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martedì 29 luglio 2025

Padre Paolo Dall’Oglio, ricordarlo è importante per la Siria e per noi

Riccardo Cristiano

Padre Paolo Dall’Oglio, ricordarlo è importante
per la Siria e per noi


12 anni senza padre Paolo Dall’Oglio sono tantissimi, ma oggi ricordarlo è importante per la Siria, avvolta in una spirale drammatica di violenze settarie che sembra segnare il fallimento della speranza di un post-Assad diverso dal sistema degli Assad, e per noi, avvolti in una spirale drammatica di incapacità a rapportarci con quel mondo dimenticato, giudicato, a volte considerato solo per la sua esportazione di tragedie, e di profughi: milioni di profughi.

Se c’è un tratto del gigantesco lavoro di Paolo per la riscoperta del dialogo, dell’essenza del Mediterraneo, di una islamosofia che potesse evitare nuovi Afghanistan, è la sua scelta determinata e davvero profetica per evitare che la Siria divenisse quel buco nero che sempre più si dimostra poter diventare, rimosso ma inquietante davanti ai nostri occhi. Questo impegno era nel nome di un “federalismo non settario”. Sembrano parole, sono tragedie che coinvolgono milioni di perone e che oggi in Siria si chiamano tragedia degli alawuiti, tragedia dei drusi, dramma dei curdi, situazione a dir poco residuale e quindi ancora più drammatica dei cristiani.

Paolo aveva capito bene che Assad discriminando e perseguitando i sunniti, maggioranza del Paese che in gran parte ha deportato dal paese, aveva preparato una loro sete di vendetta, quella che andava evitata, curata, dissetata, riconoscendo il loro dolore e predisponendo un “federalismo non settario” che costruisse relazioni interpersonali sui territori tra persone di diverse comunità e che valorizzando i territori desse rilievo non solo comunitario alle espressioni delle diverse realtà siriane. Nella zona dei drusi, ad esempio, non vivono solo i drusi, e solo se tutti si fossero sentiti coinvolti nella costruzione di una leadership territoriale, i drusi inviati a Damasco avrebbero potuto rappresentare gli interessi anche di altri. Che vivono nei loro stessi territori. Sconfiggere Assad significava in buona sostanza sconfiggere il meccanismo tribale e del risentimento, dell’astio tra comunità, creato per mezzo secolo dal regime.

Il regime di Ahmed al Sharaa ha fatto esattamente il contrario, ha scelto come suo riferimento, proprio come aveva fatto Assad, una base settaria, tribale, confessionale e escludendo gli altri, attaccandoli, discriminandoli, compiendo autentiche stragi davanti a quelle che ha considerato provocazioni, ribellioni.

Il federalismo non settario, per evitare nuovi Afghanistan, sul quale mi aveva detto che si sarebbe giocato l’osso del collo, resta l’obiettivo di milioni di siriani discriminati, divisi da un sistema che mira a chiuderli in ghetti tribali, settari, per intestarsi la rappresentanza di tutti i sunniti, rappresentanza che non ha.

Ma questo lavoro andava accompagnato dalla sua idea di una islamosofia che non criminalizzasse, discriminasse, guardasse con fare altezzoso l’arabo sunnita. La teosofia avrebbe capito con chiavi di lettura diverse i guasti causati da uno scontro tra ideologie malate di diversa natura, di opposto orientamento, che da decenni affliggono gli arabi.

La storia degli Stati nazionali arabi è cominciata male, con il colonialismo. L’idea di Stati sovrani è arrivata in quei territori (se si esclude l’Egitto) con la fine della Prima Guerra Mondiale e lo smembramento dell’impero ottomano, quando la Società delle Nazioni affidò alle grandi potenze europee vincitrici del conflitto il compito di favorire la nascita di Stati moderni in vasta parte dei territori degli imperi sconfitti, quello ottomano e quello tedesco. Alla Francia questo compito fu affidato per l’odierna area siro-libanese. Di lì a breve si insediò a Damasco il generale Henri Gouraud, per avviare l’impresa. Al suo fianco Parigi pose quale segretario il diplomatico e visconte Robert de Caix de Saint‑Aymour. Questi, stando alla ricostruzione storica di Peter Shambrook– durante uno dei loro primi colloqui- fece presente al generale che a suo avviso disponevano di due sole opzioni: “costruire una nazione siriana che non esiste, ammorbidendo le profonde frizioni che la dividono, o coltivare e mantenere questo fenomeno, che richiede il nostro arbitrato, frutto di queste divisioni. Devo dirle che la seconda opzione è la sola che mi interessi”.

Quando l’esperienza coloniale si concluse e la Siria divenne uno Stato sovrano emerse ben presto un’instabilità politica che portò a diversi colpi di Stato, coronati da quello degli Assad. Appartenenti alla minoranza degli alawiti, gli Assad si confrontarono con il problema del consenso: il capostipite, Hafez, affidò ruoli di primo piano nella sua giunta a familiari, a cominciare dal fratello, ma si rese rapidamente conto che essendo espressione di una minoranza che rappresentava circa il 10% della popolazione mentre i sunniti erano la maggioranza assoluta, il principale problema da cui avrebbe dovuto guardarsi era la temibile infedeltà sunnita: un sunnita avrebbe potuto scalzarlo facilmente e avere una base di riferimento assai più ampia. Così affidò a persone di sua fiducia, quasi tutte della sua comunità, gli incarichi più importanti, i servizi di sicurezza. Conosceva la visione di Robert de Caix de Saint-Aymour? Di certo non cercò la benevolenza dei sunniti, ma schiacciò la protesta insurrezionale dei Fratelli Musulmani, parte della comunità sunnita, con ferocia inusitata. Il massacro di Hama, quando in poche ore furono eliminati decine di migliaia di residenti, ne è dal 1982 il manifesto ideologico. L’urto confessionale per governare era garantito anche da piccoli gruppi di provocatori assoldati dal regime, che compivano incursioni in territori di altre comunità, creando risentimento, dissidi, e rafforzando il “centralismo assadista”, fondato su lealtà tribali (o personali) e autorità assoluta.

L’identificazione del clan degli Assad e dei suoi fedeli con tutta la comunità alawuita è stato il prodotto odioso della semplificazione “comunitarista” che ha portato di recente al massacro di contadini, donne, anziani e bambini alawuitii. Le sofferenze dei sunniti durante la feroce e interminabile stagione degli Assad non consentivano a questi ultimi di vedere le sofferenze di molti alawuiti durante la stessa stagione assedista: loro erano i nemici. I gerarchi alawiti del sistema Assad ne erano la feroce espressione. Dopo la conquista del potere da parte di Ahmed al-Sharaa e delle sue milizie islamiste sunnite sostenute dalla Turchia, un gruppo di ufficiali fedeli al deposto Bashar al Assad, a marzo di quest’anno, ha tentato un’insurrezione armata da territori a maggioranza alawuita e molti sunniti hanno reagito in base ad un istinto automatico: scongiurare il golpe non di questo o quel generale, ma degli alawuiti. Milizie jihadiste affiliate direttamente e indirettamente al sistema di potere del nuovo presidente (sunnita) hanno fatto strage, casa per casa, quartiere per quartiere, di alawuiti, affiancate in questo da pezzi di popolo sunnita inferocito, timoroso, desideroso di vendetta per i passati torti, per le vessazioni di mezzo secolo. Dopo ore tremende il governo ha fermato ( o rallentato) la mattanza, nominato una commissione d’inchiesta, che ha promesso un report completo entro un mese, mai visto, almeno sin qui.

La tragica vicenda dei drusi e della carneficina che ha avuto luogo in questi giorni nella loro città, Sweida, è molto simile, è odio comunitario, desiderio di supremazia, e per quanto la carneficina risalga a settimane fa il dramma è ancora in corso, la capitale Swaida è chiusa ad ogni aiuto, emergono solo i racconti disperati di chi ad esempio è rimasto dentro caso con parenti uccisi, i cui corpi non si è potuto neanche portare all’obitorio.

La risposta per iniziare a costruire un futuro diverso è stata la Primavera araba, alla quale Paolo ha dedicato i suoi ultimi anni. Era un cambio di paradigma che “l’oscura cloaca” (espressione sua, felicissima) che circonda il mondo del terrorismo, fatta di narcotrafficanti, trafficanti d’armi, servizi segreti, servizi segreti deviati, affaristi senza scrupoli e regimi, ha dirottato infiltrando in Siria i gruppi jihadisti. I giovani della Primavera sono stati i veri nemici, i martiri di quell’infiltrazione che molto spesso è stata da noi addirittura identificata con le sue vittime. C’erano invece i regimi, tanti regimi, anche in conflitto tra di loro, dietro quell’infiltrazione. Perché quei regimi sono uniti dal terrore della democrazia e quindi della Primavera, dei giovani. Quei regimi, salvo quello di Assad, sono sopravvissuti alla Primavera, regalandoci l’oggi.

Rileggere Paolo Dall’Oglio aiuta a capire ma soprattutto a trovare la forza di guardare avanti. Grazie Paolo.
(fonte: Articolo 21 29/07/2025)

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PAOLO DALL' OGLIO, IL SACERDOTE SCOMPARSO DAL 2013

L’approfondimento dedicato alla scomparsa di Paolo Dall'Oglio è il tema della puntata di “Psiche Criminale. Scomparsi.”, condotto da Cinzia Scaglione sul canale 122. Gli ospiti: Francesca Dall'Oglio, sorella di Paolo, Riccardo Cristiano, giornalista e vaticanista, Andrea Umbrello, direttore editoriale "ultima voce", Giorgio Cella, analista politica internazionale, Antonella Napoli, giornalista e scrittrice, Domenico Quirico, giornalista, reporter, inviato di guerra.

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Per approfondire vedi anche il post precente (all'interno link ad altri post)

Padre Paolo Dall’Oglio, dubbi e misteri irrisolti