Padre
di Antonio Savone
‘Quando pregate, dite: Padre’…
Un Dio col quale è possibile intessere relazioni di familiarità: questo è il Dio di cui ci narra la Parola imbandita per noi in questa giornata. All’uomo, ad ogni uomo che pure parte da una condizione di piccolezza Dio si fa vicino ponendo sulle sue labbra il nome di Abbà-padre. Ripetere questo nome significa accedere alla comprensione del nostro nome più vero: figlio amato di un amore eterno.
A noi è consegnato un volto, quello del Padre.
Abbà è la parola chiave del Vangelo, una parola che Gesù ha ripetuto continuamente e in modo unico nel momento della scelta decisiva, nel momento in cui la prospettiva è quella della morte. Anche quello è il momento della fiducia che la vita non affonderà nel nulla, ma fra le braccia di un amore. Il Padre nostro lo si capisce proprio in questa situazione limite.
Abbà è il nome proprio di Dio, nome di relazione, appunto, ed esprime un Dio che è in mezzo a noi con bontà, misericordia, tenerezza. Questo nome di relazione ci dice che non nasciamo per chissà quale strana combinazione di cellule, che non viviamo solo per delle coincidenze e non moriamo per caso come votati al nulla, ma che tutta la nostra esistenza è sotto il segno di una paternità. La radice e la possibilità della preghiera e della fede è ciò che Dio ha fatto per me, non ciò che io faccio per Dio. Rivolgersi a Dio chiamandolo Padre significa accettare di stare in una relazione in cui riconosco che io non mi sono fatto da solo: qualcun altro mi ha voluto! E perciò posso stare al mondo solo se accetto di vivere in un atteggiamento di fiducia. Riconoscere di avere un Padre significa accettare di aver ricevuto la vita.
Ma di quale padre si tratta? Il Padre che Gesù è venuto a manifestare è un padre che rompe i ruoli e contro tutte le regole del patriarcato corre incontro al figlio scapestrato di ritorno a casa.
Ai discepoli che chiedono di essere introdotti in un metodo di preghiera e perciò una modalità espressiva che li caratterizzi (insegnaci a pregare come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli), Gesù consegna, dunque, l’esperienza di una relazione, la stessa che egli da sempre vive con il Padre e nella quale vuole introdurre chiunque si apre ad accogliere l’offerta del vangelo. Una relazione alla quale è possibile accedere proprio come quando si va dalla persona amata, così come si è, magari anche con i vestiti sporchi, sicuri di essere accolti, amati e ascoltati. Una relazione nella quale ciò che conta non è la correttezza del linguaggio che usi ma la fiducia che anima il tuo permanere lì di fronte all’altro. Una relazione nella quale si diventa sempre più consapevoli della profonda comunione di cui Dio vuole metterci a parte, come dirà il padre della parabola al figlio maggiore: Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo.
Ecco perché le parole che Gesù consegna ai discepoli non sono una tecnica ma traducono un rapporto.
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