Il realismo e
la speranza
· Le parole chiave del discorso del Papa ·
di Andrea Tornielli
Del discorso di Francesco sullo “stato del mondo” quest’anno ad attirare l’attenzione sono in particolare le parole dedicate alla crescente tensione fra Iran e Stati Uniti. Il Papa, che era già intervenuto sull’argomento domenica 5 gennaio, ribadisce l’appello ad evitare di innalzare ulteriormente lo scontro, mantenendo accesa “la fiamma del dialogo e dell’autocontrollo, nel pieno rispetto della legalità internazionale”. Un richiamo che vale per tutte le parti in causa e che riflette, con realismo, sul rischio di trascinare il Medio Oriente e il mondo intero in un conflitto dalle conseguenze incalcolabili.
Ma anche se oggi, giustamente, i riflettori sono puntati sull’evolvere della crisi tra Usa e Iran, e sull’ulteriore rischio che essa rappresenta per il già instabile Iraq flagellato da guerre e terrorismo, Francesco non semplifica la realtà. E ricorda tante altre guerre e violenze troppo spesso dimenticate. Denuncia la coltre di silenzio sulle sorti della devastata Siria, denuncia il conflitto in Yemen che vive una gravissima crisi umanitaria nell’indifferenza della comunità internazionale. Cita la Libia, ma anche la violenza in Burkina Faso, Mali, Niger e Nigeria. Ricorda le violenze contro le persone innocenti fra cui anche i tanti cristiani uccisi per la loro fedeltà al Vangelo, vittime del terrorismo e del fondamentalismo.
Non può non colpire chi ha ascoltato o letto il lungo e dettagliato elenco delle crisi — comprese quelle che infiammano l’America Latina e che sono causate da ingiustizie e corruzione endemica — il fatto che Francesco abbia iniziato il suo discorso con uno sguardo di speranza, quella speranza che per i cristiani è una virtù fondamentale ma che non può essere disgiunta dal realismo. Sperare, ha spiegato il Papa, esige che si chiamino i problemi per nome e che si abbia il coraggio di affrontarli. Senza dimenticare i disastri provocati dalle guerre combattute nel tempo e le loro devastazioni. Senza dimenticare l’assurdità e l’immoralità della corsa al riarmo nucleare e il rischio concreto dell’autodistruzione del mondo. Senza dimenticare il mancato rispetto per la vita e la dignità umana; la mancanza di cibo, acqua e cure di cui tante popolazioni soffrono, la crisi ecologica che troppi ancora fingono di non vedere.
Ma si può sperare, perché in un mondo che sembra condannato all’odio e ai muri, ci sono donne e uomini che non si arrendono alle divisioni e non si girano dall’altra parte di fronte a chi soffre. Perché ci sono leader appartenenti a diverse religioni che si incontrano e provano a costruire un mondo di pace. Perché ci sono giovani che cercano di sensibilizzare gli adulti sui rischi a cui il creato sta andando incontro avvicinandosi a un punto di non ritorno. Si può sperare perché nella notte di Betlemme Dio, l’Onnipotente, ha scelto di farsi bambino, piccolo, fragile, umile, per vincere e avvincere il mondo con il suo amore sovrabbondante e la sua misericordia.
(fonte: Editoriale dell'Osservatore Romano 09/01/2020)
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