'Un cuore che ascolta - lev shomea'
Concedi al tuo servo un cuore docile,
perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male" (1Re 3,9)
Traccia di riflessione sul Vangelo della domenica
di Santino Coppolino
Vangelo: Mt 22,15-21
"Restituite a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio !"
E' la risposta di Gesù alla domanda trappola posta dai suoi avversari. Egli è diventato un serio pericolo per coloro che detengono in Israele il potere religioso e politico, tanto da far alleare due gruppi fra di loro avversari: i Farisei, i giusti, gli irreprensibili quanto alla giustizia che deriva dalla Legge (cfr.Fil 3,6), i separati dal resto degli uomini considerati peccatori e perciò impuri; essi si opponevano all'occupazione dei romani (che vedevano come una punizione di Dio) e alle loro tasse; e gli Erodiani, i sostenitori del tetrarca Erode Antipa, allineati con il potere, anche con quello di Roma. La domanda che essi pongono, con annessa la 'captatio benevolentiae', mette in serio pericolo la sicurezza personale di Gesù perché, qualunque cosa egli risponda, può essere accusato di tradimento, o dal suo popolo o dai romani. La sua risposta sembra eludere la domanda, invece Gesù vuole condurre i suoi interlocutori su un livello differente: cosa è dovuto a Cesare, e cosa a Dio ?
Questa la ragione della richiesta di Gesù di vedere la moneta del tributo - il census - la tassa pro capite riscossa in Palestina da tutti gli abitanti - schiavi, donne e bambini compresi - dai 12 fino ai 65 anni. Sulla moneta, oltre alla effigie del Cesare c'era una scritta che diceva: "TIBERIUS CAESAR DIVI AUGUSTI FILIUS AUGUSTUS PONTIFEX MAXIMUS"(Tiberio Cesare, Augusto figlio del Divino Augusto, Sommo Sacerdote). Il motivo della richiesta di Gesù adesso appare più chiaro: se possiedi la moneta di Cesare ne riconosci l'autorità e gli devi obbedienza. La scena si svolge nel Tempio dove era fatto assoluto divieto di introdurre monete non ebraiche, in modo particolare quelle
recanti effigi idolatriche, come quella del tributo appunto, che divinizzava l'imperatore. Farisei e Erodiani stanno trasgredendo il 2° Comandamento (Es 20,4) e mostrando il vero volto del loro dio: il danaro. Sono caduti nella loro stessa trappola e sono accusati da Gesù di idolatria, il peccato in assoluto più grave secondo la Torah. La risposta data da Gesù non è certo un invito a pagare la tassa oggettivamente iniqua, quanto un invito a 'RESTITUIRE' (non a DARE) a Cesare ciò che gli appartiene, cioè l'idolatria del potere, del danaro e della forza, disconoscendo la sua divinità e la sua signoria. E di 'restituire a Dio ciò che è di Dio', cioè ogni cosa, ogni bene, la vita dei suoi figli, il suo popolo. Tutto appartiene a Dio e nulla appartiene a Cesare, soprattutto quando Cesare si impone come potere assoluto. "Poiché, dice il Signore, Io sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo" (cfr. Lv 26,12; Ger 7,23; Ez 37,28).