di Bruno Forte
arcivescovo di Chieti-Vasto
"Esattamente cinquant'anni fa (il 5 gennaio 2014) Hannah Arendt, la filosofa ebrea tedesca allieva di Martin Heidegger e di Karl Jaspers, pubblicava l'edizione definitiva del suo libro "La banalità del male", frutto del lavoro svolto a Gerusalemme come inviata del "New Yorker" per seguire lo storico processo ad Adolf Eichmann. Il criminale nazista responsabile dello sterminio di milioni di Ebrei era stato catturato l'anno prima a Buenos Aires dove aveva vissuto indisturbato per anni. Il "reportage" della Arendt si sviluppava in una serie preziosa di considerazioni morali, che furono poi raccolte e ampliate nel libro. La tesi che emerge dalle straordinarie pagine di questo testo è per molti aspetti sconcertante: «Il guaio del caso Eichmann era che di uomini come lui ce n'erano tanti e che questi tanti non erano né perversi né sadici, bensì erano, e sono tuttora, terribilmente normali. Dal punto di vista delle nostre istituzioni giuridiche e dei nostri canoni etici, questa normalità è più spaventosa di tutte le atrocità messe insieme» (282). Il messaggio che scaturiva dal caso Eichmann, quello «che il suo lungo viaggio nella malvagità umana ci aveva insegnato», era per la Arendt «la lezione della spaventosa, indicibile e inimmaginabile banalità del male» (259). Su questa lezione mi sembra importante ritornare perché, fatte salve le ovvie differenze fra quello che fu "il male assoluto" e quelli che sono i mali del nostro presente, non c'è dubbio che molti di essi derivino dalla mentalità del "così fan tutti", giustificata dai cattivi maestri della scena pubblica, in particolare di quella politica. Provo ad articolare questa riflessione sull'insinuante presenza della "banalità del male" su tre fronti, che convergono nel male endemico e distruttivo della corruzione: la perdita diffusa del senso del dovere; il rimando alle altrui responsabilità per scaricare le proprie; la disaffezione nei confronti del bene comune, a favore di quello personale o della propria "lobby". ... (Bruno Forte)
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La nuova «banalità del male» di Bruno Forte