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martedì 3 ottobre 2023

LAMPEDUSA - QUELLA TRAGEDIA CHE NON CI HA INSEGNATO NIENTE - A dieci anni dall'eccidio

LAMPEDUSA

QUELLA TRAGEDIA CHE 
NON CI HA INSEGNATO NIENTE

Il 3 ottobre 2013 a largo di Lampedusa morirono 368 persone, i superstiti furono 155. A intervenire per primo nei soccorsi fu Vito Fiorino con la Gamar e altri pescatori di Lampedusa. Erano passati appena pochi mesi dalla visita di Papa Francesco sull’isola. Quello che fu uno dei più gravi naufragi dell’immigrazione avveniva a poche centinaia di metri dalla costa


«Adamo dove sei, dov’è tuo fratello?, sono le due domande che Dio pone all’inizio della storia dell’umanità e che rivolge anche a tutti gli uomini del nostro tempo, anche a noi», a Lampedusa non erano trascorsi neanche tre mesi dalla storica visita di Papa Francesco sull’isola dove il Pontefice aveva parlato al mondo intero di quella «globalizzazione dell’indifferenza» davanti al dramma delle morti nel Mediterraneo Centrale. Era il mattino del 3 ottobre 2013, le parole di Papa Francesco riecheggiano a poche centinaia di metri dall’isola dei conigli di Lampedusa. Un barcone sovraccarico va in fiamme e si ribalta. «Gridavamo aiuto ma nessuno ci ascoltava, abbiamo acceso le luci ma nessuno ci vedeva, ad un certo punto il capitano ha acceso un lenzuolo e l’ha agitato. Entrava acqua, il barcone è affondato», fu il racconto dei superstiti davanti alle autorità di quel tempo, l’allora presidente del Consiglio Enrico Letta, l’ex ministro dell’Interno Angelino Alfano, l’ex presidente della Commissione Europea Josè Manuel Barroso. Morirono in 368 in quella che fu una delle stragi con il più alto numero di vittime nel Mediterraneo centrale.

I superstiti furono 155, 47 di questi furono salvati da Vito Fiorino e da i suoi amici che la sera prima stavano trascorrendo una serata in barca. «Alessandro mi diceva che sentiva vusciare, che in dialetto siciliano significa il verso dei gabbiani. Era la prima volta che rimanevo a dormire in barca. Ci siamo subito spostati e siamo andati incontro a quelle voci. Non erano i gabbiani. Erano mani intrise di olio che si alzavano dall’acqua in cerca disperata di aiuto, uomini, donne e bambini che gridavano help, help». La Gamar di Vito Fiorino con gli amici Grazia, Linda, Rosaria, Carmine, Marcello e Alessandro ne portò in salvo 47, di cui una donna. Nel frattempo arrivarono gli altri pescatori, l’imbarcazione Nica di Costantino Baratta e Onder Vecchi: «Li sollevavamo dall’acqua come fossero sacchi di patate», ricorda Baratta. Altri 18 e due cadaveri arrivano invece al molo nella barca di Domenico e Raffaele Colapinto. Il resto dei superstiti, in totale con i salvataggi dei pescatori furono 155, vennero soccorsi da due motovedette della guardia costiera.

Solomon, Ambasager, Amanuel, Rezene, Alex, Aregai, Russom, sono alcuni dei ragazzi eritrei salvati da Vito Fiorino, oggi alcuni di loro si trovano a Lampedusa dove ogni anno per il 3 ottobre partecipano a un momento di preghiera e di commemorazione: «mi chiamano father, papà», dice commosso Vito dalla sua gelateria O’Scia in via Roma.

Da quel 3 ottobre 2013 a Lampedusa poco sembra essere cambiato. Secondo le ultime stime di Save The Children sono oltre 28 mila i migranti morti o dispersi nel Mediterraneo centrale da quella data, 1.143 il numero dei minori, di cui più di cento, il 4 percento del totale soltanto nel 2023.

Le bare allineate nell’hangar dell’aeroporto o quelle bianche arrivate questo inverno al molo Favaloro raccontano di un dramma umano ancora aperto. E i familiari dei morti nel Mediterraneo centrale continuano a piangere i loro cari inginocchiati sulle banchine del molo.

«Chi ha pianto per la morte di questi fratelli e sorelle? Chi ha pianto per queste persone che erano sulla barca? Per le giovani mamme che portavano i loro bambini? Per questi uomini che desideravano qualcosa per sostenere le proprie famiglie?», diceva da Lampedusa nel 2013 Papa Francesco.

Nelle scorse settimane in meno di 48 ore il numero dei migranti sbarcati, oltre sette mila, ha superato quello degli abitanti. Tra i vivi anche i corpi di due neonati. Il 3 ottobre 2013 è una tragedia che non ci ha insegnato niente, è un grido di dolore che si rinnova e diventa memoria.
(fonte: Famiglia Cristiana, articolo di Alessandro Puglia 02/10/2023)


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A dieci anni dall'eccidio
Scritto da Tonio Dell'Olio 
e pubblicato in Mosaico dei Giorni il 03/10/2023


Per i 10 anni dalla strage in mare, madre di tutte gli eccidi del Mediterraneo, non si riesce a trovare le parole.

Ma non le avevamo nemmeno 10 anni fa. Erano solo grumi gelidi intorcigliati nella gola e nella pancia che diventavano lacrime solo se avevano il calore necessario a scongelarsi. Alla fine riuscirono persino a contarli. 368. Ma il numero non ha respiro e nemmeno uno sguardo. Il mattino dopo, per la prima volta, un Papa di nome Francesco visitava la tomba del suo santo. Del nostro santo. Del santo di quei morti. Solo tre mesi prima aveva scelto di andare a Lampedusa come prima uscita oltre le mura. Ma anche oggi forse è meglio il silenzio. Non è assenza di denuncia e di indignazione ma rispetto e riflessione. Oggi come allora un silenzio per non rischiare di far male con un dire inutile che galleggia appena mentre affondano la pietà, la solidarietà, l'umanità. Meglio il silenzio figlio del pudore.

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