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sabato 4 ottobre 2014

Le levatrici d’Egitto/2 - Il nostro è un Dio che ascolta e "ricomincia" la cura per noi di Luigino Bruni

Le levatrici d’Egitto/2
Riflessione sul libro dell'Esodo


Il nostro è un Dio che ascolta

e "ricomincia" la cura per noi 


di Luigino Bruni






La prima preghiera che incontriamo nella Bibbia è un grido, un urlo verso il cielo che si alza da un popolo oppresso. Per fare l’esperienza della liberazione occorre prima aver sentito il bisogno di essere liberati, e poi gridare, credendo o sperando che di là, o lassù, ci sia qualcuno a raccogliere quel grido. Se invece non ci sentiamo oppressi da nessun faraone, o se abbiamo perso la speranza che qualcuno ascolti il nostro grido, non abbiamo ragioni per gridare e non siamo liberati
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I patriarchi e i profeti biblici non sono eroi né modelli di virtù. Ci si mostrano come donne e uomini tutti interi, talmente umani da includere nel loro repertorio persino il gesto omicida di Caino. È sulla loro umanità a tutto tondo che arrivano le loro immense vocazioni, che iniziano e terminano le loro grandi esperienze spirituali e sempre umane. Solo se prendiamo su di noi la loro umanità tutta intera, può accadere che le loro storie di salvezza diventino anche le nostre, nostre le loro speranze e le loro liberazioni.
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I ricchi e i potenti non gridano, e così non possono essere liberati: restano schiavi nelle loro opulenze, e non fanno l’esperienza della liberazione, che è tra le più grandi e sublimi che la terra conosca. La grande indigenza della nostra società è indigenza di liberazioni, perché le ricchezze fittizie di merci ci stanno convincendo di non aver più bisogno di essere liberati. Siamo schiavi in altri lavori forzati, ma le nuove ideologie dei nuovi faraoni riescono a non farci sentire il bisogno di liberazione. Non c’è schiavitù più grave di chi non avverte la propria condizione di schiavo. È una schiavitù peggiore di quella di chi, sentendosi oppresso, non grida più perché crede che nessuno lo potrà ascoltare e liberare (che pur sono abbondanti nelle nostre città mute). Oggi i ‘popoli’ più poveri sono quelli opulenti che non gridando non vedono o non riconoscono Mosè, e non assistono al miracolo di un mare che si apre verso una terra dove ‘scorre latte e miele’. ..."

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