, secondo Benedetto, che metterebbe in pericolo il futuro della Chiesa. «Silere non possum! Non posso tacere», afferma, citando Sant’Agostino, in una delle 175 pagine del volume del quale il quotidiano francese Le Figaro pubblica anticipazioni. Nel libro, scritto «in omaggio a tutti i sacerdoti del mondo», Ratzinger e Sarah - che firma introduzione e conclusione - chiedono ai fedeli di non lasciarsi «impressionare» da «cattive suppliche, spettacoli teatrali, diaboliche menzogne, errori di moda che vogliono svalutare il celibato sacerdotale». «La possibilità di ordinare uomini sposati rappresenterebbe una catastrofe pastorale, una confusione ecclesiologica e un oscuramento della comprensione del sacerdozio». La presa di posizione, avvalorata da fondamenti teologici, non vuole criticare apertamente Francesco, chiariscono il Papa emerito e il cardinale suo fido collaboratore che si presentano come «vescovi» in «obbedienza sussidiaria» al Pontefice che «custodiscono la verità» in uno «spirito di amore per l’unità della Chiesa». Lontano, quindi, da «litigi tra persone, manovre politiche, giochi di potere, manipolazioni ideologiche e critiche aspre». Quelle, scrivono, «fanno il gioco del diavolo».