Un gesto e una parola che ci fanno sperare
in un futuro di pace!
Si chiama Yocheved Lifshitz la donna di 85 anni rilasciata nella serata del 23 ottobre, dopo essere stata brutalmente presa e trattenuta in ostaggio da Hamas per 16 lunghi giorni.
Questa donna, che si muove con la lentezza dei suoi anni e dei giorni vissuti sottoterra, o per il peso che si porta nel cuore, prima di essere affidata agli operatori della Croce Rossa che le vanno incontro sul posto designato per il rilascio, all'ultimo momento, come un gesto che quasi stava dimenticando, ma che aveva in animo, si gira e cerca la mano del guerrigliero di Hamas che l'aveva accompagnata imbracciando il mitra e con il viso integralmente coperto di nero e che potrebbe avere l'età di un nipote. La trova, gliela stringe e gli augura "shalom - salam" e da lui viene ricambiata.
Shalom (salam in arabo) è il saluto ebraico per eccellenza e letteralmente traduciamo con il termine pace, ma ha un significato più ampio, esprime una dimensione originaria della vita umana caratterizzata dall'abbondanza e dalla pienezza di senso, dal benessere e dalla completezza, è l'augurio di ogni bene.
Questo momento così inatteso e imprevedibile in quella situazione illumina il buio profondo che ci circonda, generato dalle atrocità commesse, e ci dona uno spiraglio di fiducia per ritrovare un'umanità che sembrava proprio scomparsa, e la speranza per un futuro di pace!
Questo momento così inatteso e imprevedibile in quella situazione illumina il buio profondo che ci circonda, generato dalle atrocità commesse, e ci dona uno spiraglio di fiducia per ritrovare un'umanità che sembrava proprio scomparsa, e la speranza per un futuro di pace!
Guarda il video
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Yocheved e la mano tesa ai rapitori di Hamas.
“Ma ho visto l’inferno”
L’85enne rilasciata li ha salutati con «Shalom», pace. «Sequestrata con brutalità, poi mi hanno curata»
Ascolta l'audio dell'articolo di Caterina Soffici da La Stampa del 24 Ottobre 2023
Di seguito la trascrizione del testo
I grandi gesti non hanno bisogno di molte parole. Qui ne basta una sola. Shalom. Pace. Sembra una
parola aliena in questi giorni, sembra venire da un altro mondo e mette i brividi pensare che a
pronunciarla è stata una donna di 85 anni, ostaggio di Hamas, proprio nel momento in cui viene
liberata.
C'è un video, che avrete visto tutti - chi al tg chi sui social o su Internet – e chi non l'ha
visto lo cerchi e lo guardi dieci volte, venti, come ho fatto io, fino a commuovermi. Mostra il gesto
straordinario e gigantesco della minuta Yocheved Lifschitz, che nel momento esatto della sua
liberazione, mentre sta per passare dalle mani dei suoi carcerieri a quelle dei suoi salvatori si ferma
e torna indietro, si volta per stringere la mano di uno dei militanti di Hamas bardato di mitra,
cartuccera, giubbotto antiproiettile e passamontagna. Cerca il suo sguardo, cerca la sua mano. I due
se la stringono e lei dice Shalom.
È un attimo ma sembra infinito, è un momento di sospensione
della barbarie, dove tutto quello che c'è stato prima e che ci sarà dopo si ferma in un tempo sospeso
nel quale conta solo l'umanità di un gesto semplice, talmente banale da sembrare impossibile.
Poi la donna si avvia traballante verso la libertà, ha il volto emaciato e il corpo provato, che ricorda
la magrezza e la paura nei volti dei superstiti dei campi di concentramento. Il pensiero non può non
tornare lì, alle immagini dei sopravvissuti, increduli nel ritrovare la vita, stralunati dall'orrore. Ma il
pensiero va anche alle parole di Primo Levi: «Io non perdono, ma non odio».
Yocheved Lifshitz, 85 anni, è stata rilasciata lunedì sera insieme a un'altra donna (Nurit Cooper, 79
anni). Era stata rapita insieme al marito Oded, 83 anni, ancora prigioniero. Li hanno presi il 7
ottobre, quando i miliziani hanno attaccato il loro kibbutz Nir Oz, nel Sud di Israele e hanno
massacrato la piccola comunità, uccidendo una persona su quattro (secondo il New York Times).
Hanno ucciso anche bambini.
La figlia Sharone Lifschitz, 52 anni, che vive a Londra, aveva
raccontato al Guardian di come era stata massacrata una ragazzina autistica a cui il padre insegnava
il pianoforte. Aveva raccontato che la casa dei genitori era stata distrutta.
Lifshitz e suo marito sono
veterani attivisti per la pace e i diritti umani che, secondo la famiglia, erano soliti trasportare i
palestinesi malati da Gaza alle cure mediche in Israele. Il padre è un giornalista che «parla bene
l'arabo e può comunicare molto bene con la gente del posto. Conosce molte persone a Gaza. Voglio
pensare che stia bene», ha detto Sharone.
Ieri Sharone era a Tel Aviv, accoccolata accanto alla sedia a rotelle da cui la madre ha parlato ai
giornalisti all'ospedale Ichilov e ha tradotto per i media internazionali. Una conferenza stampa
improvvisata, che ha suscitato molte critiche da una parte dei commentatori israeliani che hanno
accusato le autorità israeliane di una gestione maldestra della stampa e di un favore alla propaganda
di Hamas.
In verità, la donna ha raccontato senza mezze parole l'orrore del massacro la mattina dell'attacco.
«Ho visto l'inferno», ha detto. È stata legata a una moto e portata a Gaza. «Mentre viaggiavamo, il
motociclista mi ha colpito con un palo di legno. Non mi hanno rotto le costole, ma mi hanno fatto
molto male in quella zona, rendendomi difficile respirare. Mi hanno rubato l'orologio e i gioielli.
Alla fine siamo andati sottoterra e abbiamo camminato per chilometri in tunnel umidi, per due o tre
ore in una ragnatela di gallerie. Abbiamo raggiunto una grande sala. Eravamo un gruppo di 25
persone e ci hanno separati in base al kibbutz di provenienza.
La donna ha anche accusato le forze
di sicurezza israeliane di aver ignorato le prove che Hamas stava preparando un attacco. «Tre
settimane fa sono arrivati dei massi alla recinzione. Non l'hanno preso sul serio. Siamo stati lasciati
a cavarcela da soli».
Alla domanda cruciale: perché gli hai stretto la mano, la donna ha risposto che l'hanno trattata bene
e che gli altri ostaggi erano in buone condizioni. Le guardie - ha raccontato - davano ai prigionieri
lo stesso tipo di cibo che mangiavano loro (pita, formaggio e cetrioli). Un medico visitava ogni
giorno e forniva medicine e cure, anche per un ostaggio ferito in un incidente in moto. «Erano
molto attenti all'igiene e temevano un'epidemia. Avevamo dei bagni che pulivano ogni giorno».
Alla Bbc la figlia ha poi detto di non essere sorpresa dal gesto della madre: «Il modo in cui si è
allontanata e poi è tornata indietro e ha detto grazie è stato per me incredibile. È proprio da lei».
Una piccola grande donna che non odia, ma che di certo non dimenticherà e non perdonerà.