di
Enzo Bianchi
Non è difficile immaginare il sorriso sereno sul volto ora trasfigurato di Madeleine Delbrêl al vedere che un papa non solo parla di “periferie” – dal marzo scorso non si contano più gli uomini di chiesa che usano questa espressione – ma che da sempre le ha conosciute, visitate e amate; o ancora al sentire dire dal vescovo di Roma: “ho conosciuto diversi marxisti che erano brave persone e quindi quell’aggettivo non mi offende”. Sorriderà Madeleine Delbrêl, perché lei in periferia, in una città satellite di Parigi, feudo comunista, ci è andata a vivere deliberatamente. E con “brave persone” conosciute tra i marxisti ha collaborato a lungo per la giustizia e la solidarietà.
Certo, quando nel 1935 la Delbrêl si trasferisce con alcune compagne al numero 11 di rue Raspail a Ivry-sur-Seine per una presenza e una testimonianza cristiana al cuore di un quartiere operaio, non sono molti nel mondo cattolico a capire quella follia di una donna tenace e dolcissima. E ancora meno sono quelli che pensano di sostenerla in questo suo modo insolito di vivere la fede come “coinvolgimento della vita eterna nella storia”.
Oggi, un’associazione di amici di Madeleine Delbrêl cerca di ridare vita e decoro a quel semplice appartamento che ha visto brillare una scintilla di vita evangelica durante una trentina d’anni, fino alla morte di Madeleine, e poi, fino a due anni fa, la fedele presenza di un vita comune ispirata da quella “convertita” che a vent’anni aveva scoperto “questa fortuna meravigliosa: Dio esiste”. È da lì, da quella “cintura rossa” allora vero e proprio cuore pulsante del comunismo francese, dal quotidiano vivere e faticare anche con quanti non condividono la sua fede, che il cuore, l’azione e gli scritti di Madeleine Delbrêl spaziano nelle speranze e nelle difficoltà della chiesa attraversata dai fermenti che condurranno al Vaticano II. “Semplici cristiane desiderose di vivere insieme il Vangelo”, Madeleine e le sue tre compagne delle prima équipe sentono nella libertà dei figli di Dio il loro spazio vitale e, allo stesso tempo, il fondamento del loro agire: “Siamo libere da ogni obbligo, ma dipendiamo totalmente da una sola necessità: la carità”.
Quando si obbedisce alla carità, l'obbedienza può diventare persino una danza, una "festa senza fine dove si rinnova l'incontro con Te" e dove "la monotonia e la noia sono prerogative delle anime stantie che fanno da tappezzeria nel gioioso ballo dell'amore". Se pensiamo che questa Ballata dell'obbedienza la Delbrêl la scrisse il 14 luglio 1949, festa nazionale francese, due settimane dopo il decreto del Sant'Uffizio che proibiva ai cattolici qualsiasi collaborazione con i comunisti, possiamo anche capire il prezzo che a volte si deve pagare per danzare nella paradossale libertà dell'obbedienza.
Del resto, di paradossi portatori di vita la Delbrêl ne ha collezionati una quantità incredibile: basta ripercorrere la sua vicenda e rileggere i suoi scritti per rendersi conto di cosa possa essere la differenza cristiana vissuta nella compagnia degli uomini in piena solidarietà, senza alcuna esenzione o privilegio. "Se ami il deserto – farà dire la Delbrêl ad Alcide, simpatica figura immaginaria di monaco, suo alter ego letterario – non dimenticare che Dio gli preferisce gli uomini... Se vai in capo al mondo, trovi delle tracce di Dio; se vai al fondo di te stesso, trovi Dio in persona". Sì, perché "noi altri, gente di strada, crediamo con tutte le nostre forze che questa strada, che questo mondo nel quale Dio ci ha posto sia il luogo della nostra santità".
Allora anche una vecchia casa di periferia – con i suoi muri silenziosi, le sue finestre affacciate su una strada qualsiasi, le sue stanze di dignitosa povertà – può ricordarci come nel vissuto ecclesiale e sociale ci sono stagioni che mutano, tempi propizi e momenti più travagliati. E nella chiesa, come nella società, ci sono sì persone che fiutano il vento che tira e si affrettano a correggere la rotta secondo convenienza, ma ci sono anche uomini e donne che sanno anticipare le svolte e precorrere i tempi, disposte anche a pagare lo scotto del loro discernimento anticipato e della fedeltà a un'intuizione evangelica. Per poi magari sorridere da un angolino periferico di quel regno di cui avevano voluto anticipare qualche tratto.
Pubblicato su Avvenire il 5 gennaio 2014
(fonte: blog dell'autore)