Solo i nomi
ci risvegliano all’umanità
di Tonio dell'Olio
Sul mercato della morte la vita di Quftu Abu Wahelow vale 100.000 dinari libici. Per tanto è stata venduta dai mercanti sudanesi di esseri umani ai libici di Kufra che l’anno stuprata e torturata per divertimento per un anno intero.
È morta che aveva 19 anni mentre sognava e cercava una condizione migliore di vita. Ascoltare da Mattia Ferrari la sua storia raccontata in un articolo per La Stampa, ci persuade ancora di più che solo strappando la miseria e l’ingiustizia all’anonimato, le nostre coscienze possono essere scosse fino a svegliarsi alla compassione e all’indignazione. Se tutte le vittime di Gaza si rivelassero ciascuna con la propria rete di affetti, di sogni, di vita… se solo a turno pronunciassero il proprio nome… scopriremmo ad esempio che ce ne sono alcune che non avevano ancora imparato a pronunciarlo il proprio nome, tanto erano piccoli! E di guerra in guerra, di sconfitta dell’umanità in sconfitta, di tragedia in tragedia ben oltre la danza macabra delle statistiche e delle cifre dei morti. I nomi, i nomi ci risvegliano all’umanità. Fuori i nomi! Ogni nome è un volto. E ogni volto è sacro.
(Fonte: Mosaico dei Giorni - 23.07.2025)
La tragedia di Quftu
morta di torture a 19 anni
nell'inferno della Libia
di Mattia Ferrari
Sorella, perdonaci. Sono queste le parole che sentiamo nel nostro cuore dopo la morte di Quftu Abu Wahelow, una nostra amica, l'ennesima vittima della violenza ai danni delle persone migranti. Quftu era una rifugiata etiope. Aveva 19 anni ed era al nono mese di gravidanza. È morta a Tripoli, nel grande buco della coscienza europea. Quftu era nata nel villaggio di Aje, nella zona di Arsi Lixa, distretto di Shala, in Etiopia. Dopo la morte del padre, la situazione per la famiglia era diventata completamente insostenibile. Per aiutare la madre e gli altri familiari, avevano dovuto prendere la difficile decisione di migrare e si erano trasferite ad Addis Abeba. In quella città, alla fine del 2023, un intermediario sudanese le ingannò con false promesse di lavoro. Furono portate oltre confine in Sudan e poi vendute a trafficanti in Libia. A Kufra, furono tenute prigioniere in un magazzino, vendute per 100.000 dinari libici ciascuna, e sottoposte a stupri sistematici, percosse, fame e torture per oltre un anno. Quando erano ancora detenute a Kufra, alla fine di ottobre 2024 il loro caso fu segnalato per la prima volta a Refugees in Libya, il grande movimento popolare che si occupa di trasmettere il grido dei migranti e di organizzare insieme alla società civile e in dialogo con le istituzioni la solidarietà concreta. Da quel momento il caso è stato seguito attentamente. Refugees in Libya ha documentato la condizione di Quftu, identificando i suoi carcerieri e coinvolgendo ogni attore possibile per esercitare pressioni per la sua liberazione. All'inizio di giugno 2025 Quftu e sua sorella sono finalmente state liberate e portate a Tripoli. Quftu era ormai alle ultime settimane di gravidanza, fisicamente distrutta e mentalmente devastata. Una volta a Tripoli, Refugees in Libya ha più volte accompagnato Quftu presso l'ufficio dell'Unhcr, chiedendo cure mediche e la registrazione come richiedente asilo. Nei giorni scorsi la gravidanza di Quftu stava giungendo al termine e iniziava il travaglio. Refugees in Libya l'ha accompagnata in diversi ospedali, ma tutti l'hanno rifiutata. Alla fine l'ha accolta l'ospedale Shaara Zawiya, ma era troppo tardi. Non sono riusciti a salvarla ed è morta. Quftu non è morta a causa della guerra o di una malattia. È morta perché le è stata negata protezione. La sua morte è conseguenza della violenza strutturale e della globalizzazione dell'indifferenza. La morte di Quftu grava sulla coscienza di tutti noi. È dal 2017 che i respingimenti in Libia avvengono con i finanziamenti e gli allestimenti da parte dell'Italia. Che cosa stiamo facendo per debellare la mafia libica, che tiene in piedi un sistema criminale di traffico di esseri umani e non solo e che si è inserita negli apparati militari che gestiscono i respingimenti che l'Italia e l'Unione Europea finanziano? Che cosa stiamo facendo per debellare il sistema dei lager, per fermare i trafficanti? Le responsabilità di ciò che avviene in Libia non sono solo delle scelte delle istituzioni. Il cinismo delle politiche infatti si salda con l'indifferenza della popolazione. Quell'indifferenza che ci rende complici di ciò che avviene. Quftu è l'ennesima vittima di questo sistema. Non siamo riusciti a salvare Quftu, ma ci sono ancora tante altre vite a rischio, che potremmo salvare. Sua sorella, ora a Tripoli, si trova oggi in una situazione simile. Anche lei è privata dei servizi essenziali, nonostante la gravità della sua condizione e i ripetuti appelli di Refugees in Libya. Se ci fosse uno scatto delle nostre coscienze, un risveglio del nostro senso di umanità e di giustizia, potremmo salvarne tante.
Papa Francesco seguiva personalmente la situazione di Quftu e di sua sorella e sosteneva gli sforzi per accompagnarle. Esattamente tre mesi dopo la morte di Papa Francesco, Quftu ha raggiunto in Cielo colui che era il padre che sentivano concretamente vicino anche nei momenti più difficili. Quftu, sorella, perdonaci. E insieme a Papa Francesco prega per noi, perché possiamo diventare capaci di amare di più. Perché possiamo ascoltare l'invito all'amore che risuona oggi nel Magistero di Papa Leone e della Chiesa. Perché possiamo sentire nel nostro cuore che tu e le altre persone che bussate alle nostre porte siete nostri fratelli e sorelle e solo insieme a voi potremo salvarci.
(Fonte: La Stampa - 22.07.2025)