nella 28ª Domenica del Tempo Ordinario
Anno C - 13 ottobre 2013
2 Re 5,14-17 2
Sal 97,1-Tm 2,8-13
Lc 17,11-19
"C'è la fede dei nove, una fede che guarisce sì dalla lebbra, ma non salva.
E c'è la fede di questo samaritano, di questo straniero, l'unico che ritorna -sembra di vederlo- "lodando Dio a gran voce", fede che guarisce sì dalla lebbra, ma soprattutto salva: a lui, a lui solo è detto: "la tua fede ti ha salvato".
E il discorso, voi lo capite, viene subito a me: la mia è una fede che salva, oppure è una fede che modifica qualcosa fuori, ma in profondità non salva?
Potrebbe anche la mia essere la fede di quei nove?
Come era la fede dei "nove che non ritornarono"?
Una fede dominata dalla legge; si muove entro l'arco, piuttosto rigido, delle cose prescritte.
Era prescritto presentarsi ai sacerdoti. Ci vanno.
E' la religione del "io ti do, tu mi dai".
Tu mi dai la guarigione, io ti do un'offerta, quella prescritta. E così siamo a posto.
Una norma fredda che spegne il cuore.
Guardate invece il samaritano, l'uomo straniero, straniero ai calcoli. Lo conduce il cuore, fa le cose che non sono scritte, parla ad alta voce per strada.
Capisce che il problema non è dare qualcosa, ma dare se stesso.
E' l'uomo che esplode con la sua spontaneità, con la sua dolcezza, con la sua passione. E' l'uomo "salvo dentro".
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