A Oslo il sesto Congresso mondiale sulla pena di morte.
Perché uccidere non è mai la soluzione
Un appuntamento molto importante, che vuole rinnovare un impegno globale e una lotta a favore della dignità della persona umana. Si apre oggi a Oslo in Norvegia il sesto congresso mondiale contro la pena di morte. L’obiettivo principale è quello di aumentare la sensibilizzazione dell’opinione pubblica internazionale e cercare di convincere sempre più Paesi ad aderire a una moratoria completa contro le esecuzioni capitali in linea con le risoluzioni delle Nazioni Unite. L'iniziativa è promossa dalla ong francese Ensemble Contre la Peine de Mort e dalla World Coalition Against Death Penalty, di cui fanno parte circa 140 organizzazioni da tutto il mondo e con il contributo del ministero degli Esteri della Norvegia. L’assise si riunisce con cadenza triennale: la prima edizione si è tenuta a Strasburgo nel 2001.
Che la pena di morte sia un tema di stringente attualità è cosa sotto gli occhi di tutti. Come dimostra il caso di Susan Kigula, condannata a morte in Uganda perché accusata di aver ucciso il compagno. Era destinata all’impiccagione, ma nei quindici anni passati nel braccio della morte non si è arresa. Ha continuato a lottare, promuovendo una campagna contro l’esecuzione capitale. Susan ha lanciato una petizione che ha portato la Corte suprema del Paese africano a dichiarare incostituzionale la pena di morte obbligatoria per certi reati, tra cui l’alto tradimento, il terrorismo, la rapina aggravata e l’omicidio. È uscita dal carcere cinque mesi fa: ora è libera e sarà presente a Oslo. La sua storia ha fatto il giro del mondo. «La pena capitale non serve, non funziona come deterrente. Lo vediamo in Uganda, così come negli Stati Uniti: aumentano le esecuzioni, ma non mi pare che i reati diminuiscano» ha dichiarato.
Oggi più di due terzi dei Paesi nel mondo hanno abolito la pena di morte per legge o nella pratica: 102 Paesi l’hanno abolita per ogni reato; sei l’hanno abolita salvo che per reati eccezionali, quali quelli commessi in tempo di guerra o in circostanze particolari; 32 sono abolizionisti de facto poiché non vi si registrano esecuzioni da almeno dieci anni oppure hanno stabilito una prassi o hanno assunto un impegno a livello internazionale a non eseguire condanne a morte. In totale — i dati sono di Amnesty International — 140 Paesi hanno abolito la pena di morte nella legge o nella pratica. Cinquantotto Paesi la mantengono in vigore, ma il numero di quelli dove le condanne a morte sono eseguite è molto più basso. Gli ultimi ad abolire la pena capitale sono stati, nel 2015, la Repubblica Democratica del Congo, le Fiji, il Madagascar e il Suriname. I numeri delle esecuzioni restano tuttavia drammatici. Nel 2015 almeno 1634 persone sono state giustiziate in 25 diversi Paesi.
L'Osservatore Romano, 22 giugno 2016
Questo pomeriggio è intervenuto con un videomessaggio anche Papa Francesco che proprio in apertura dell’Anno Santo dedicato alla misericordia ha fatto appello ai governanti perché fermino di eseguire le sentenze durante l’anno del Giubileo: “Serve consenso internazionale per l’abolizione della pena capitale”, ha detto Bergoglio nel dopo Angelus del 21 febbraio scorso.
“La pena di morte è inammissibile, per quanto grave possa essere il reato per il quale una persona sia stata stata condannata. È un’offesa all’inviolabilità della vita e alla dignità della persona umana; contraddice il piano di Dio per l’uomo e la società, e la sua giustizia misericordiosa”, ha affermato il Papa. “Non si deve dimenticare che il diritto inviolabile alla vita, dono di Dio, appartiene anche al criminale”. E in ogni caso la pena di morte “non rende giustizia alle vittime e invece favorisce la vendetta”. Bergoglio ha chiesto anche condizioni carcerarie migliori, nel rispetto della dignità delle persone, e un reinserimento nella società per i colpevoli perché “una pena che non lascia speranza è una forma di tortura”.