#EDUCARE
di Gianfranco Ravasi
Se qualcuno ti avesse educato, non potrebbe averlo fatto che col suo essere, non col suo parlare. Cioè, col suo amore o la sua possibilità di amore.
Pier Paolo Pasolini è stato spesso la coscienza critica dell’epoca in cui è vissuto. Lo ha fatto, come è noto, attraverso tante vie, alcune persino aspre o sconcertanti, altre invece rettilinee e immediate. È il caso di questa nota, piuttosto semplice, sul vero educare, visto come frutto di un amore fatto di impegno e donazione e non solo di stantii moniti moralistici. Spesso la parola «educazione» attira, nell’accezione comune, l’aggettivo «buona» e si propone come la norma del comportamento esteriore. È anche questo un elemento necessario nei nostri giorni così sgangherati e volgari.
Tuttavia non è l’elemento capitale. Cechov nei suoi taccuini con ironia aveva annotato: «Educazione: “Masticate come si deve”, diceva il padre. I figli masticavano bene, passeggiavano ogni giorno due ore, si lavavano a più riprese. Alla fine, però, divennero tutti uomini infelici e mediocri». Sì, perché l’educazione più importante è, come suggerisce la matrice latina del termine, educere, un tirare fuori da ogni persona le sue qualità interiori, facendo sbocciare quelle positive e amputare le negative. L’educatore non è solo un istruttore (instruere in latino è inserire dati nella persona), ma colui che estrae dallo scrigno della mente e del cuore del figlio o del discepolo i suoi valori, portandoli a pienezza. E questo compito può essere realizzato solo se si ama l’altro e si desidera sinceramente la sua crescita «in sapienza e grazia» (Luca 2,40).
(Fonte: “Il Sole 24 Ore - Domenica” - 3 settembre 2023)