Questa mattina nella Sala Clementina in Vaticano, si è tenuta una cerimonia solenne per il 65° anniversario di sacerdozio del Papa emerito Benedetto XVI.
La piccola festa è sobria, come ha voluto Ratzinger e come aveva preannunciato domenica 26 giugno lo stesso Papa Francesco dialogando con i giornalisti sul volo di ritorno da Yerevan, smentendo la teoria secondo la quale esisterebbe una sorta di ministero petrino «condiviso» e i Papi, invece di uno, fossero due.
Francesco ha abbracciato Benedetto, seduto su un lato giù dalla pedana, e poi ancora dopo aver pronunciato il suo discorso. Il coro della Cappella Sistina ha eseguito il canto «in insigni die solemnitatis vestrae».
Segue il testo integrale del discorso di Papa Francesco
Santità,
oggi festeggiamo la storia di una chiamata iniziata sessantacinque anni fa con la Sua Ordinazione sacerdotale, avvenuta nella Cattedrale di Freising il 29 giugno 1951. Ma quale è la nota di fondo che percorre questa lunga storia e che da quel primo inizio sino a oggi la domina sempre più?
In una delle tante belle pagine che Lei dedica al sacerdozio sottolinea come, nell’ora della chiamata definitiva di Simone, Gesù, guardandolo, in fondo gli chiede una cosa sola: “Mi ami?”. Quanto è bello e vero questo! Perché è qui, Lei ci dice, in quel “mi ami?” che il Signore fonda il pascere, perché solo se c’è l’amore per il Signore Lui può pascere attraverso di noi: “Signore, tu sai tutto, tu sai che ti amo” (cfr Gv 21,15-19). È questa la nota che domina una vita intera spesa nel servizio sacerdotale e della teologia, che Lei non a caso ha definito come “la ricerca dell’amato”; è questo che Lei ha sempre testimoniato e testimonia ancora oggi: che la cosa decisiva nelle nostre giornate — di sole o di pioggia —, quella solo con la quale viene anche tutto il resto, è che il Signore sia veramente presente, che lo desideriamo, che interiormente siamo vicini a Lui, che Lo amiamo, che davvero crediamo profondamente in Lui e credendo Lo amiamo veramente. È questo amare che veramente ci riempie il cuore, questo credere è quello che ci fa camminare sicuri e tranquilli sulle acque, anche in mezzo alla tempesta, proprio come accadde a Pietro. Questo amare e questo credere è quello che ci permette di guardare al futuro non con paura o nostalgia, ma con letizia, anche negli anni ormai avanzati della nostra vita.
E così, proprio vivendo e testimoniando oggi in modo tanto intenso e luminoso quest'unica cosa veramente decisiva — avere lo sguardo e il cuore rivolto a Dio — Lei, Santità, continua a servire la Chiesa, non smette di contribuire veramente con vigore e sapienza alla sua crescita; e lo fa da quel piccolo Monastero Mater Ecclesiae in Vaticano che si rivela in tal modo essere tutt’altro che uno di quegli angolini dimenticati nei quali la cultura dello scarto di oggi tende a relegare le persone quando, con l’età, le loro forze vengono meno. È tutto il contrario. E questo permetta che lo dica con forza il Suo Successore che ha scelto di chiamarsi Francesco! Perché il cammino spirituale di san Francesco iniziò a San Damiano, ma il vero luogo amato, il cuore pulsante dell’Ordine, lì dove lo fondò e dove infine rese la sua vita a Dio fu la Porziuncola, la “piccola porzione”, l’angolino presso la Madre della Chiesa; presso Maria che, per la sua fede così salda e per il suo vivere così interamente dell’amore e nell’amore con il Signore, tutte le generazioni chiameranno beata. Così, la Provvidenza ha voluto che Lei, caro Confratello, giungesse in un luogo per così dire propriamente “francescano”, dal quale promana una tranquillità, una pace, una forza, una fiducia, una maturità, una fede, una dedizione e una fedeltà che mi fanno tanto bene e danno tanta forza a me e a tutta la Chiesa. E mi permetto anche di dire che da Lei viene un sano e gioioso senso dell’umorismo.
L’augurio con il quale desidero concludere è perciò un augurio che rivolgo a Lei e insieme a tutti noi e alla Chiesa intera: che Lei, Santità, possa continuare a sentire la mano del Dio misericordioso che La sorregge, che possa sperimentare e testimoniarci l’amore di Dio; che, con Pietro e Paolo, possa continuare a esultare di grande gioia mentre cammina verso la meta della fede (cfr 1 Pt 1,8-9; 2 Tm 4,6-8)!
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Dopo il Papa, hanno preso la parola il cardinale Gerhard Ludwig Müller, Prefetto della congregazione per la Dottrina della fede e il decano del collegio cardinalizio, il cardinale Angelo Sodano. Müller ha offerto a Benedetto il libro «Die Liebe Gottes Lehren und Lernen - Insegnare e imparare l’Amore di Dio».
Santo Padre,
è un grande onore poter partecipare a questo momento di festa che Lei ha voluto per la lieta occasione dei sessantacinque anni di ordinazione sacerdotale del Papa Emerito Benedetto XVI. Qualche settimana fa, per il Giubileo dei Sacerdoti e dei Seminaristi, Lei stesso ha messo al centro della nostra riflessione l’essenza della missione sacerdotale: lasciarsi ricreare il cuore dalla misericordia di Dio, così che noi stessi possiamo aiutare gli uomini a lasciarsi plasmare il cuore da Lui.
E citava il grande scrittore francese George Bernanos, il quale nel suo romanzo Diario di un curato di campagna, ha indicato nella “gioia” l’immenso dono che la Chiesa è chiamata ad offrire al mondo: anzitutto la gioia dell’annuncio che i nostri peccati sono già attesi dal perdono di Dio! “Annuncio” e “gioia” sono parole che stanno al cuore del Vangelo, e sono anche due note proprie tanto del Suo Magistero, quanto di quello del Suo Predecessore.
Caro Papa Emerito...
Venerato e caro Papa Francesco,
oggi in occasione del 65° di sacerdozio del Suo amato Predecessore, il Papa emerito Benedetto XVI, Ella ha voluto rendergli questo doveroso omaggio a nome di tutta la Santa Chiesa, che ha goduto per 65 anni del suo ministero pastorale, prima come Presbitero e successivamente come Vescovo nella sede di München e Freising e poi come Vescovo di Roma, “mater et caput omnium ecclesiarum”.
Santo Padre, permetta ora anche a me di presentare al caro Festeggiato l’omaggio dei Confratelli Cardinali e Vescovi, mentre mi sgorgano dal cuore le parole del Salmo 133: “Ecce quam bonum et quam jucundum habitare fratres in unum” (Salmo 133)! Sì, in questo momento noi sperimentiamo un clima di grande letizia spirituale e di intensa fraternità, nel vincolo comune di servizio alla Santa Chiesa di Cristo.
Caro e venerato Papa emerito...
Leggi l'intervento del Card. Angelo Sodano, Decano del Collegio Cardinalizio: "L’ora della gratitudine"
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Alla fine Benedetto XVI si è alzato e ha pronunciato poche lucide parole a braccio.
Questo il testo integrale delle sue parole:
65 anni fa, un fratello ordinato con me ha deciso di scrivere sulla immaginetta di ricordo della prima Messa soltanto, eccetto il nome e le date, una parola, in greco: “Efharistomen”, convinto che con questa parola, nelle sue tante dimensioni, è già detto tutto quanto si possa dire in questo momento. “Efharistomen” dice un grazie umano, grazie a tutti. Grazie soprattutto a Lei, Santo Padre: la Sua bontà, dal primo momento dell’elezione, in ogni momento della mia vita qui, mi colpisce, mi porta realmente, interiormente più che nei Giardini Vaticani, con la bellezza, la Sua bontà è il luogo dove abito: mi sento protetto. Grazie anche della parola di ringraziamento, per tutto. E speriamo che Lei potrà andare avanti con noi tutti con questa via della Misericordia Divina, mostrando la strada di Gesù, a Gesù, a Dio.
Grazie pure a Lei, eminenza, per le Sue parole che hanno veramente toccato il cuore: “Cor ad cor loquitur”. Lei ha reso presente sia l’ora della mia ordinazione sacerdotale, sia anche la mia visita nel 2006 a Freising, dove ho rivissuto questo. Posso solo dire che così, con queste parole che ha interpretato l’essenziale della mia visione del sacerdozio, del mio operare. Le sono grato per il legame di amicizia che fino adesso continua da tanto tempo, da tetto a tetto: è quasi presente e tangibile.
Grazie, cardinale Müller, per il Suo lavoro che fa per la presentazione dei miei testi sul sacerdozio, nei quali cerco di aiutare anche i confratelli a entrare sempre di nuovo nel mistero che il Signore si dà nelle nostre mani. “Efharistomen”: in quel momento l’amico Berger voleva accennare non solo alla dimensione del ringraziamento umano, ma naturalmente alla parola più profonda che si nasconde, che appare nella Liturgia, nella Scrittura, nelle Parole: “Gratias agens benedixit fregit deditque”.
“Efharistomen” ci manda a quella realtà di ringraziamento, a quella nuova dimensione che Cristo ha dato. Lui ha trasformato in grazie, così in benedizione, la Croce, la sofferenza, tutto il male del mondo. E così fondamentalmente ha transustanziato la vita e il mondo e ci ha dato e ci dà ogni giorno il pane della vera vita, che supera il mondo grazie alla forza del Suo amore.
Alla fine, vogliamo inserirci in questo “grazie” del Signore e così ricevere realmente la novità della vita e aiutare alla transustanziazione del mondo: che sia un mondo non di morte, ma di vita; un mondo nel quale l’amore ha vinto la morte.
Grazie, Santo Padre.
Al termine, un terzo abbraccio tra il Papa e l’emerito. Poi, mentre il coro ha intonato il caro «Sicut cervus», prima i cardinali e poi tutti i presenti hanno salutato e reso omaggio prima a Francesco e poi a Benedetto.
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