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venerdì 6 ottobre 2023

Nobel per la Pace 2023 a Narges Mohammadi, attivista iraniana in carcere

Nobel per la Pace 2023 a Narges Mohammadi,
attivista iraniana in carcere
 
(Foto di VOA via Wikimedia)

Le proteste in Iran scatenate dall’uccisione della giovane ventiduenne curda Mahsa Amini avvenuta il 13 settembre dello scorso anno, morte avvenuta in seguito alle brutalità inflittele in prigione dove era stata condotta con l’accusa di non aver portato correttamente il velo, non sono mai venute meno nonostante la crudele repressione del regime religioso. Una teocrazia che governa questo paese dalla rivoluzione del 1979 e l’instaurarsi della Repubblica Islamica. I crudeli teocrati governano su una società, quella iraniana, in gran parte istruita, progressista, e occidentalizzata fin dai tempi dello Scià. Il numero dei giovani imprigionati e giustiziati a morte da questo regime crudele è ad oggi di 500 persone, 20.000 sono gli arresti, moltissimi i feriti alcuni gravemente a causa dei proiettili di gomma sparati dalla polizia nelle manifestazioni.

Tutto questo non ha impedito alle giovani donne iraniane, ai giovani che le sostengono, alle madri, ai padri di famiglia, di continuare le loro proteste perché il regime venga incontro alle loro richieste per una società libera e democratica e pongano fine all’oppressione a cui le donne sono soggette.

“La rivoluzione non si può né importare né esportare. È necessario che a mettersi in moto siano gli iraniani. Ed è quello che stanno facendo. La sola cosa che chiedo all’Italia e al resto d’Europa è combattere l’indifferenza, veleno della nostra epoca”. Sono queste le parole di Shirin Ebadi, giudice iraniana costretta a lasciare il suo incarico dopo la rivoluzione del 1979 e vivere in esilio a Londra. Insignita nel 2003 del Nobel per la pace “Per il suo impegno nella difesa dei diritti umani e a favore della democrazia” prima iraniana e prima musulmana a ricevere il Nobel per la pace. Oggi vent’anni dopo è il momento dell’attivista iraniana Narges Mohammadi. Il comitato svedese ha così motivato la scelta: “Per i suoi sforzi per combattere l’oppressione delle donne iraniane e i suoi sforzi per promuovere i diritti umani e la libertà per tutti. La sua lotta coraggiosa ha comportato dei tremendi costi personali. Il regime l’ha arrestata 13 volte, imprigionata cinque e condannata a scontare una pena che assomma ad un totale di 31 anni e 154 colpi di frusta. Mentre le conferiamo il Nobel Mohammadi si trova ancora in prigione”.

Il comunicato stampa continua: “Negli anni Novanta come giovane studente di fisica Narges Mohammadi si distingueva come sostenitrice dei diritti di uguaglianza per le donne e dopo aver concluso i suoi studi ha lavorato come ingegnere e come giornalista. Nel 2003 si è unita al Centro per i diritti umani di Teheran, un’organizzazione fondata dalla Nobel Price Shirin Ebadi. Nel 2011 è stata arrestata per la prima volta e condannata a molti anni di prigione per i suoi sforzi nell’assistere gli attivisti incarcerati e le loro famiglie. Due anni dopo, rilasciata su cauzione, si è impegnata in una campagna contro l’uso della pena di morte che in Iran è una pena diffusa. Dal gennaio del 2022 sono state eseguite più di 860 esecuzioni capitali. Il suo attivismo contro la pena di morte l’ha portata ad un nuovo arresto nel 2015 e a nuove condanne. In prigione continua la sua lotta per i diritti, si oppone all’uso sistematico della tortura e della violenza sessualizzata nei confronti delle prigioniere politiche. Nonostante le condizioni di isolamento in cui vive, in occasione dell’anniversario della morte di Mahsa Amini è riuscita a far pervenire al New York Times un articolo il cui messaggio è: più ci imprigionano e più noi diventiamo forti”.

Questo Nobel per la pace, come sottolinea il comunicato svedese, è un tributo non solo al coraggio indomito di Narges Mohammadi ma anche a quello delle tante giovani donne che scendono in piazza a sfidare il regime, rischiando la loro vita, e a tutti gli uomini che le sostengono, rischiando la loro vita, al grido di Donna Vita Libertà, lottando per una vita più libera, con diritti per tutte e tutti, per la fine dell’oppressione.
(fonte: Pressenza, articolo di Fiorella Carollo 06.10.23)

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Il Nobel per la Pace 
all'attivista iraniana Narges Mohammadi

Vice-presidente del Centro per la difesa dei Diritti Umani, imprigionata dalle autorità iraniane dal maggio 2016, la donna è stata insignita del prestigioso riconoscimento "per la sua battaglia contro l'oppressione delle donne in Iran e per promuovere diritti umani e libertà per tutti"

Narges Mohammadi (AFP or licensors)

Tra 305 candidature, di cui un terzo organizzazioni, il Nobel per la Pace 2023 è stato assegnato a Narges Mohammadi per la sua lotta contro l’oppressione delle donne in Iran e per la promozione dei diritti umani e della libertà per tutti. Il premio di quest'anno riconosce anche "le centinaia di migliaia di persone che hanno manifestato contro le politiche di discriminazione e oppressione del regime teocratico nei confronti delle donne", fa sapere il Comitato.

Mohammadi è ancora in prigione, Amnesty: condizioni disumane

Narges Mohammadi, 50 anni, è detenuta arbitrariamente dal maggio 2016. Si trova nella prigione di Shahr-e Rey (nota anche come Gharchak) nella città di Varamin, provincia di Teheran dove le stanno deliberatamente negando assistenza sanitaria adeguata come rappresaglia per le sue campagne pubbliche, come quella contro l’uso dell’isolamento nelle carceri e per aver cercato la responsabilità per le centinaia di omicidi illegali avvenuti durante le proteste del novembre 2019. Narges Mohammadi è stata condannata ad un totale di dieci anni e otto mesi di carcere, 154 frustate e altre sanzioni in due casi separati derivanti esclusivamente dal suo lavoro per i diritti umani. Alla fine di aprile 2022, le autorità inquirenti hanno aperto un nuovo caso. Amnesty international evidenzia che le autorità carcerarie la tengono in condizioni crudeli e disumane.

Ingegnere e giornalista, già insignita del premio Sakharov

Prima di essere incarcerata, Mohammadi era vicepresidente del Centro per i difensori dei diritti umani, vietato in Iran. Mohammadi è stata vicina al premio Nobel per la pace iraniano Shirin Ebadi, che ha fondato il Centro. Ebadi ha lasciato l'Iran dopo la contestata rielezione dell'allora presidente Mahmoud Ahmadinejad nel 2009, che ha scatenato proteste senza precedenti e dure repressioni da parte delle autorità. Di professione ingegnere e attiva anche come giornalista, nel 2018 era stata insignita del premio Sakharov. Nel 2022, Mohammadi è stata processato in cinque minuti e condannata a otto anni di carcere e 70 frustate. Per lei e gli altri detenuti politici si era spesa nelle scorse settimane con uno sciopero della fame ora interrotto l'attivista e avvocata per i diritti umani Nasrin Sotoudeh, anche lei detenuta. L'Unione europea ha condannato la persecuzione contro Mohammadi, invitando l'Iran a "rispettare gli obblighi derivanti dal diritto internazionale e a rilasciare urgentemente la signora Mohammadi, tenendo conto anche del deterioramento delle sue condizioni di salute".
(fonte: Vatican News, articolo di Antonella Palermo 06.10.23)