Papa Francesco e l'enciclica dei gesti
di Mimmo Muolo
In un recente incontro su «Comunicazione e misericordia», organizzato dalla Facoltà Auxilium e dall’Ufficio Comunicazioni sociali della Cei, suor Maria Antonia Chinello ha affermato che papa Francesco sta scrivendo con il suo pontificato una «enciclica dei gesti». Formula estremamente suggestiva, che tra l’altro ha il pregio di sgombrare il campo da due errate interpretazioni di quei gesti. L’enciclica è infatti la forma più alta del magistero pontificio. Dire dunque che papa Bergoglio sta componendo con i suoi gesti una «enciclica» equivale a considerarli per quello che in realtà sono, veri atti magisteriali, sottraendoli in tal modo sia alla categoria interpretativa della semplice "simpatia umana", sia a quella non meno inadeguata della "rivoluzione".
Francesco non compie i suoi gesti spesso sorprendenti solo perché vuole accattivare con la simpatia, né tanto meno perché è un "rivoluzionario". Del resto, quest’ultima categoria non sarebbe poi neanche tanto nuova. A loro modo "rivoluzionari" sono stati il Giovanni XXIII inventore del Concilio Vaticano II, il Paolo VI dei viaggi e della rinuncia a certi simboli del potere papale (la sedia gestatoria, la tiara), il Giovanni Paolo I del sorriso paterno e tanto più il Giovanni Paolo II delle molte innovazioni. Per non parlare infine della "rivoluzione" forse più storicamente sorprendente di tutte: la rinuncia di Benedetto XVI. L’enciclica dei gesti, invece, viene "composta" in base a una diversa ispirazione e chiede perciò di essere letta in un altro modo. Tutto nasce, infatti, dal realismo dell’esperienza pastorale e dalla capacità di ascoltare il mondo contemporaneo, ponendosi accanto agli uomini e alle donne del nostro tempo con lo stile del Viandante di Emmaus.
In questo senso l’«enciclica dei gesti» è magistero in 3D che raggiunge in tempo reale anche chi un’encliclica vera non l’ha mai letta. Quei gesti inoltre sfuggono allo schematismo di chi ha sempre distinto tra magistero per così dire "normale" (fatto cioè di discorsi e documenti) e la "gustosa" eccezione dei comportamenti fuori protocollo. Con Francesco invece un gesto può valere più di un discorso. E in tal modo il magistero esce dai confini della carta per diventare carne e concretezza sotto i nostri occhi.
"Fratelli e sorelle, buonasera" - Il modo di presentarsi
L’«enciclica dei gesti» trova il suo incipit in quel «Fratelli e sorelle, buonasera», pronunciato al suo primo affacciarsi da Papa. Il 13 marzo 2013 egli si presenta semplicemente con la veste bianca, senza la mozzetta rossa e la stola dei suoi predecessori. Una differenza che colpisce. Così come non può passare inosservata la sua richiesta al popolo di una preghiera perché il Signore benedica il nuovo vescovo di Roma, «prima ancora che il vescovo benedica il popolo». È l’annuncio di uno stile diverso, più libero e colloquiale, che non si limiterà a quel momento, ma continuerà ad esempio nell’augurio di «buon pranzo» con cui Bergoglio conclude i suoi Angelus domenicali e in tanti altri atteggiamenti. Un Papa per la gente e tra la gente, come quando - nella prima domenica da Pontefice - varca il cancello di Sant’Anna e si consegna all’abbraccio dei fedeli.
Residenza a Santa Marta - La quotidianità normalizzata
La sera stessa dell’elezione viene diffusa la foto del Papa che torna dal Palazzo Apostolico a Casa Santa Marta in pulmino insieme agli altri cardinali. La novità è tale che qualcuno pensa a un fotomontaggio. Ma è tutto vero. Come è vero (e nuovo) che al momento di prendere l’ascensore Francesco invita alcuni porporati a entrare con lui, che nei giorni seguenti si reca alla Casa del clero di via della Scrofa (dove ha alloggiato prima del conclave) per pagare il conto e che stabilisce la sua residenza a Santa Marta, rinunciando anche a Castel Gandolfo. Successivamente stupiranno la scelta di spostarsi dentro Roma con una semplice Ford Focus o (all’estero) con utilitarie, di portarsi la borsa da sé nei viaggi e di andare a comprarsi le lenti in un’ottica di via del Babuino. Sono gesti che parlano di una quotidianità papale "desacralizzata". Francesco resta a contatto con il mondo. E questo ne aumenta l’autorevolezza.
Parlare per immagini - La lingua creativa di Bergoglio
Il Papa parla per immagini. La Chiesa ospedale da campo, la Chiesa in uscita, i cristiani da pasticceria, la corruzione spuzza, la misericordina, mafiarsi, il clericalismo è un tango che si balla in due, l’ecumenismo del sangue, sono solo alcune delle sue espressioni più citate, spesso tratte dal vernacolo di Buenos Aires. Si potrebbe eccepire che le parole non sono gesti. Ma il gesto in questo caso consiste nel rifiuto dell’ecclesialese, in favore della lingua di tutti i giorni appresa nell’azione pastorale. Vino nuovo in otri nuovi anche dal punto di vista del vocabolario. O se si vuole, pastore con l’odore della pecore, anche in campo linguistico.
Lampedusa, Lesbo e il Muro - Dalla parte degli ultimi
«Come vorrei una Chiesa povera e per i poveri». Il manifesto programmatico del Pontificato, enunciato nel primo incontro con i giornalisti, riceve dalla «enciclica dei gesti» la sua puntuale attuazione. Francesco è presente su tutte le frontiere della carità: migranti (le visite a Lampedusa e a Lesbo, la Messa al confine tra Usa e Messico, la sosta al Muro dei Territori palestinesi), senza tetto (il servizio docce e il barbiere in piazza san Pietro, un dormitorio poco lontano, la Sistina aperta anche a loro, un pomeriggio al circo), tossicodipendenti e anziani (i gesti di misericordia una volta al mese nell’Anno Santo), carceri. Ma è nella liturgia della lavanda dei piedi del Giovedì Santo che papa Bergoglio raggiunge il culmine di questa attenzione. Fin dal primo anno esce dalla Basilica vaticana per ripetere in alcuni luoghi simbolo (un carcere minorile, un istituto per disabili, il Cara di Castelnuovo di Porto) il gesto di Gesù. Il Papa vede nei poveri la carne di Cristo e con questa identificazione dà la migliore dimostrazione che la Chiesa non è semplicemente una Ong.
Il Papa a Lesbo |
Un selfie con Francesco - Il primo Papa «social»
Se Benedetto XVI è stato il primo Pontefice ad avere un account Twitter, Francesco ha confermato questa presenza, allargandola recentemente anche a Instagram. Sul primo dei due social ha raggiunto quasi 30 milioni di followers e ha più retweet di Obama. Il Papa sceglie personalmente le frasi da postare, mentre su Instagram vengono rilanciate foto e pensieri pensate come prolungamento della sua attività. Emblematico è a tal proposito il chirografo diffuso proprio per la Giornata delle Comunicazioni sociali. Un gesto di grande attenzione al mondo del web, di cui Brgoglio dimostra di conoscere il linguaggio e le peculiarità. Come quando ad esempio non disdegna di posare per un selfie con i giovani. Il primo Papa social della storia esprime così la Chiesa in uscita persino verso quello che alcuni chiamano «il sesto continente».
Il mate dalla coppa - Beati i giovani
Lo scorso 23 aprile hanno fatto il giro del mondo le immagini del Papa che, seduto su una semplice sedia, confessava alcuni ragazzi in piazza San Pietro. Già altre volte Francesco era entrato in confessionale nella Basilica Vaticana, dopo essersi lui stesso confessato come un semplice fedele. Ma quell’episodio si inserisce nel particolare capitolo dell’«enciclica dei gesti» che è il rapporto con i giovani. Francesco, la Gmg l’ha ereditata da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI. Ma come si è visto a Rio de Janeiro subito l’ha interpretata a modo suo. Gioia e preghiera, oggetti raccolti al volo a Copacabana e percorso delle beatitudini, il mate bevuto dalla coppa offertagli da un passante e celebrazione dei sacramenti. Così Bergoglio traduce per i giovani la Evangelii gaudium, ricordando loro che la vera felicità «non è un’app che si scarica sul telefonino» e che vivere senza Gesù è come se per un cellulare non ci fosse campo.
Pronto, sono Francesco - C’è il Papa in linea
"Pronto, sono Papa Francesco". Le telefonate "private" del Papa sono ormai diventate famose. Così come le interviste e alcune sue lettere agli amici o a personaggi del giornalismo, della cultura e persino della politica. Per non parlare poi delle conferenze stampa in aereo, durante le quali egli risponde "senza rete" alle domande. Destinatari privilegiati di questa parte dell’«enciclica dei gesti» sono i più lontani. E valga per tutti la battuta di Raoul Castro, dopo l’incontro in Vaticano che precedette la visita a Cuba: «Se continua così, potrei anche tornare ad andare a Messa». Ma non è questione di proselitismo. La chiave interpretativa vera l’ha data proprio il Papa in un tweet di qualche giorno fa: «Ciò che diciamo e come lo diciamo, ogni parola e ogni gesto dovrebbe poter esprimere la compassione, la tenerezza e il perdono di Dio». L’«enciclica dei gesti» parla della misericordia. Così viene scritta. E così va letta.
(fonte: Avvenire 15/06/2016)