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lunedì 23 ottobre 2023

Esce domani il libro-dialogo con Papa Francesco «Non sei solo. Sfide, risposte, speranze» - La capacità di abbracciare - Il Papa, 'la guerra è frutto di una serie di pazzie'

Esce domani il libro-dialogo con Papa Francesco
«Non sei solo. Sfide, risposte, speranze»

La capacità di abbracciare


Non sei solo. Sfide, risposte, speranze è il titolo del libro in uscita in Italia domani, 24 ottobre, in cui Papa Francesco dialoga con i giornalisti Francesca Ambrogetti e Sergio Rubin. Edito da Salani (pp. 288, euro 15,90) il volume è la traduzione, curata da Laura Bortoluzzi e Sara Cavarero, di El Pastor. 

Del capitolo 9, intitolato «La capacità di abbracciare», pubblichiamo uno stralcio.


Nel suo Paese riceveva molte persone e le ascoltava pazientemente... Non ha mai temuto che l’esercizio del pontificato potesse impedirle di continuare a farlo?

Mi viene spontaneo. Non è un merito, ma una grazia di Dio. Quando mi chiedono come mi definisco, rispondo «un prete». È la mia vocazione. Come vescovo di Roma visito le parrocchie, entro in contatto con le persone e, a essere sincero, è una cosa che mi piace molto. Ovviamente continuo a confessare. Nelle udienze generali la gente mi dà la mano, mi abbraccia e alcuni mi riassumono in poche parole una determinata situazione che stanno vivendo. Prima dei due sinodi sulla famiglia, per esempio, alcuni mi raccontavano di aver formato una nuova coppia, che stavano insieme da molto tempo e stavano crescendo felicemente i propri figli, ma che gli pesava non poter ricevere la comunione e mi manifestavano il loro desiderio di poterlo fare. Cerco sempre di essere molto comprensivo. Che tutti si sentano inclusi. Perché la Chiesa deve aprire le porte e non chiuderle. Ci sono persino casi di persone che, quando passo in piazza San Pietro, confessano i propri peccati e io do loro l’assoluzione. La vicinanza con la gente mi fa molto bene.

La secolare insistenza della Chiesa nel sottolineare il peccato (che porta ad accusarla di aver sfruttato il senso di colpa) non va contro l’atteggiamento comprensivo che lei promuove?

Il peccato è una realtà, ma è una realtà anche il fatto che possiamo contare sull’infinita misericordia di Dio. Perché, a differenza di noi uomini che a volte ci stanchiamo di perdonare, il Signore non si stanca mai... Ci dobbiamo pentire e che dobbiamo rimarginare la ferita causata... Verso il 1500, a San Filippo Neri si presentò, nel confessionale della Chiesa Nuova... una persona che gli disse di essere un grande peccatore e che non credeva che Dio l’avrebbe perdonato. «Sono imperdonabile» ripeteva. San Filippo Neri gli chiese di scrivere tutti i suoi peccati, poi pregarono, gli diede l’assoluzione e, alla fine, gli disse di portare via il foglio. «Perché?» chiese il penitente senza bisogno di aspettare una risposta. Quando infatti guardò di nuovo il foglio si accorse che tutto ciò che aveva segnato era scomparso. Quindi: il peccato viene perdonato, ma bisogna pentirsi e porvi riparo. Se si è compiuto un furto, in qualche modo bisogna restituire il maltolto. Se si è arrecato danno alla fama di qualcuno, bisogna trovare la maniera di riabilitarla. Se si è commesso un crimine, si deve pagare il debito con la società. Non ci si può limitare alla predica.

Tuttavia ci sono cattolici — sia appartenenti al clero sia laici — a cui non piacciono il suo atteggiamento di vicinanza, il suo linguaggio comprensibile...

Molti si scandalizzano perché sostengono che io stia desacralizzando il papato. Fanno parte di quei settori, diciamo, più aristocratici. Invece il semplice popolo prova una giusta venerazione verso il Papa. Lo “sacralizza” nel senso che lo venera in qualità di pastore, di padre, e non come fosse un principe. C’è una sacralità popolare. Quando dico popolare non mi riferisco soltanto ai poveri, ma anche a persone con una buona posizione che però non aderiscono a una sacralità cortigiana.

Ricordiamo quando, nella residenza di Santa Marta, si inginocchiò per baciare i piedi dei leader del Sudan del Sud in conflitto tra loro per implorarli di porre fine alla guerra...

Fu monsignor Paul Gallagher a propormi di invitare i leader delle due parti in conflitto, e non per un incontro bilaterale, ma per un ritiro spirituale di due giorni al fine di far nascere, tramite il raccoglimento, i frutti della pace... Il ritiro ebbe luogo nel 2019 a Santa Marta e invitammo anche l’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, e il moderatore della Chiesa presbiteriana di Scozia, John Chalmers, dato che anglicani e presbiteriani hanno radici anche in quel Paese... Rinunciai a seguire il mio discorso perché mi suonava troppo formale, quindi decisi di dire delle cose che mi sembravano più in linea con l’atmosfera che si era creata e poi, all’improvviso, sentii che dovevo baciare loro i piedi. È un gesto preso dall’Ultima Cena, quando Gesù lava i piedi dei suoi discepoli per dimostrare loro il cammino del servizio. Nel mio caso si trattò di un gesto di umiliazione, la richiesta di un favore, un modo di supplicare. Nella cultura antica, il povero baciava i piedi del ricco chiedendogli del denaro. E io mi umiliai chiedendo come elemosina la pace.

Lei punta a una Chiesa staccata il più possibile dai vincoli temporali. Tuttavia il Vaticano è visto come un elemento di potere...

A essersi mosso per primo su questa linea e in maniera decisa fu Paolo VI... Il vero potere della Chiesa è il servizio, proprio come ci ha insegnato Cristo attraverso la sua testimonianza. Bisogna dialogare con tutti. Io lo faccio persino con persone di cui non mi piacciono gli atteggiamenti. Persino con quelli che mi infastidiscono... I matrimoni Chiesa-Stato non funzionano... Una volta, il sindaco di un paese fece fare un presepe, ma il prefetto lo chiamò per chiedergli di smontarlo. Il sindaco gli disse che aveva fatto mettere anche una statuetta che lo riproduceva. A quel punto, il prefetto disse che, se nessuno si lamentava, lo poteva lasciare montato. Passato il Natale, si incontrarono e il prefetto gli chiese se avesse una foto del presepe per vedere com’era venuta la sua statuetta. Il sindaco gliela mostrò ed era... l’asino.

E cosa dice a quelli che affermano che i Papi vivono circondati d’oro? Quanto c’è di vero nella versione secondo cui voleva vendere parte dei beni del Vaticano per darli ai poveri?

Di solito lo faccio. Attenzione: è tutto debitamente inventariato. E, per evitare spese, ho preso dal deposito i mobili che sono in camera mia, cosa che può fare qualsiasi altra persona del Vaticano che ne abbia bisogno. Quanto al fatto che viviamo circondati di ricchezze, a Santa Marta non c’è nessun lusso. È vero che dalle altre parti ci sono sale maestose e opere d’arte dal valore incalcolabile, di Da Vinci, Michelangelo, Raffaello... ma sono patrimonio culturale dell’umanità, non beni commerciabili. Il Vaticano è un grande museo.

Si sente mai solo? È vittima della cosiddetta ‘solitudine del potere’?

Non mi sono mai sentito solo. Direi che anzi sono fin troppo in compagnia. Certo devo cercare di sforzarmi per discernere tra quelli che mi vengono a trovare per una giusta motivazione e quelli che invece nascondono un qualche interesse. Sono solo quando devo prendere decisioni che non si possono delegare. È anche vero, però, che se sono complicate mi consulto con i miei collaboratori. Ma quando bisogna mettere la firma, quella la devo apporre io... Le cose che spettano a me le faccio in prima persona e ci metto la faccia. Ovviamente, a volte devo approvare decisioni dolorose come, per esempio, la revoca dello stato clericale di illustri sacerdoti che hanno commesso un crimine. Ma la solitudine del potere è un’altra cosa, e non ne sono vittima perché ho la possibilità di parlare con molte brave persone. Posso contare su tanti amici.
(fonte: L'Osservatore Romano 23/10/2023)

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Il Papa, 'la guerra è frutto di una serie di pazzie'
Esce 'Non sei solo', edizione italiana di 'El pastor'


"All'inizio del mio pontificato affermavo che stavamo vivendo una Terza guerra mondiale a piccoli pezzi, poi ho sostenuto che questi pezzi si fossero via via ingranditi e adesso penso che sia tutto un unico grande pezzo".

E "continuo a credere che sia una tragedia enorme aver perso la memoria della Seconda guerra mondiale.
Una volta, osservando i governanti dei Paesi che parteciparono al conflitto durante una commemorazione dello sbarco in Normandia, pensai che avrebbero dovuto piangere. Solo lì morirono quasi trentamila persone. La guerra è frutto di una serie di pazzie".

Hanno sicuramente delle risonanze profetiche molti passi di 'Non sei solo. Sfide, risposte, speranze', libro-intervista di papa Francesco a firma dei giornalisti Francesca Ambrogetti e Sergio Rubin, che l'editore Salani manda domani in libreria come edizione italiana di 'El pastor' (Il pastore), uscito in Argentina tra febbraio e marzo scorsi, quasi allo scadere dei 10 anni di pontificato.
Seguito ideale de "Il gesuita" - scritto nel 2010 quando Jorge Mario Bergoglio era arcivescovo di Buenos Aires e diventato bestseller mondiale nel 2013 con l'elezione a Papa -, nel nuovo volume Francesca Ambrogetti, ex responsabile dell'ANSA in Argentina, e Sergio Rubin, del quotidiano El Clarin, propongono sia un'analisi serrata che un racconto appassionante del papato di Francesco, frutto di periodiche interviste condotte nell'arco di questi 10 anni.

Tanti, pressoché esaustivi di tutti i filoni e nodi del pontificato, i temi trattati nelle 286 pagine di 'Non sei solo' - visti attraverso lo sguardo personale di Bergoglio, mentre il prologo è firmato dallo stesso Pontefice -, che peraltro esce in un momento ancor più drammatico per il mondo, col riesplodere del conflitto in Medio Oriente, e quello in Ucraina lungi dal trovare una tregua, al pari dei tanti altri della "guerra mondiale a pezzi". E' proprio per questo che, tra le domande rimaste in sospeso, Francesca Ambrogetti ne sceglie una: "ci ha ripetuto spesso che da quando è stato eletto Papa la pace non l'ha mai lasciato. In questo momento tanto difficile e con tante sfide per il mondo e per la Chiesa, come fa a trovare in se stesso la forza per non perdere la pace?".

"Nell'ultima fase della scrittura di questo nuovo libro lo scenario era molto diverso da quello dei primi incontri - dice all'ANSA la co-autrice del volume -. I conflitti erano numerosi ma non potevamo immaginare i cambiamenti vertiginosi della società e in particolare delle tensioni internazionali, oggi al limite. E che gli avvertimenti del Papa sulla guerra mondiale in piccoli pezzi che stavano diventando sempre più grandi, sarebbero stati cosi profetici. E gli appelli alla comprensione tra popoli e religioni così necessari".

"Quanto a come vive oggi ciò che sta accadendo in Medio Oriente - dice la giornalista che da molti anni ha mantenuto con Bergoglio uno stretto rapporto -: con particolare dolore, perché fin da piccolo ha imparato sui banchi di scuola di una società multiculturale e multireligiosa, lezioni di comprensione e accettazione degli altri, dei diversi".

"La guerra d'altra parte è stata molto presente nella famiglia Bergoglio che ha vissuto la prima - ricorda ancora Francesca Ambrogetti -. Il nonno ha scelto di emigrare in Argentina con la moglie e l'unico figlio per raggiungere i fratelli, ma anche per il timore di un nuovo conflitto. Il Papa racconta nel capitolo sulla famiglia di non aver mai dimenticato l'emozione con la quale accolsero la notizia della fine della seconda guerra mondiale".
"Ricordo anche che in più di un'occasione ci ha detto che non solo pativa le ferite altrui nell'anima ma che sentiva nel suo anche quelle del corpo - conclude -. Con profonda sofferenza e preoccupazione ma anche con fede, speranza e tutto il suo impegno per contribuire al raggiungimento della pace".
(fonte: Ansa, articolo di Fausto Gasparroni 23/10/2023)

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Vedi anche la scheda del libro Non sei solo. Sfide, risposte, speranze in cui Papa Francesco dialoga con i giornalisti Francesca Ambrogetti e Sergio Rubin. Edito da Salani 
C'e anche la possibilità di sfogliare e leggere le prime pagine.