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giovedì 31 luglio 2025

Vacanze: tempo di relazioni, cura e prossimità

Estate
Diana Papa
Vacanze: tempo di relazioni, cura e prossimità

Le vacanze possono essere l’occasione per una vera rigenerazione interiore, non solo riposo. Una riflessione sull’uso del tempo, la qualità delle relazioni, l’importanza della Parola di Dio, la responsabilità evangelica nel custodire comunione, cura e prossimità in un mondo frammentato

(Foto: diocesi di Lucca)

La maggior parte delle persone associa l’estate al periodo delle vacanze, al termine degli obblighi lavorativi, al tuffo nel mare della libertà senza confini. Molti fantasticano sulla strutturazione del tempo da trascorre immaginando le trame delle giornate, che non sempre si realizzano, cercando solo il benessere a tutti i costi per soddisfare i propri bisogni, sfruttando tutte le occasioni che si possono presentare o rimanendo in attesa di qualcosa che forse non accadrà.

Possiamo cambiare prospettiva durante le vacanze, pur salvaguardando il riposo, il tempo libero, il divertimento, ecc., per verificare la nostra vita, oppure vogliamo trascorrere il periodo come sempre e quindi in compagnia solo del tablet o dello smartphone, tuffandoci nel mondo virtuale?

Quando non si sente il bisogno di stare con gli altri, si apre la strada che porta all’isolamento. Finché c’è un giro virtuale, dove si possono contare i like, si pensa di essere protagonisti, di essere al centro, di essere i migliori della storia. Quando pian piano il numero dei contatti diminuisce, si rischia di andare in depressione o si cerca nell’ambito virtuale qualcosa di sensazionale, anche a scapito degli altri, per richiamare l’attenzione su di sé.

Quanto tempo a volte trascorriamo per leggere le notizie sul video, senza preoccuparci di individuare la fonte ed avvalorare la credibilità dei fatti. È ormai diffusa la cultura della superficie: è veritiero solo ciò che si vede, si grida, si difende, si attacca. Manca la capacità critica, una seria valutazione delle situazioni, eventi, ecc. attraverso la ricerca e la conoscenza dei processi. Emerge nell’individuo il giudizio non come confronto tra idee, ma come contrapposizione al pensiero degli altri, soprattutto per far valere le proprie ragioni e dimostrare di essere il migliore.

Si usa spesso la parola non per donarla, ma per evidenziare il negativo dell’interlocutore.

Non si è più capaci di cogliere il positivo dell’altro: si evidenzia sempre e comunque ciò che non va e non si è disposti al confronto! Quanto tempo sottratto al cammino di crescita che richiede l’ascolto reciproco, dove ognuno attesta all’altro: sei importante per me! Come si può pensare di essere dono a chiunque si incontra, se il punto di partenza è dimostrare anche con l’aggressività, frutto di pensieri ostili o difesivi, che io ho ragione e che l’altro sbaglia?

Le vacanze possono essere un tempo opportuno per scoprire che, immergendosi nella parte più profonda della nostra esistenza, quella spirituale ed esistenziale, si impara ad essere umani.

Fermarsi, scoprire dentro di sé la soglia abitata dal Mistero, che ha il volto del Padre di Gesù Cristo, permette di trovare alternative relazionali propositive, che comprendono il rispetto dell’altro, la consapevolezza dello spazio sacro che separa e unisce, la possibilità di creare sempre nuovi ponti, senza denigrare il prossimo, cogliendo anzi tutti gli aspetti positivi dell’altro.

In questo tempo si esterna il pensiero individuale, non più quello evangelico: 
spesso il grande assente dai discorsi è Gesù Cristo. Anche noi cristiani, a volte, non dimostriamo di essere unificati: quando comunichiamo, esprimiamo il nostro punto di vista non dettato dal Vangelo, tradendo così uno stile di vita che custodisce sempre la comunione.

Molte volte pensiamo di incarnare il Vangelo perché nelle grandi occasioni usiamo parole altisonanti o dettiamo programmi che ci superano, mentre nel quotidiano non testimoniamo, attraverso la cura delle relazioni, l’attenzione reale, concreta, riservata a chi ci sta accanto e a chi incontriamo, ai poveri non solo a livello materiale, ma esistenziale e spirituale.

È urgente riprendere in mano la Parola di Dio, per riscoprire quanto il Padre ci ama, come Gesù, nostro compagno nel cammino,

ci aiuta ad assimilare il suo pensiero, ad attivare i suoi sentimenti, ad agire come lui, per essere sempre persone in relazione capaci di collaborare con tutti, anche con i non cristiani, testimoniando la prossimità gratuita e libera dal potere.

Chi segue Gesù Cristo è chiamato a vivere sempre nel qui e ora il Vangelo.

In questo tempo il Signore ci chiede di portare ovunque la giustizia, la pace e la gioia, di custodire l’edificazione vicendevole (Rm14, 17.19), di testimoniare l’amore di Dio attraverso opere buone, superando l’individualismo e liberando la bellezza dell’umanità abitata dallo Spirito.
Vogliamo dedicare questo tempo di vacanze anche alla riflessione, per ritrovare la bellezza della relazione e della cura con se stessi con Dio e con gli altri?
(fonte: Sir 26/07/2025)

Il Perdono di Assisi 2025 L’indulgenza della Porziuncola nell’anno del Centenario del Cantico


Il Perdono di Assisi 2025
L’indulgenza della Porziuncola 
nell’anno del Centenario del Cantico


Dal 1° al 2 agosto le chiese francescane e le chiese parrocchiali accoglieranno migliaia di pellegrini che vorranno vivere il Perdono di Assisi. Un 2025 davvero ricco di grazia, in quanto anno giubilare e nel quale ricorrono gli 800 anni del Cantico delle Creature. Anche il santuario della Porziuncola, ad Assisi, è pronto ad accogliere i pellegrini, con iniziative e celebrazioni che si svolgeranno dal 29 luglio al 4 agosto. Tra queste, Fr. Massimo Fusarelli, Ministro generale dell’OFM, presiederà le Sante Messe del 1° e del 2 agosto.

Fr. Massimo ricorda come San Francesco, attraverso il Cantico, ci ha insegnato a contemplare il creato con occhi nuovi, riconoscendo in ogni essere l’impronta del Creatore: Francesco loda il Creatore e invita al perdono reciproco per amore Suo, concludendo significativamente il Cantico proprio con il perdono. Lo scorso anno Fr. Massimo, nella sua omelia a Santa Maria degli Angeli, sottolineò come il Perdono di Assisi sia “un’esperienza di grazia e misericordia che nasce dalla richiesta di San Francesco e trova il suo fondamento nella misericordia del Padre, nella mediazione della Vergine Maria e nel sacrificio di Cristo Crocifisso”. Aggiunse poi: “È un percorso di rinnovamento personale, che ci chiama a diventare dimora stabile di Cristo e a riparare, con la nostra testimonianza, la casa della Chiesa e del mondo”.

Anche il 2016 fu un anno del tutto straordinario: ricorrevano infatti gli 800 anni del Perdono di Assisi proprio nell’anno del Giubileo della Misericordia, fortemente voluto dall’allora Papa Francesco. Durante la sua visita alla Porziuncola, il 4 agosto, il pontefice disse: «Il perdono di cui san Francesco si è fatto “canale” qui alla Porziuncola continua a “generare paradiso” ancora dopo otto secoli. Offrire la testimonianza della misericordia nel mondo di oggi è un compito a cui nessuno di noi può sottrarsi. Il mondo ha bisogno di perdono; troppe persone vivono rinchiuse nel rancore e covano odio, perché incapaci di perdono, rovinando la vita propria e altrui piuttosto che trovare la gioia della serenità e della pace. Chiediamo a san Francesco che interceda per noi, perché mai rinunciamo ad essere umili segni di perdono e strumenti di misericordia».

Condizioni per ricevere l’Indulgenza della Porziuncola (per sé o per i defunti)

Il Perdono di Assisi si può ottenere dal mezzogiorno del 1º agosto alla mezzanotte del 2 agosto in tutte le chiese francescane o parrocchiali, osservando queste condizioni:
  • Confessione sacramentale per essere in grazia di Dio (negli otto giorni precedenti o seguenti);
  • Partecipazione alla Messa e Comunione eucaristica;
  • Visita alla chiesa della Porziuncola oppure ad una chiesa francescana nel mondo o chiesa parrocchiale, dove si rinnova la professione di fede, mediante la recita del Credo, per riaffermare la propria identità cristiana;
  • La recita del Padre Nostro, per riaffermare la propria dignità di figli di Dio, ricevuta nel Battesimo;
  • Una preghiera secondo le intenzioni del Papa, per riaffermare la propria appartenenza alla Chiesa, il cui fondamento e centro visibile di unità è il Romano Pontefice.

Il Perdono di Assisi rappresenta un dono spirituale molto prezioso, simbolo della misericordia e del desiderio di salvezza universale voluto da San Francesco per tutti i fedeli. Questa indulgenza continua a essere un segno attuale di speranza, misericordia e riconciliazione, ricordando che nessuno è escluso dalla possibilità di essere perdonato e che la misericordia di Dio supera ogni limite umano. Questo gesto invita ogni persona a sperimentare e a donare il perdono nella propria vita quotidiana.
(fonte: Ordo Fratum Minorum 16/07/2025)


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Vedi anche il post precedente:


L’inquietudine di una Chiesa aperta al mondo e alla storia - Nel volume «Da Francesco a Leone», padre Spadaro riflette sul legame che accomuna i due pontificati di Bergoglio e Prevost

Nel volume «Da Francesco a Leone», padre Spadaro
riflette sul legame che accomuna i due pontificati di Bergoglio e Prevost

L’inquietudine di una Chiesa
aperta al mondo e alla storia


Il «diario di un’esperienza personale», nato dal bisogno interiore di comprendere e accompagnare un passaggio ecclesiale che si presentava «non solo come cambio di pontificato, ma come vera e propria soglia tra epoche»: il padre gesuita Antonio Spadaro, sottosegretario del Dicastero per la cultura e l’educazione, introduce così il suo ultimo libro Da Francesco a Leone (EDB, 136 pagine, 14,50 euro).

Un volume, rivela lo stesso autore, scritto «nel corso di giorni straordinari» quali quelli seguiti alla scomparsa di Papa Francesco, all’attesa del Conclave e all’elezione di Leone XIV. Tutti momenti di «profonda emozione personale collettiva e di grande intensità spirituale», racchiusi poi nelle pagine del libro.

Periodi diversi tra loro, ma uniti da un filo rosso ben specifico, che padre Spadaro individua nella «inquietudine», ovvero in «quella condizione spirituale propria di una Chiesa che non si accontenta, che non si chiude, che non si ripiega, ma che resta in ascolto della storia anche quando diventa difficile».

Ed è proprio tale inquietudine — insieme alla «fede come cammino, come ricerca, come disponibilità a lasciarsi ferire dalla realtà» —, a legare i pontificati di Bergoglio e Prevost: il primo, spiega il religioso gesuita, «ci ha lasciato il fuoco» che il secondo «accoglie con mani miti ma ferme».

Non a caso, fu proprio «inquietudine» la parola che Francesco raccomandò all’allora priore generale padre Prevost e ai partecipanti al 184° Capitolo generale dell’Ordine di Sant’Agostino nella messa presieduta il 28 agosto 2013 nella basilica dei Santi Trifone e Agostino in Campo Marzio. Ed è «inquietudine» anche il termine usato da Leone XIV nell’omelia di inizio del ministero petrino, il 18 maggio scorso, quando ha esortato a costruire «una Chiesa fondata sull’amore di Dio e segno di unità, una Chiesa missionaria, che apre le braccia al mondo, che annuncia la Parola, che si lascia inquietare dalla storia, e che diventa lievito di concordia per l’umanità». Inquietudine è dunque il vero “testimone” che passa di mano tra i due Papi nella loro corsa.

D’altronde, dai primi passi compiuti da Leone XIV — aggiunge padre Spadaro — emerge «la cifra agostiniana della sua spiritualità: un cuore inquieto, consapevole dei problemi del mondo, del bisogno di pace, soprattutto del bisogno di Dio, della necessità della fede per contribuire a guarire un mondo ferito».

Suddiviso in 14 capitoli, il volume si sofferma su temi sia precipui, sia comune a entrambi i Pontefici, quali la misericordia, la fraternità, la sinodalità e l’unità nella diversità. Riflessioni specifiche vengono presentate riguardo alla visione geopolitica dei due successori di Pietro, così come al post-liberismo e alla sfida dell’intelligenza artificiale che — evidenzia l’autore — non è solo una questione «tecnologica», bensì anche «spirituale, antropologica, culturale», in quanto «permea la vita quotidiana, condiziona il pensiero, modella il desiderio. E mette in discussione l’umano stesso».

Senza dimenticare che — entrambi religiosi, “figli” di santi quali Ignazio di Loyola e Agostino di Ippona — Francesco e Leone XIV condividono «una visione della Chiesa come spazio di prossimità, di ascolto, di essenzialità».

A corredare il volume sono tre appendici: la succitata omelia pronunciata da Papa Francesco il 28 agosto 2013; un testo inedito dell’allora cardinale Bergoglio, ovvero la prefazione al libro Il tempo della Chiesa secondo Agostino, di Giacomo Tantardini (Città Nuova, 2009, 288 pagine, 20,90 euro) e la trascrizione di una conversazione spontanea tenuta dall’allora cardinale Prevost il 7 agosto 2024 presso la parrocchia agostiniana di St. Jude a New Lenox, Illinois, negli Stati Uniti.
(fonte: L'Osservatore Romano 26/07/2025)


mercoledì 30 luglio 2025

Leone XIV: Per diventare discepoli di Gesù non ci sono scorciatoie. - Udienza Generale - Catechesi del 30.07.2025 (Testo e video)

LEONE XIV

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 30 luglio 2025



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Ciclo di Catechesi – Giubileo 2025. Gesù Cristo nostra speranza. II. La vita di Gesù. Le guarigioni. 12. Il sordomuto. E, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!» (Mc 7,37)


Cari fratelli e sorelle,

con questa catechesi terminiamo il nostro itinerario sulla vita pubblica di Gesù, fatta di incontri, di parabole e di guarigioni.

Anche questo tempo che stiamo vivendo ha bisogno di guarigione. Il nostro mondo è attraversato da un clima di violenza e di odio che mortifica la dignità umana. Viviamo in una società che si sta ammalando a causa di una “bulimia” delle connessioni dei social media: siamo iperconnessi, bombardati da immagini, talvolta anche false o distorte. Siamo travolti da molteplici messaggi che suscitano in noi una tempesta di emozioni contraddittorie.

In questo scenario è possibile che nasca in noi il desiderio di spegnere tutto. Possiamo arrivare a preferire di non sentire più niente. Anche le nostre parole rischiano di essere fraintese e possiamo essere tentati di chiuderci nel silenzio, in una incomunicabilità dove, per quanto vicini, non riusciamo più a dirci le cose più semplici e profonde.

A questo proposito vorrei fermarmi oggi su un testo del Vangelo di Marco che ci presenta un uomo che non parla e non sente (cfr Mc 7,31-37). Proprio come potrebbe accadere a noi oggi, quest’uomo forse ha deciso di non parlare più perché non si è sentito capito, e di spegnere ogni voce perché è rimasto deluso e ferito da ciò che ha ascoltato. In effetti, non è lui che va da Gesù per essere guarito, ma viene portato da altre persone. Si potrebbe pensare che coloro che lo conducono dal Maestro siano quelli che sono preoccupati del suo isolamento. La comunità cristiana ha visto però in queste persone anche l’immagine della Chiesa, che accompagna ogni uomo da Gesù affinché ascolti la sua parola. L’episodio avviene in un territorio pagano, quindi siamo in un contesto dove altre voci tendono a coprire la voce di Dio.

Il comportamento di Gesù può apparire inizialmente strano, perché prende con sé questa persona e la porta in disparte (v. 33a). Sembra così accentuare il suo isolamento, ma a ben guardare ci aiuta a capire cosa si nasconde dietro il silenzio e la chiusura di quest’uomo, come se avesse colto il suo bisogno di intimità e di vicinanza.

Gesù gli offre prima di tutto una prossimità silenziosa, attraverso gesti che parlano di un incontro profondo: tocca le orecchie e la lingua di quest’uomo (cfr v. 33b). Gesù non usa molte parole, dice l’unica cosa che gli serve in questo momento: «Apriti!» (v. 34). Marco riporta la parola in aramaico, effatà, quasi per farcene sentire come “dal vivo” il suono e il soffio. Questa parola, semplice e bellissima, contiene l’invito che Gesù rivolge a quest’uomo che ha smesso di ascoltare e di parlare. È come se Gesù gli dicesse: «Apriti a questo mondo che ti spaventa! Apriti alle relazioni che ti hanno deluso! Apriti alla vita che hai rinunciato ad affrontare!». Chiudersi, infatti, non è mai una soluzione.

Dopo l’incontro con Gesù, quella persona non solo torna a parlare, ma lo fa «correttamente» (v. 35). Questo avverbio inserito dall’evangelista sembra volerci dire qualcosa in più sui motivi del suo silenzio. Forse quest’uomo ha smesso di parlare perché gli sembrava di dire le cose in modo sbagliato, forse non si sentiva adeguato. Tutti noi facciamo esperienza di essere fraintesi e di non sentirci capiti. Tutti noi abbiamo bisogno di chiedere al Signore di guarire il nostro modo di comunicare, non solo per essere più efficaci, ma anche per evitare di fare male agli altri con le nostre parole.

Tornare a parlare correttamente è l’inizio di un cammino, non è ancora il punto di arrivo. Gesù infatti proibisce a quell’uomo di raccontare ciò che gli è successo (cfr v. 36). Per conoscere veramente Gesù occorre compiere un cammino, bisogna stare con Lui e attraversare anche la sua Passione. Quando lo avremo visto umiliato e sofferente, quando sperimenteremo la potenza salvifica della sua Croce, allora potremo dire di averlo conosciuto veramente. Per diventare discepoli di Gesù non ci sono scorciatoie.

Cari fratelli e sorelle, chiediamo al Signore di poter imparare a comunicare in modo onesto e prudente. Preghiamo per tutti coloro che sono stati feriti dalle parole degli altri. Preghiamo per la Chiesa, perché non venga mai meno al suo compito di portare le persone a Gesù, affinché possano ascoltare la sua Parola, esserne guarite e farsi portatrici a loro volta del suo annuncio di salvezza.

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Saluti

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APPELLI

Rinnovo il mio profondo dolore per il brutale attacco terroristico avvenuto nella notte tra il 26 e il 27 luglio scorso a Komanda, nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo, dove oltre quaranta cristiani sono stati uccisi in chiesa durante una veglia di preghiera e nelle proprie case. Mentre affido le vittime all’amorevole Misericordia di Dio, prego per i feriti e per i cristiani che nel mondo continuano a soffrire violenze e persecuzione, esortando quanti hanno responsabilità a livello locale e internazionale a collaborare per prevenire simili tragedie.

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Il 1º agosto ricorrerà il 50º anniversario della firma dell’Atto Finale di Helsinki. Animati dal desiderio di garantire la sicurezza nel contesto della guerra fredda, 35 Paesi inaugurarono una nuova stagione geopolitica, favorendo un riavvicinamento tra Est e Ovest. Quell’evento segnò anche un rinnovato interesse per i diritti umani, con particolare attenzione alla libertà religiosa considerata come uno dei fondamenti dell’allora nascente architettura di cooperazione da «Vancouver a Vladivostok». La partecipazione attiva della Santa Sede alla Conferenza di Helsinki – rappresentata dall’Arcivescovo Agostino Casaroli – contribuì a favorire l’impegno politico e morale per la pace. Oggi, più che mai, è indispensabile custodire lo spirito di Helsinki: perseverare nel dialogo, rafforzare la cooperazione e fare della diplomazia la via privilegiata per prevenire e risolvere i conflitti.

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Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare ...
Accolgo con gioia i giovani italiani convenuti a Roma per partecipare agli eventi giubilari a loro dedicati. Cari giovani, vi invito a pregare affinché queste giornate di fede, di riflessione e di amicizia portino frutti di bene.

Il mio pensiero va infine agli ammalati e agli sposi novelli, che incoraggio ad affidarsi con fiducia alla benevolenza di Dio, sorgente di consolazione.

A tutti la mia benedizione!


Guarda il video integrale


Giubileo dei Giovani - Leone XIV: «siate luce e speranza, il nostro grido sia per la pace nel mondo» (cronaca/commento, testo integrale e video)

Giubileo dei Giovani
Il Papa ai giovani:
siate luce e speranza, il nostro grido sia per la pace nel mondo

Fra i 120 mila radunati in piazza San Pietro e in via della Conciliazione per la Messa di apertura del Giubileo dei giovani, presieduta dal pro-prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione monsignor Fisichella, arriva a sorpresa, al termine della celebrazione, Leone XIV che invita ragazzi e ragazze ad essere testimoni della pace di Gesù Cristo e della riconciliazione


“Buonasera! Buenas tardes! Good evening! Gesù ci dice: ‘Voi siete il sale della terra’, ‘Voi siete la luce del mondo!’". A sorpresa, in Piazza San Pietro, al termine della Messa di apertura del Giubileo dei giovani, presieduta da monsignor Rino Fisichella, pro-prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione e responsabile dell’organizzazione dell’Anno Santo, arriva il Papa. Dopo un lungo giro in papamobile tra i 120 mila presenti che riempiono anche Piazza Pio XII e via della Conciliazione, Leone XIV saluta calorosamente ragazzi e adolescenti. Esplode la festa tra la folla quando il Pontefice giunge con la sua vettura scoperta. In tanti si accalcano alle transenne per vederlo passare e salutarlo. Intonano inni, alzano i loro telefoni per immortalare il momento, gli lanciano regali.

Il Papa sul sagrato della basilica vaticana (@Vatican Media)

Un grido per la pace nel mondo

I cori gioiosi accompagnano tutto il percorso del Papa, che giunto sul sagrato della basilica vaticana, in spagnolo, risponde così all'entusiasmo di ragazzi e ragazze: "Le vostre grida, tutte per Gesù Cristo, saranno ascoltate fino alla fine del mondo". E prosegue: "Il mondo ha bisogno di messaggi di speranza. Voi siete questo messaggio, e dovete continuare a dare speranza a tutti". “Speriamo che tutti voi siate sempre segni di speranza nel mondo!” auspica, poi, il Pontefice rivolgendosi in italiano ai giovani che ‘commentano’ ogni sua parola con urla di approvazione e applausi. “Oggi stiamo cominciando. Nei prossimi giorni avrete l’opportunità di essere una forza che può dare la grazia di Dio, messaggio di speranza, una luce alla città di Roma, all’Italia e a tutto il mondo”, aggiunge Leone XIV, che poi invita: “Camminiamo insieme con la nostra fede in Gesù Cristo. Il nostro grido deve essere anche per la pace nel mondo”. Alla piazza, poi, il Pontefice chiede di ripetere: “Vogliamo la pace nel mondo”. Tutti rispondono: “Vogliamo la pace nel mondo”.

Leone XIV tra i giovani in via della Conciliazione (@Vatican Media)

L’arrivederci a Tor Vergata

"Oremos por la paz". "Preghiamo per la pace - termina il Papa tornando a parlare in spagnolo -. Siamo testimoni della pace di Gesù Cristo, della riconciliazione, questa luce del mondo che tutti stiamo cercando. Sorelle e fratelli, il Signore è con noi, il nostro aiuto è nel nome del Signore. Benedetto sia il nome del Signore”. Poi, dopo aver impartito la benedizione l'arrivederci: “Ci vediamo. Ci troviamo a Tor Vergata. Buona settimana!”.

Alcuni giovani festanti (@Vatican Media)

Il benvenuto ai giovani

A dare il benvenuto ai giovani, all’inizio della liturgia - concelebrata dai cardinali Baldo Reina, vicario generale per la diocesi di Roma, e Marc Ouellet - monsignor Fisichella, che ha ringraziato i presenti “per aver accolto l’invito” del Pontefice a partecipare a questo Giubileo dedicato alle nuove generazioni “e alla speranza che ognuno porta dentro di sé”. Con lo sguardo al variopinto emiciclo del Bernini e alla contigua piazza Pio XII, dove sventolavano bandiere di svariati Paesi del mondo, bandane e cappellini, mentre il sole cala e gli ultimi raggi rischiaravano piazza San Pietro e via della Conciliazione, monsignor Fisichella ha indirizzato le sue parole, in particolare, agli “amici che provengono anche da molte zone di guerra”. “Dall’Ucraina dalla Palestina giunga a tutti l’abbraccio di fraternità che ci rendi uniti e un corpo solo” ha detto, esortando i giovani a non fare “mancare” ai loro coetanei giunti da aree dilaniate da conflitti “segni” di “amicizia”.

Un gruppo di suore (@Vatican Media)

Vivere i giorni del Giubileo con gioia e spiritualità

Il pensiero del presule è andato anche ai “molti” ragazzi che “hanno fatto tanti sacrifici per essere” nella capitale. Poi a tutti ha annunciato: “Il Signore non vi deluderà. Vi viene incontro”. Ed ha esortato: “Siate vigili per cogliere la sua presenza. Vivete questi giorni con gioia e spiritualità, scoprendo nuove amicizie, ma soprattutto contemplate Roma e le tante opere d’arte espressione della fede che ha generato tanta bellezza”. Infine, nel suo saluto, ripetuto anche in inglese, spagnolo, francese, portoghese e tedesco, il pro-prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione ha spiegato che motivo del raduno giovanile giubilare nel cuore della cristianità è “trasmettere la fede e comprendere il grande valore che Gesù Cristo possiede nella nostra vita” ed ha incoraggiato a rispondere “con entusiasmo”.

Monsignor Rino Fisichella, pro-prefetto del Dicastero per l'Evangelizzazione (@Vatican Media)

Gesù ci viene incontro per primo

Nella sua omelia, poi, monsignor Fisichella, ha preso spunto dal racconto evangelico della risurrezione di Lazzaro, che narra anche del dialogo con le sorelle Marta e Maria, per evidenziare che Gesù, saputo che l’amico stava male, ritardando la sua visita “insegna a noi qualcosa di importante”, che “la fede è un incontro, ma il primo che ci viene incontro è Gesù”, “quando vuole, come vuole, nel tempo stabilito da Lui, non da noi”. “Noi siamo chiamati solo a rispondere” quando ci “viene incontro”, “a metterci in cammino verso di Lui”, ha sollecitato il presule, che ha poi definito Marta “il segno della nostra fede, segno che quando il Signore vuole incontrarci, deve trovare in noi delle persone vigilanti, pronte, pronte a correre verso di Lui senza esitare”.

Alcuni concelebranti (@Vatican Media)

La fede una scelta di libertà

Ma la fede “è una scelta di libertà”, ha proseguito monsignor Fisichella, “libertà con la quale vogliamo metterci alla sequela. A seguire il Signore”, “dove Lui vuole condurci” e “ha stabilito per ognuno di noi la vera felicità”. Questa scelta di libertà ce la mostrano Marta e Maria, che avvisando Gesù delle condizioni di salute del fratello “non gli dicono vieni e compi un miracolo”. “Gesù deve decidere Lui quello che è opportuno fare”, ha chiarito il pro-prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione, “non solo il tempo, ma anche le modalità, i modi con i quali ci viene incontro, perché dobbiamo rispettare la libertà di Dio”, “che non ci abbandona” mai, perché siamo amati da Lui. “Non saremo mai soli, non potremo mai essere abbandonati, perché Gesù è nostro compagno di strada”, ha continuato il presule, avvertendo che “ogni gesto di libertà comporta una rinuncia, per essere autenticamente liberi di dover seguire il Signore”.

Il Papa tra la folla (@Vatican Media)

Essere costruttori di pace

“Siamo realmente liberi nel momento in cui compiamo qualche rinuncia, ma soprattutto quando questa rinuncia è finalizzata ad incontrare il Signore e a doverlo seguire”, ha affermato Fisichella, il quale ha rimarcato, inoltre, che la fede “è anche ascolto”, una fede che ci rende testimoni del Risorto e ci deve porta all’azione a “dar da mangiare a chi ha fame, dar da bere a chi ha sete” a “essere presenti” quando qualcuno “ha bisogno di noi”, è malato o in carcere, o quando viene meno “il diritto fondamentale alla dignità”. “Viviamo un periodo di grande violenza”, “nelle nostre strade e nelle nostre città”, ha concluso il responsabile dell’organizzazione del Giubileo, che invita a “dare certezza della speranza che l'amore vince sempre, che la bontà supera la violenza” e ad essere “costruttori di pace”.

Il Papa mentre saluta i giovani (@Vatican Media)
(fonte: Vatican News, articolo di Tiziana Campisi 29/07/2025)


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PAROLE A BRACCIO PRONUNCIATE DAL SANTO PADRE LEONE XIV
AI GIOVANI DOPO LA S. MESSA PRESIEDUTA DA S.E.R. MONS. RINO FISICHELLA,
AL TERMINE DEL GIRO IN "PAPAMOBILE"

Piazza San Pietro
Martedì, 29 luglio 2025



Buonasera!
Buenas tardes!
Good evening!

Jesus tells us: «You are the salt of the earth […]. You are the light of the world!» (Mt. 5:13-14).

«Ustedes son la sal de la tierra […] la luz del mundo» (Mt 5,13-14). Y hoy sus voces, su entusiasmo, sus gritos —que son todos por Jesucristo— los van a escuchar hasta el fin del mundo.

Hoy están empezando unos días, un camino, el jubileo de la esperanza, y el mundo necesita mensajes de esperanza; ustedes son este mensaje, y tienen que seguir dando esperanza a todos.

[Gesù ci dice: «Voi siete il sale della terra […]. Voi siete la luce del mondo» (Mt 5,13-14).

E oggi le vostre voci, il vostro entusiasmo, le vostre grida – che sono tutte per Gesù Cristo – saranno ascoltate fino ai confini del mondo.

Oggi state iniziando alcuni giorni, un cammino, il Giubileo della Speranza, e il mondo ha bisogno di messaggi di speranza; voi siete questo messaggio, e dovete continuare a dare speranza a tutti.]

Speriamo che tutti voi siate sempre segni di speranza nel mondo! Oggi stiamo cominciando. Nei prossimi giorni avrete l’opportunità di essere una forza che può portare la grazia di Dio, un messaggio di speranza, una luce alla città di Roma, all’Italia e a tutto il mondo. Camminiamo insieme con la nostra fede in Gesù Cristo.

E il nostro grido deve essere anche per la pace nel mondo. Diciamo tutti: “Vogliamo la pace nel mondo!”.

[La piazza: “Vogliamo la pace nel mondo!”].

Preghiamo per la pace.

Oremos por la paz y seamos testimonios de la paz de Jesucristo, de la reconciliación, esta luz del mundo que todos estamos buscando.

[Preghiamo per la pace e siamo testimoni della pace di Gesù Cristo, di riconciliazione, di questa luce del mondo che tutti stiamo cercando.]

[Il Santo Padre imparte la Benedizione]

Ci vediamo. Ci troviamo a Tor Vergata. Buona settimana!

Guarda il video integrale


Giubileo missionari digitali e influencer cattolici - Leone XIV: «Non rincorrete numeri, ma custodite nomi» (sintesi/commento, testo integrale)

Il Papa ai missionari digitali:
«Non rincorrete numeri, ma custodite nomi»

 Il web è una realtà da abitare, da custodire, da redimere, da riparare, spiega Leone XIV agli influencer cattolici arrivati a Roma per celebrare il Giubileo. Una realtà dalla quale la Chiesa non può rimanere fuori 
(foto @vaticanmedia)

Ha voluto incontrarli anche se all'inizio non era in programma. Papa Leone, al termine della messa per il Giubileo dei missionari digitali dice, agli influencer cattolici: «Cercate la carne sofferente di Cristo». E consegna loro una bussola nuova, e insieme antica, per una Chiesa che ha deciso di non lasciarsi spiazzare dal digitale, ma di abitarlo. 

Il discorso del Pontefice pronunciato dopo la messa a San Pietro, davanti a centinaia di missionari digitali e influencer cattolici, ha evitato la via facile dell’entusiasmo mediatico per andare diritto al cuore della questione: se la rete è un ambiente da evangelizzare, allora non può essere solo un canale da usare; deve diventare un luogo da redimere. C'è una forza disarmante nel secondo passaggio del suo discorso, dove invita a «nutrire una cultura di umanesimo cristiano» nel mondo digitale. Il Papa non si limita a chiedere buoni contenuti: chiede incontri veri, non invoca una strategia, ma uno stile: esorta a cercare le persone, non le performance. E lo fa con un linguaggio che sa essere pastorale e radicale al tempo stesso: non si tratta di “generare contenuti”, ma di “incontrare cuori”: questa è la sfida che ribalta ogni logica algoritmica, è il contrario del culto dell’engagement, è l’ingaggio dell’umanità ferita.

Papa Leone sa che nei feed si consuma molta solitudine e che, dietro ogni nickname, può nascondersi un’agonia silenziosa. Per questo richiama i missionari digitali a scendere nella profondità di quelle ferite, a riconoscere le crepe nel vetro dello schermo come luoghi teologici, a riscoprire nella rete un prolungamento della via di Emmaus, dove il Cristo risorto continua a camminare accanto a chi non lo riconosce. E chiede loro coerenza, autenticità, coraggio: perché solo un cuore toccato può toccare altri cuori, e solo chi si lascia guarire può guarire.

Il terzo spunto del discorso non è meno denso, anzi, nel suo appello a “riparare le reti”, Papa Leone offre l’immagine più evocativa del suo intervento. È una metafora che scardina il senso comune: il web infatti, non è un trofeo della scienza e della tecnologia da esibire, ma una trama fragile da curare. È proprio qui che si gioca la vera sfida ecclesiale della presenza online: non nella viralità di un post, ma nella fedeltà a un incontro. «Reti dove si possa guarire dalla solitudine, non contando i follower ma sperimentando la grandezza infinita dell’Amore»: è il monito di Prevost contro ogni forma di narcisismo spirituale che potrebbe mimetizzarsi dietro i pixel della missione. La rete, per il Papa, è chiamata a diventare rete di Dio, un intreccio di relazioni che non si autocelebra, ma ospita l’altro, dove non si gareggia per emergere, ma si scommette sulla profondità, dove non si costruiscono bolle, ma si moltiplicano ponti. E l’unico modo per non rendere sterile il messaggio è questo: farsi agenti di comunione, non di consenso.

Quello che è avvenuto in questi giorni con il primo Giubileo degli influencer cattolici e dei missionari digitali non è un raduno per addetti ai lavori, ma un atto ecclesiale di portata profetica. La consacrazione della missione digitale a Maria, prevista oggi pomeriggio nei Giardini Vaticani, sarà una dichiarazione d’intenti. Questa nuova forma di annuncio è una vocazione condivisa, e come ogni vera vocazione, chiede di camminare insieme, di lasciarsi accompagnare, di farsi Chiesa. Il digitale non è più un’estensione, diventa così una realtà da abitare…e se è vero che ogni clic può essere un incontro, ogni scroll un passaggio verso l’altro, allora la sfida non è aggiornare i linguaggi, ma trasfigurare le relazioni. Papa Leone ha dato il mandato: non solo costruire contenuti, ma ricucire legami, non rincorrere numeri, ma custodire nomi. Perché in fondo – ce lo ha ricordato con forza – ogni follower è una storia che merita di essere ascoltata, curata, guarita.
(fonte: Famiglia Cristiana, articolo di Don Davide Imeneo 29/07/2025)


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SALUTO DEL SANTO PADRE LEONE XIV
AGLI INFLUENCER E MISSIONARI DIGITALI

Basilica di San Pietro
Martedì, 29 luglio 2025


Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo,
la pace sia con voi!

Cari fratelli e sorelle, abbiamo cominciato con questo saluto: la pace sia con voi!

E quanto abbiamo bisogno di pace in questo nostro tempo dilaniato dall’inimicizia e dalle guerre. E quanto ci chiama alla testimonianza, oggi, il saluto del Risorto: «Pace a voi!» (Gv 20,19). La pace sia con tutti noi. Nei nostri cuori e nel nostro agire.

Questa è la missione della Chiesa: annunciare al mondo la pace! La pace che viene dal Signore, che ha vinto la morte, che ci porta il perdono di Dio, che ci dona la vita del Padre, che ci indica la via dell’Amore!

1. È la missione che la Chiesa oggi affida anche a voi; che siete qui a Roma per il vostro Giubileo; venuti a rinnovare l'impegno a nutrire di speranza cristiana le reti sociali e gli ambienti digitali. La pace ha bisogno di essere cercata, annunciata, condivisa in ogni luogo; sia nei drammatici luoghi di guerra, sia nei cuori svuotati di chi ha perso il senso dell'esistenza e il gusto dell'interiorità, il gusto della vita spirituale. E oggi, forse più che mai, abbiamo bisogno di discepoli missionari che portino nel mondo il dono del Risorto; che diano voce alla speranza che ci dà Gesù Vivo, fino agli estremi confini della terra (cfr At 1,3-8); che arrivino dovunque ci sia un cuore che aspetta, un cuore che cerca, un cuore che ha bisogno. Sì, fino ai confini della terra, ai confini esistenziali dove non c'è speranza.

2. There is a second challenge in this mission: always look for the “suffering flesh of Christ” in every brother and sister you encounter online. Today we find ourselves in a new culture, deeply characterized and formed by technology. It is up to us – it is up to each one of you – to ensure that this culture remains human.

Science and technology influence the way we live in the world, even affecting how we understand ourselves and how we relate to God, how we relate to one another. But nothing that comes from man and his creativity should be used to undermine the dignity of others. Our mission – your mission – is to nurture a culture of Christian humanism, and to do so together. This is the beauty of the “network” for all of us.

Faced with cultural changes throughout history, the Church has never remained passive; she has always sought to illuminate every age with the light and hope of Christ by discerning good from evil and what was good from what needed to be changed, transformed, and purified.

Today we are in a culture where the technological dimension is present in almost everything, especially as the widespread adoption of artificial intelligence will mark a new era in the lives of individuals and society as a whole. This is a challenge that we must face: reflecting on the authenticity of our witness, on our ability to listen and speak, and on our capacity to understand and to be understood. We have a duty to work together to develop a way of thinking, to develop a language, of our time, that gives voice to Love.

It is not simply a matter of generating content, but of creating an encounter of hearts. This will entail seeking out those who suffer, those who need to know the Lord, so that they may heal their wounds, get back on their feet and find meaning in their lives. Above all, this process begins with accepting our own poverty, letting go of all pretense and recognizing our own inherent need for the Gospel. And this process is a communal endeavor.

[2. In questa missione c'è una seconda sfida: negli spazi digitali, cercate sempre la “carne sofferente di Cristo” in ogni fratello e sorella. Oggi ci troviamo in una cultura nuova, profondamente segnata e costruita con e dalla tecnologia. Sta a noi – sta a voi – far sì che questa cultura rimanga umana.

La scienza e la tecnica influenzano il nostro modo di essere e di stare nel mondo, fino a coinvolgere persino la comprensione di noi stessi, il nostro rapporto con gli altri e il nostro rapporto con Dio. Ma niente che viene dall’uomo e dal suo ingegno deve essere piegato sino a mortificare la dignità dell'altro. La nostra, la vostra missione, è nutrire una cultura di umanesimo cristiano, e di farlo insieme. Questa è per tutti noi la bellezza della "rete".

Di fronte ai cambiamenti culturali, nel corso della storia, la Chiesa non è mai rimasta passiva; ha sempre cercato di illuminare ogni tempo con la luce e la speranza di Cristo, di discernere il bene dal male, quanto di buono nasceva da quanto aveva bisogno di essere cambiato, trasformato, purificato.

Oggi, in una cultura dove la dimensione digitale è presente quasi in ogni cosa, in un tempo in cui la nascita dell'intelligenza artificiale segna una nuova geografia nel vissuto delle persone e per l'intera società, questa è la sfida che dobbiamo raccogliere, riflettendo sulla coerenza della nostra testimonianza, sulla capacità di ascoltare e di parlare; di capire e di essere capiti. Abbiamo il dovere di elaborare insieme un pensiero, di elaborare un linguaggio che, nell’essere figli del nostro tempo, diano voce all’Amore.

Non si tratta semplicemente di generare contenuti, ma di incontrare cuori, di cercare chi soffre e ha bisogno di conoscere il Signore per guarire le proprie ferite, per rialzarsi e trovare un senso, partendo prima di tutto da noi stessi e dalle nostre povertà, lasciando cadere ogni maschera e riconoscendoci per primi bisognosi di Vangelo. E si tratta di farlo insieme.]

3. Y esto nos lleva a un tercer llamado y por eso les hago un llamado a todos ustedes : “que vayan a reparar las redes”. Jesús llamó a sus primeros apóstoles mientras reparaban sus redes de pescadores (cf. Mt 4,21-22). También lo pide a nosotros, es más, nos pide hoy construir otras redes: redes de relaciones, redes de amor, redes de intercambio gratuito, en las que la amistad sea auténtica y sea profunda. Redes donde se pueda reparar lo que ha sido roto, donde se pueda poner remedio a la soledad, sin importar el número de los seguidores [los follower], sino experimentando en cada encuentro la grandeza infinita del Amor. Redes que abran espacio al otro, más que a sí mismos, donde ninguna “burbuja de filtros” pueda apagar la voz de los más débiles. Redes que liberen, redes que salven. Redes que nos hagan redescubrir la belleza de mirarnos a los ojos. Redes de verdad. De este modo, cada historia de bien compartido será el nudo de una única e inmensa red: la red de redes, la red de Dios.

Sean entonces ustedes agentes de comunión, capaces de romper la lógica de la división y de la polarización; del individualismo y del egocentrismo. Céntrense en Cristo, para vencer la lógica del mundo, de las fake news y de la frivolidad, con la belleza y la luz de la verdad (cf. Jn 8,31-32).

[3. E questo ci porta ad un terzo appello, in virtù del quale rivolgo una chiamata a tutti voi: "andate a riparare le reti”. Gesù ha chiamato i suoi primi apostoli mentre erano intenti a riparare le loro reti da pescatori (cfr Mt 4,21-22). Lo chiede anche a noi, anzi ci chiede, oggi, di costruire altre reti: reti di relazioni, reti d'amore, reti di condivisione gratuita, dove l'amicizia sia autentica e profonda. Reti dove si possa ricucire ciò che si è spezzato, dove si possa guarire dalla solitudine, non contando il numero dei follower, ma sperimentando in ogni incontro la grandezza infinita dell’Amore. Reti che danno spazio all’altro più che a sé stessi, dove nessuna "bolla" possa coprire le voci dei più deboli. Reti che liberano, reti che salvano. Reti che ci fanno riscoprire la bellezza di guardarci negli occhi. Reti di verità. Così, ogni storia di bene condiviso sarà il nodo di un'unica, immensa rete: la rete delle reti, la rete di Dio.

Siate allora agenti di comunione, capaci di rompere le logiche della divisione e della polarizzazione; dell’individualismo e dell’egocentrismo. Siate centrati su Cristo, per vincere le logiche del mondo, delle fake news, della frivolezza, con la bellezza e la luce della Verità (cfr Gv 8,31-32).]

E ora, prima di salutarvi con la Benedizione, affidando al Signore la vostra testimonianza, voglio ringraziarvi per quanto di bene avete fatto e fate nelle vostre vite, per i sogni che portate avanti, per il vostro amore al Signore Gesù, per il vostro amore alla Chiesa, per l'aiuto che date a chi soffre, per il vostro cammino nelle strade digitali.

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martedì 29 luglio 2025

Intenzione di preghiera per il mese di Agosto 2025 Preghiamo per la convivenza comune

Intenzione di preghiera per il mese di Agosto 2025
Preghiamo per la convivenza comune

Leone XIV: no a scontri su basi etniche, politiche, religiose o ideologiche. Cercare vie di dialogo

Nel video con le intenzioni di preghiera per il mese di agosto, il Papa invita a pregare perché le società non cedano alla “tentazione dello scontro”. Il Pontefice incoraggia a “rispondere ai conflitti con gesti di fraternità”


In un mondo che - come diceva oggi agli influencer cattolici - è “dilaniato dall’inimicizia e dalle guerre”, in tempi di “paura e di divisione”, in un atteggiamento generale di forte individualismo e mentre si costruiscono “muri che ci separano gli uni dagli altri” piuttosto che ponti, Papa Leone lancia una supplica universale: non cedere alla “tentazione dello scontro”. E, soprattutto in quelle società in cui “la convivenza sembra più difficile”, evitare conflitti “su basi etniche, politiche, religiose o ideologiche”.

Una sfida per l’umanità e una missione per la Chiesa quella che il Pontefice lancia nel nuovo video che accompagna l’intenzione di preghiera per il mese di agosto. “Per la convivenza comune” è il titolo del filmato, realizzato questo mese in collaborazione con Jesuit Communications Foundation (JesCom). Nel video Leone XIV parla in inglese; le sue parole e il suo volto si alternano ad una serie di immagini di forte impatto: palazzi sventrati, case colpite dal fuoco delle bombe, macerie, famiglie in fuga lungo i confini, forze dell’ordine tra proteste e fumogeni. Fotogrammi di scontri, violenze, distruzioni, di solitudini esistenziali, come quelle che si vivono quotidianamente a Gaza e in Ucraina o in tanti luoghi di Africa e Sud-est asiatico.

Papa Leone nel video con le intenzioni di preghiera per il mese di agosto (©cem italia)

La diversità, ricchezza che ci rende più umani

“Viviamo in tempi di paura e di divisione. A volte ci comportiamo come se fossimo soli, costruendo muri che ci separano gli uni dagli altri”, scandisce il Papa in inglese. Invita allora ad avere il coraggio di “cercare vie di dialogo e di rispondere ai conflitti con gesti di fraternità”. Per superare differenze e ideologie, è necessario guardare agli altri “con gli occhi del cuore”, afferma. È così che è possibile riconoscere la dignità inviolabile di tutte le persone; è così, aprendosi all’altro, senza paura, che è possibile scoprire che le differenze non costituiscono una minaccia bensì “una ricchezza che ci rende più umani”.

Le scene di distruzione nel video del Papa (©cem italia)

Figli di un unico Padre

Nel video Leone XIV recita poi una preghiera creata appositamente per l’intenzione di agosto dalla sua Rete Mondiale di Preghiera. Anche questo momento viene scandito da immagini. Altre immagini. Candele, mani intrecciate in preghiera, rosari, bambini che si ritrovano in un rifugio pieno di giocattoli, di piante, di luce. Scene, queste, di fraternità; quella che Robert Francis Prevost affida come mandato ai giovani che, in questo stesso giorno di pubblicazione del video messaggio, sono giunti a Roma da ogni parte del mondo per il Giubileo loro dedicato. Alla radice di ogni divisione c’è infatti l’aver dimenticato una verità fondamentale: tutti siamo fratelli e sorelle, figli di un unico Padre. Fratelli tutti, come predicava Papa Francesco.

“Manda il tuo Spirito, Signore, per riaccendere in noi il desiderio di comprenderci l’un l’altro, di ascoltarci, di vivere insieme con rispetto e compassione”, è la preghiera di Papa Leone. “Dacci il coraggio di cercare vie di dialogo, di rispondere ai conflitti con gesti di fraternità, di aprire i nostri cuori agli altri senza paura delle differenze”, aggiunge il Pontefice. “Rendici costruttori di ponti, capaci di superare confini e ideologie, capaci di vedere gli altri con gli occhi del cuore, riconoscendo in ogni persona una dignità inviolabile”. “Aiutaci – è ancora l’invocazione del Papa - a creare spazi dove la speranza possa fiorire, dove la diversità non sia una minaccia ma una ricchezza che ci rende più umani”.

Una immagine del filmato diffuso dalla Rete Mondiale di preghiera del Papa (©cem italia)

Vie di collaborazione per il bene comune

“Tutti possiamo promuovere la convivenza pacifica”, spiega il direttore internazionale della Rete Mondiale di Preghiera del Papa, padre Cristóbal Fones. Per realizzare ciò, aggiunge il gesuita, “in primo luogo è necessario lavorare su se stessi per estirpare dal cuore l'orgoglio, le pretese, le parole offensive che feriscono e uccidono. Come ci insegna Papa Leone XIV, la pace si costruisce a partire dal cuore”. In secondo luogo, è necessario mettere da parte i pregiudizi e affrontare la paura di chi è ‘diverso’: “Bisogna avvicinarsi con rispetto per ascoltare l’altro, che ha sempre qualcosa di unico da offrire”, continua padre Fones. “Attraverso il dialogo, è possibile cercare ciò che ci unisce e aprire vie di collaborazione per il bene comune”. Per concludere, Fones ricorda che “Leone XIV sottolinea anche che i governanti devono lavorare per costruire società civili armoniose e pacifiche. Questo può avvenire investendo nella famiglia; tutelando la dignità di tutte le persone, specialmente delle più fragili e indifese; praticando la giustizia; cercando di rimediare alle disuguaglianze; e difendendo la verità, che è la base che permette di costruire relazioni autentiche”.
(fonte: Vatican News, articolo di Salvatore Cernuzio 29/07/2025)

Padre Paolo Dall’Oglio, ricordarlo è importante per la Siria e per noi

Riccardo Cristiano

Padre Paolo Dall’Oglio, ricordarlo è importante
per la Siria e per noi


12 anni senza padre Paolo Dall’Oglio sono tantissimi, ma oggi ricordarlo è importante per la Siria, avvolta in una spirale drammatica di violenze settarie che sembra segnare il fallimento della speranza di un post-Assad diverso dal sistema degli Assad, e per noi, avvolti in una spirale drammatica di incapacità a rapportarci con quel mondo dimenticato, giudicato, a volte considerato solo per la sua esportazione di tragedie, e di profughi: milioni di profughi.

Se c’è un tratto del gigantesco lavoro di Paolo per la riscoperta del dialogo, dell’essenza del Mediterraneo, di una islamosofia che potesse evitare nuovi Afghanistan, è la sua scelta determinata e davvero profetica per evitare che la Siria divenisse quel buco nero che sempre più si dimostra poter diventare, rimosso ma inquietante davanti ai nostri occhi. Questo impegno era nel nome di un “federalismo non settario”. Sembrano parole, sono tragedie che coinvolgono milioni di perone e che oggi in Siria si chiamano tragedia degli alawuiti, tragedia dei drusi, dramma dei curdi, situazione a dir poco residuale e quindi ancora più drammatica dei cristiani.

Paolo aveva capito bene che Assad discriminando e perseguitando i sunniti, maggioranza del Paese che in gran parte ha deportato dal paese, aveva preparato una loro sete di vendetta, quella che andava evitata, curata, dissetata, riconoscendo il loro dolore e predisponendo un “federalismo non settario” che costruisse relazioni interpersonali sui territori tra persone di diverse comunità e che valorizzando i territori desse rilievo non solo comunitario alle espressioni delle diverse realtà siriane. Nella zona dei drusi, ad esempio, non vivono solo i drusi, e solo se tutti si fossero sentiti coinvolti nella costruzione di una leadership territoriale, i drusi inviati a Damasco avrebbero potuto rappresentare gli interessi anche di altri. Che vivono nei loro stessi territori. Sconfiggere Assad significava in buona sostanza sconfiggere il meccanismo tribale e del risentimento, dell’astio tra comunità, creato per mezzo secolo dal regime.

Il regime di Ahmed al Sharaa ha fatto esattamente il contrario, ha scelto come suo riferimento, proprio come aveva fatto Assad, una base settaria, tribale, confessionale e escludendo gli altri, attaccandoli, discriminandoli, compiendo autentiche stragi davanti a quelle che ha considerato provocazioni, ribellioni.

Il federalismo non settario, per evitare nuovi Afghanistan, sul quale mi aveva detto che si sarebbe giocato l’osso del collo, resta l’obiettivo di milioni di siriani discriminati, divisi da un sistema che mira a chiuderli in ghetti tribali, settari, per intestarsi la rappresentanza di tutti i sunniti, rappresentanza che non ha.

Ma questo lavoro andava accompagnato dalla sua idea di una islamosofia che non criminalizzasse, discriminasse, guardasse con fare altezzoso l’arabo sunnita. La teosofia avrebbe capito con chiavi di lettura diverse i guasti causati da uno scontro tra ideologie malate di diversa natura, di opposto orientamento, che da decenni affliggono gli arabi.

La storia degli Stati nazionali arabi è cominciata male, con il colonialismo. L’idea di Stati sovrani è arrivata in quei territori (se si esclude l’Egitto) con la fine della Prima Guerra Mondiale e lo smembramento dell’impero ottomano, quando la Società delle Nazioni affidò alle grandi potenze europee vincitrici del conflitto il compito di favorire la nascita di Stati moderni in vasta parte dei territori degli imperi sconfitti, quello ottomano e quello tedesco. Alla Francia questo compito fu affidato per l’odierna area siro-libanese. Di lì a breve si insediò a Damasco il generale Henri Gouraud, per avviare l’impresa. Al suo fianco Parigi pose quale segretario il diplomatico e visconte Robert de Caix de Saint‑Aymour. Questi, stando alla ricostruzione storica di Peter Shambrook– durante uno dei loro primi colloqui- fece presente al generale che a suo avviso disponevano di due sole opzioni: “costruire una nazione siriana che non esiste, ammorbidendo le profonde frizioni che la dividono, o coltivare e mantenere questo fenomeno, che richiede il nostro arbitrato, frutto di queste divisioni. Devo dirle che la seconda opzione è la sola che mi interessi”.

Quando l’esperienza coloniale si concluse e la Siria divenne uno Stato sovrano emerse ben presto un’instabilità politica che portò a diversi colpi di Stato, coronati da quello degli Assad. Appartenenti alla minoranza degli alawiti, gli Assad si confrontarono con il problema del consenso: il capostipite, Hafez, affidò ruoli di primo piano nella sua giunta a familiari, a cominciare dal fratello, ma si rese rapidamente conto che essendo espressione di una minoranza che rappresentava circa il 10% della popolazione mentre i sunniti erano la maggioranza assoluta, il principale problema da cui avrebbe dovuto guardarsi era la temibile infedeltà sunnita: un sunnita avrebbe potuto scalzarlo facilmente e avere una base di riferimento assai più ampia. Così affidò a persone di sua fiducia, quasi tutte della sua comunità, gli incarichi più importanti, i servizi di sicurezza. Conosceva la visione di Robert de Caix de Saint-Aymour? Di certo non cercò la benevolenza dei sunniti, ma schiacciò la protesta insurrezionale dei Fratelli Musulmani, parte della comunità sunnita, con ferocia inusitata. Il massacro di Hama, quando in poche ore furono eliminati decine di migliaia di residenti, ne è dal 1982 il manifesto ideologico. L’urto confessionale per governare era garantito anche da piccoli gruppi di provocatori assoldati dal regime, che compivano incursioni in territori di altre comunità, creando risentimento, dissidi, e rafforzando il “centralismo assadista”, fondato su lealtà tribali (o personali) e autorità assoluta.

L’identificazione del clan degli Assad e dei suoi fedeli con tutta la comunità alawuita è stato il prodotto odioso della semplificazione “comunitarista” che ha portato di recente al massacro di contadini, donne, anziani e bambini alawuitii. Le sofferenze dei sunniti durante la feroce e interminabile stagione degli Assad non consentivano a questi ultimi di vedere le sofferenze di molti alawuiti durante la stessa stagione assedista: loro erano i nemici. I gerarchi alawiti del sistema Assad ne erano la feroce espressione. Dopo la conquista del potere da parte di Ahmed al-Sharaa e delle sue milizie islamiste sunnite sostenute dalla Turchia, un gruppo di ufficiali fedeli al deposto Bashar al Assad, a marzo di quest’anno, ha tentato un’insurrezione armata da territori a maggioranza alawuita e molti sunniti hanno reagito in base ad un istinto automatico: scongiurare il golpe non di questo o quel generale, ma degli alawuiti. Milizie jihadiste affiliate direttamente e indirettamente al sistema di potere del nuovo presidente (sunnita) hanno fatto strage, casa per casa, quartiere per quartiere, di alawuiti, affiancate in questo da pezzi di popolo sunnita inferocito, timoroso, desideroso di vendetta per i passati torti, per le vessazioni di mezzo secolo. Dopo ore tremende il governo ha fermato ( o rallentato) la mattanza, nominato una commissione d’inchiesta, che ha promesso un report completo entro un mese, mai visto, almeno sin qui.

La tragica vicenda dei drusi e della carneficina che ha avuto luogo in questi giorni nella loro città, Sweida, è molto simile, è odio comunitario, desiderio di supremazia, e per quanto la carneficina risalga a settimane fa il dramma è ancora in corso, la capitale Swaida è chiusa ad ogni aiuto, emergono solo i racconti disperati di chi ad esempio è rimasto dentro caso con parenti uccisi, i cui corpi non si è potuto neanche portare all’obitorio.

La risposta per iniziare a costruire un futuro diverso è stata la Primavera araba, alla quale Paolo ha dedicato i suoi ultimi anni. Era un cambio di paradigma che “l’oscura cloaca” (espressione sua, felicissima) che circonda il mondo del terrorismo, fatta di narcotrafficanti, trafficanti d’armi, servizi segreti, servizi segreti deviati, affaristi senza scrupoli e regimi, ha dirottato infiltrando in Siria i gruppi jihadisti. I giovani della Primavera sono stati i veri nemici, i martiri di quell’infiltrazione che molto spesso è stata da noi addirittura identificata con le sue vittime. C’erano invece i regimi, tanti regimi, anche in conflitto tra di loro, dietro quell’infiltrazione. Perché quei regimi sono uniti dal terrore della democrazia e quindi della Primavera, dei giovani. Quei regimi, salvo quello di Assad, sono sopravvissuti alla Primavera, regalandoci l’oggi.

Rileggere Paolo Dall’Oglio aiuta a capire ma soprattutto a trovare la forza di guardare avanti. Grazie Paolo.
(fonte: Articolo 21 29/07/2025)

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PAOLO DALL' OGLIO, IL SACERDOTE SCOMPARSO DAL 2013

L’approfondimento dedicato alla scomparsa di Paolo Dall'Oglio è il tema della puntata di “Psiche Criminale. Scomparsi.”, condotto da Cinzia Scaglione sul canale 122. Gli ospiti: Francesca Dall'Oglio, sorella di Paolo, Riccardo Cristiano, giornalista e vaticanista, Andrea Umbrello, direttore editoriale "ultima voce", Giorgio Cella, analista politica internazionale, Antonella Napoli, giornalista e scrittrice, Domenico Quirico, giornalista, reporter, inviato di guerra.

Guarda il video

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Per approfondire vedi anche il post precente (all'interno link ad altri post)

Padre Paolo Dall’Oglio, dubbi e misteri irrisolti






Vito Alfieri Fontana, “Armi? Non nel mio nome”

Vito Alfieri Fontana, “Armi? Non nel mio nome”

Summer School EduCare, “oggi per essere futuro”. Sala piena a Pellizzano in Val di Sole per ascoltare Vito Alfieri Fontana, ex produttore di mine antiuomo. Per fermare la guerra occorre una forte partecipazione democratica

Vito Alfieri Fontana foto C Copparoni

È di estrema attualità e rilevanza la testimonianza che l’ingegnere Vito Alfieri Fontana ha condiviso in Val di Sole nel contesto della Summer School EduCare, oggi per essere futuro. Ex produttore di mine nell’azienda di famiglia, una delle fabbriche di armi più conosciute in Italia e all’estero, ha deciso di chiudere l’impresa e di iniziare una nuova vita. Una scelta che comportava una svolta radicale, ma che era l’unica strada che in coscienza si sentiva di percorrere: bonificare i campi delle mine che lui stesso aveva fabbricato. Pensare ai bambini che nei campi minati avrebbero giocato con questi artefatti “mi faceva male – racconta Fontana –. Sentivo che stavo diventando un depravato”.

Nel contesto attuale in cui si parla di riarmare l’Europa, la sua è un’esperienza controcorrente che incita a fermare la crudeltà nella progettazione delle armi. Ieri come oggi ha esclamato “Non nel mio nome” a perpetuare le vittime innocenti. Un no che trova eco nel comune sentimento della gente, già che afferma che il 99,6% delle persone non vuole la guerra. Per questo motivo considera moralmente inaccettabile e antidemocratico che solo alcuni potenti, una piccolissima fetta della popolazione, detengano la decisione di farla.

Secondo l’ingegnere si dovrebbero da subito avviare comitati etici di controllo all’interno delle industrie stesse che producono armi. Ma più di tutto è necessario rimettere in moto una mentalità politica che agisca orientata da valori diversi dal semplice tornaconto economico.

Non si tratta di pacifismo, ma di operare la pace in maniera diffusa, attiva e convinta. Per lui – che per 17 anni ha percorso i Balcani sminando le micidiali bombe che aveva fabbricato – ogni spazio delle nostre coscienze, come ogni metro quadro bonificato dalle armi, è un terreno che strappiamo alla guerra e restituiamo alla pace.


Al folto pubblico presente e ai giovani della Summer School interuniversitaria in corso in Val di Sole ha rivolto un forte appello: «La volontà di decidere sta in ciascuno di noi ed è arma potentissima che si esprime con la partecipazione politica. Non sprechiamola! Bisogna che come cittadini riprendiamo in mano con convinzione il nostro destino».
(fonte: Città Nuova, articolo di Candela Copparoni 21 Luglio 2025)