le parole-chiave della Costituzione
di Bruno Forte
Arcivescovo di Chieti-Vasto
Arcivescovo di Chieti-Vasto
La Festa della Repubblica, di cui è ricorso il 70° anniversario lo scorso 2 giugno, e le elezioni amministrative, dove i cittadini sono chiamati a esprimere in modo particolarmente diretto la loro a partecipazione alla vita della comunità civile, mi offrono lo spunto per una riflessione su quel testo di singolare ricchezza che è la nostra Costituzione repubblicana. Approvato dall'Assemblea Costituente il 22 dicembre 1947 e promulgato dal Capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola il 27 dicembre 1947, il testo costituzionale fu il frutto della confluenza delle tre grandi anime, che cooperarono alla ricostruzione fisica e morale del Paese dopo la tragedia della guerra e della dittatura che ad essa aveva condotto l'Italia: l'anima cattolica, quella liberale e quella socialista. Non si sbaglierebbe, però, nel riconoscere nel personalismo di ispirazione cristiana la sua fonte più ricca in materia di valori, che erano stati compendiati nel cosiddetto Codice di Camaldoli, documento elaborato al termine di una settimana di studio (18-23 luglio 1943) tenutasi nel monastero di Camaldoli, presso Arezzo, cui avevano partecipato una cinquantina di giovani dell'Azione Cattolica Italiana e della Federazione Universitaria Cattolica (FUCI), per stabilire le linee dello sviluppo futuro del Paese una volta finita la guerra. I principi guida furono elaborati da Sergio Paronetto, Pasquale Saraceno, Ezio Vanoni. Alla stesura definitiva parteciparono Mario Ferrari Aggradi, Paolo Emilio Taviani, Guido Gonella, Giuseppe Capograssi, Ferruccio Pergolesi, Vittore Branca, Giorgio La Pira, Aldo Moro, Giulio Andreotti, Giuseppe Medici. Nei 99 punti del testo emergeva non solo l'idea della centralità della persona nella futura organizzazione dello Stato, ma anche la proposta di un sistema di partecipazione statale, che traduceva nella realtà produttiva del Paese l'idea della comunità delle persone intesa come solidarietà: un sistema che, nelle successive attuazioni, si rivelerà come il più esteso in tutto il mondo occidentale. Decisivo per la comprensione e l'attuazione del dettato costituzionale è il pensiero personalista. Maturatosi a partire dalle grandi dispute cristologiche dei primi secoli dell'era cristiana, il concetto di persona abbraccia due grandi campi di significato, quello della singolarità e quello della relazione: nella tensione fra l'uno e l'altro, la persona si offre come soggetto assolutamente unico, la cui dignità tiene insieme il principio della singolarità e dell'uguaglianza di tutti gli esseri umani, quello della responsabilità verso sé e verso gli altri e quello della solidarietà. L'affermazione dell'assoluta singolarità dell'essere personale costituisce il baluardo teoretico contro ogni possibile manipolazione delle persone e la sorgente profonda del riconoscimento della loro dignità. La Costituzione recepisce questo principio nell'art. 2, dove si afferma che “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo”. L'uso del verbo “riconoscere” implica la preesistenza di questi diritti rispetto allo stesso loro riconoscimento giuridico, il fatto cioè che essi sono considerati naturali, non creati giuridicamente. Si avverte in questa affermazione la reazione al totalitarismo e alla sua concezione dello Stato come fonte assoluta del diritto. Al principio di singolarità si connette immediatamente quello di uguaglianza, affermato nell'art. 3, secondo cui tutti i cittadini, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni sociali e personali, sono uguali davanti alla legge (uguaglianza formale, comma 1) e devono poter sviluppare pienamente la loro personalità sul piano economico, sociale e culturale (uguaglianza sostanziale, comma 2). L'importanza e l'attualità di questi principi è facilmente intuibile nel campo della tutela delle minoranze, dei lavoratori, delle donne, dei diversamente abili, ed oggi in modo speciale nel rispetto dovuto alla persona degli immigrati, quale che sia il loro stato giuridico di cittadinanza. Il principio responsabilità esplicita il fatto che la singolarità della persona, lungi dal ripiegarla su di sé, fonda l'eticità, esigendo il farsi carico dei pesi propri e altrui (responsabilità da “pondus”, peso), perché riconoscere la dignità personale nel soggetto esige di riconoscerla anche nella persona di ogni altro essere umano. Nessun uomo è un'isola e a nessuno è lecito disinteressarsi del bene comune! La Costituzione recepisce il principio responsabilità anzitutto affermando il pluralismo delle formazioni sociali, degli enti politici territoriali, delle minoranze, delle confessioni religiose, delle associazioni, delle idee, delle istituzioni scolastiche e di cultura, dei sindacati e dei partiti politici. Il principio responsabilità è parimenti alla base del cosiddetto principio di laicità e di tolleranza, in forza del quale lo Stato e le comunità religiose, “in primis” la Chiesa cattolica, sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani (art. 7) e tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge (art. 8). Infine, al principio persona e a quello di responsabilità consegue il principio di solidarietà, espresso chiaramente nell'art. 2, comma 2, che riassume l'interpretazione che la Costituzione ha dato del concetto di stato sociale: “La Repubblica… richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Nella luce di una tale solidarietà si comprende l'idea del lavoro inteso non solo come rapporto economico, ma anche e particolarmente come valore sociale, non solo come diritto, bensì anche come dovere. In questa luce chi è senza lavoro non solo non deve essere discriminato, ma ha diritto a che lo Stato provveda a tutti i possibili ammortizzatori sociali e alla ricerca di soluzioni lavorative rispettose della dignità della persona. Parimenti, alla solidarietà s'ispira il principio di democrazia, in forza del quale ogni cittadino ha il diritto e il dovere di partecipare alla costruzione del bene comune: si pensi in quest'ottica agli organi elettivi e rappresentativi, che sono certo fondamentali, ma non immutabili, perché potrebbero essere snelliti e modificati nel cambiamento delle condizioni socio-politiche del Paese (come ora ad esempio con la nuova configurazione del Senato). Parimenti, dal principio di solidarietà deriva il principio di maggioranza inseparabile dalla tutela della minoranze, e il rispetto dei processi decisionali politici e giudiziari, che devono essere trasparenti e aperti a tutti. Soprattutto, però, la solidarietà si esprime nella sovranità popolare e si estende dalle persone ai gruppi, fino alla grande famiglia dei popoli e alla mondialità. In questa, linea il principio solidarietà esige un impegno solenne e prioritario a favore della pace: come viene sancito all' art. 11, la Repubblica italiana ripudia la guerra e promuove gli organismi internazionali atti ad assicurare il mantenimento della pace e della giustizia fra le Nazioni. Aspetti concreti di solidarismo si ritrovano nel ruolo decisivo riconosciuto dalla Costituzione alla famiglia fondata sul matrimonio e nel richiamo al dovere e diritto dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli; nel riconoscimento della salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività; nell'affermazione del diritto di tutti alla scuola. Tenere insieme questi aspetti, rispettandone le esigenze, è il difficile equilibrio cui deve tendere l'impegno di ogni cittadino e il servizio di quanti esercitano l'attività legislativa, quella esecutiva e quella giudiziaria nella collettività. In questa prospettiva, la fedeltà alla Costituzione si offre come la cartina da tornasole su cui misurare l'affidabilità di chiunque voglia spendersi per il bene comune. Riappropriarsi continuamente dei principi ispirativi della nostra Carta fondamentale, promuoverne la piena conoscenza e realizzazione, è una sfida e un compito, perfino una missione, cui tutti i cittadini sono chiamati, senza distinzioni ed eccezioni di sorta. Che questo avvenga deve stare veramente a cuore a tutti. Bruno Forte è Arcivescovo di Chieti-Vasto
(fonte: “Il Sole 24 Ore” del 5 giugno 2016)