"Percorsi di Arte e Fede"
di Arianna G. Medoro
I doni del grande armonizzatore;
la Madonna del Solletico di Masaccio
«Il guardare una cosa è ben diverso dal vederla. Non si vede una cosa finché non se ne vede la bellezza» (Oscar Wilde); Papa Francesco ci ricorda come l’arte tocchi i sensi per animare lo spirito e faccia questo attraverso la bellezza, che è «il riflesso delle cose quando sono buone, giuste, vere. È il segno che qualcosa ha pienezza: è infatti allora che ci viene spontaneo dire: “Che bello!”. La bellezza ci fa sentire che la vita è orientata alla pienezza. Nella vera bellezza si comincia così a provare la nostalgia di Dio».
Non esiste bellezza senza l’idea che la generi e le parole del Pontefice ci ricordano chiaramente quale sia la grande complessità connaturata a questo concetto e soprattutto come essa costituisca la chiave all’esperienza di Dio. Lungi, peraltro, dal voler sceverare in queste righe l’articolata tessitura del pensiero che l’uomo ha prodotto su di essa, basti tuttavia riflettere su quanto la mappa per la comprensione autentica della bellezza medesima non sia mai stata tanto ostica quanto in questo tempo, in cui la dittatura dell’immagine fittizia, manipolata dis-trae i sensi da quella Via pulchritudinis menzionata da Papa Francesco. Un percorso, quello auspicato dal Santo Padre, in cui la bellezza si fa tramite per suscitare quello stupore necessario al fine di predisporre l’animo all’incontro con Dio.
Il potere evocativo delle immagini agisce grandemente nelle profondità dell’inconscio, incidendo di conseguenza sul pensiero e sul conseguente orientamento della volontà umana e pertanto sul nostro atteggiamento nei confronti della realtà che ci circonda. Sant’Agostino definisce l’amore come la bellezza dell’anima; nella tradizione medievale, il bello appare associato al vero e al bene, in quanto tramite le emozioni che esso suscita nell’uomo diviene esso stesso accesso a queste ultime. I segni di cui il linguaggio fa uso sono di fatto gli strumenti che l’uomo esperisce per rappresentare il proprio pensiero e in modo certamente non casuale nelle diverse culture linguistiche i due significati, vale a dire quello di bello e quello di bene/buono si trovano costantemente associati quando non sovrapposti (il giapponese yashi li descrive entrambi).
In ambito occidentale, etimologicamente, l’accezione primitiva di bello riconduce all’ambito semantico di buono, confacente, comodo: bĕllus, è infatti un diminutivo derivato dalla radice duenelus bonulus, vale a dire qualcosa di buono ma inteso nel piccolo, vale a dire mediamente buono; in greco antico il termine kalós appare sovente associato a quello di buono agathòs, fino ad assumermene completamente il significato nella versione contemporanea. La capacità di cogliere il senso delle cose, nella consapevolezza che esse sono giuste e vere e in quanto tali, belle per l’animo umano è quindi un desideratum da recuperare nel coacervo roboante di immagini — falsificate — di cui siamo vittime.
Velocità del consumo, non riflessione, dittatura unidirezionale di modelli di presunta tolleranza, ci allontanano da quella innata e congenita armonia che alimenta il concetto stesso di bellezza, come afferma mirabilmente il Santo Padre: «la bellezza vera, infatti, è riflesso dell’armonia. Essa, (…) è la virtù operativa della bellezza. È il suo spirito di fondo, in cui agisce lo Spirito di Dio, il grande armonizzatore del mondo. L’armonia è quando ci sono delle parti, diverse tra loro, che però compongono un’unità, diversa da ognuna delle parti e diversa dalla somma delle parti. È una cosa difficile, che solo lo Spirito può rendere possibile». La bellezza esercita, pertanto, la propria congenita funzione di esperienza del buono nel momento in cui essa sia in grado di com-muoverci verso di esso facendo appello a canoni assoluti ed imponendoci al contempo uno sforzo di percezione che conduca diritto dall’occhio al cuore, sempre che lo si lasci aperto.
Ne è un delizioso esempio la piccola (24,50 per 18,20 centimetri), ma preziosissima Madonna del Solletico nota anche come Madonna con il Bambino realizzata da Masaccio fra 1426 e 1427. In essa, le due figure della madre e del bambino si rivolgono verso lo spettatore mantenendo al contempo una propria autonomia dinamica di accudente ed accudito, ferme nello spirito e nel cuore tramite la scelta dello sfondo d’oro. Spontanea e naturale la scelta di raffigurare la Madonna ruotata di tre quarti verso l’osservatore (forse il primo esempio in tal senso), delicato ed al contempo denso di valore lo sfondo d’oro destinato a imporre la concertazione unica sulle due figure e l’attenzione ai delicatissimi dettagli come il bordo del mantello decorato in caratteri cufici. Sebbene la Madonna tenga in grembo il bambino in fasce, rivolgendo verso di lui il gesto benedicente, quest’ultimo in un’istantanea di tenerissima realtà, finisce (volutamente o no non ci è dato di sapere) di fatto per solleticare il mento del Piccolo il quale, piacevolmente animato dal gesto materno (inaspettato forse anche nella volontà medesima del pittore) afferra con entrambe le minuscole e paffute manine rispettivamente il polso e l’avambraccio della madre. Belli sono molti dettagli dell’opera, dalle aureole delicatamente incise a mo’ di ricamo al delizioso amuleto in corallo simbolo della duplice natura di Cristo umana e divina, spostato accidentalmente dal gioioso sussulto del piccolo, mentre pende di sbieco dalla spalla di questi; buoni quanto veri sono i segni dell’amore materno che traspare dall’opera.
In questo piccolo oggetto devozionale, presumibilmente appartenuto all’uso personale del cardinale senese Antonio Casini, il cui stemma è dipinto sul retro della tavola, la gioiosa quanto forse inaspettata reazione del Bambino, accudito dalla madre è essa stessa capolavoro. Per vedere la bellezza è pertanto necessario un esercizio che non faccia appello, alle dimensioni dell’opera né tantomeno al prestigio dell’oggetto o al richiamo di canoni estetici a noi coevi: essa risiede, come ci ricorda Papa Francesco, «quell’opera dello spirito che crea l’armonia». Il dono della bellezza risiede nell’essere essa stessa «la dimensione umana dello spirituale»: la mano tesa fra Dio e l’uomo in armonia con il creato.
(Fonte: "L’Osservatore Romano" - 10 aprile 2024)
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