LETTERA APOSTOLICA
SUBLIMITAS ET MISERIA HOMINIS
DEL SANTO PADRE
FRANCESCO
NEL QUARTO CENTENARIO DELLA NASCITA
DI BLAISE PASCAL
Grandezza e miseria dell’uomo formano il paradosso che sta al centro della riflessione e del messaggio di Blaise Pascal, nato quattro secoli fa, il 19 giugno 1623, a Clermont, nella Francia centrale. Fin da bambino e per tutta la vita egli ha cercato la verità. Con la ragione ne ha rintracciato i segni, specialmente nei campi della matematica, della geometria, della fisica e della filosofia. Ha fatto precocemente scoperte straordinarie, tanto da raggiungere una fama notevole. Ma non si è fermato lì. In un secolo di grandi progressi in tanti campi della scienza, accompagnati da un crescente spirito di scetticismo filosofico e religioso, Blaise Pascal si è mostrato un infaticabile ricercatore del vero, che come tale rimane sempre “inquieto”, attratto da nuovi e ulteriori orizzonti.
Proprio questa ragione così acuta e al tempo stesso così aperta, in lui non metteva mai a tacere la domanda antica e sempre nuova che risuona nell’animo umano: «Che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi?» ( Sal 8,5). Questa domanda è impressa nel cuore di ogni essere umano, di ogni tempo e luogo, di ogni civiltà e lingua, di ogni religione. «Che cos’è un uomo nella natura? – si chiede Pascal – Un nulla rispetto all’infinito, un tutto rispetto al nulla». [1] E al tempo stesso l’interrogativo è incastonato lì, in quel Salmo, nel vivo di quella storia d’amore tra Dio e il suo popolo, storia compiuta nella carne del “Figlio dell’uomo” Gesù Cristo, che il Padre ha donato fino all’abbandono per coronarlo di gloria e di onore al di sopra di ogni creatura (cfr v. 6). A tale interrogativo, posto in un linguaggio così diverso da quello matematico e geometrico, Pascal non si è mai chiuso.
Alla base di questo mi pare di poter riconoscere in lui un atteggiamento di fondo, che definirei “stupita apertura alla realtà”.
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BLAISE PASCAL, INFATICABILE E INQUIETO RICERCATORE DEL VERO
Papa Francesco dedica la Lettera apostolica "Sublimitas et miseria hominis" (Grandezza e miseria dell'uomo) all’opera del matematico, filosofo e teologo francese, nel quarto centenario dalla nascita (19 giugno 1623). «Un compagno di strada», lo definisce Bergoglio, «che accompagna la nostra ricerca della vera felicità». Fede e ragione, cuore e mente. Infine, il famoso tema della "scommessa" «Come cristiani», sottolinea Bergoglio, «dobbiamo tenerci lontani dalla tentazione di brandire la nostra fede come una certezza incontestabile che si imporrebbe a tutti».
«Un infaticabile ricercatore del vero, che come tale rimane sempre inquieto, attratto da nuovi e ulteriori orizzonti». Così papa Francesco, nella lettera apostolica Sublimitas et miseria hominis, Grandezza e miseria dell'uomo, nel quarto centenario della nascita, definisce Blaise Pascal (19 giugno 1623 - 19 agosto 1662), al centro della cui riflessione c’è il «paradosso» della «grandezza e miseria dell’uomo». “Che cos’è un uomo nella natura? – si chiede Pascal – Un nulla rispetto all’infinito, un tutto rispetto al nulla”, la domanda che si pone il filosofo francese, a cui Franesco riconosce “un atteggiamento di fondo”, che definisce “stupita apertura alla realtà”: “Apertura alle altre dimensioni del sapere e dell’esistenza, apertura agli altri, apertura alla società”. “Né la sua conversione a Cristo, a partire specialmente dalla ‘Notte di fuoco’ del 23 novembre 1654, né il suo straordinario sforzo intellettuale di difesa della fede cristiana hanno fatto di lui una persona isolata dal suo tempo”, il ritratto di Pascal nelle parole del Papa: “Era attento ai problemi allora più sentiti, come pure ai bisogni materiali di tutte le componenti della società in cui viveva. Apertura alla realtà ha significato per lui non chiudersi agli altri nemmeno nell’ora dell’ultima malattia. Di quel periodo, quando aveva trentanove anni, si riportano queste parole, che esprimono il passo conclusivo del suo cammino evangelico: ‘Se i medici dicono il vero, e Dio permette che mi rialzi da questa malattia, sono deciso a non avere alcun altro impiego né altra occupazione per tutto il resto della mia vita che il servizio ai poveri”.
“È commovente constatare che, negli ultimi giorni della sua vita, un pensatore così geniale come Blaise Pascal non vedesse altra urgenza al di sopra di quella di mettere le sue energie nelle opere di misericordia”, commenta Francesco, che cita il filosofo e l’attualità del suo messaggio: “Tutti gli uomini cercano di essere felici. Non ci sono eccezioni, per quanto diversi possano essere i mezzi impiegati. Tutti mirano a questo fine Quattro secoli dopo la sua nascita, Pascal rimane per noi il compagno di strada che accompagna la nostra ricerca della vera felicità e, secondo il dono della fede, il nostro riconoscimento umile e gioioso del Signore morto e risorto”.
«Conosciamo la realtà non solo con la ragione, ma anche con il cuore». Questa frase, tra le più celebri di Pascal, è citata dal Papa nella Sublimitas et miseria hominis, «Le verità divine, come il fatto che il Dio che ci ha fatti è amore, che è Padre, Figlio e Spirito Santo, che si è incarnato in Gesù Cristo, morto e risorto per la nostra salvezza, non sono dimostrabili con la ragione, ma possono essere conosciute con la certezza della fede, e passano poi dal cuore spirituale alla mente razionale, che le riconosce come vere e può a sua volta esporle”, spiega Francesco parafrasando il pensiero del filosofo francese e il suo invito ad unire alla ragionevolezza della fede le ragioni del cuore, tramite l’intelligenza intuitiva».
«Pascal non si è mai rassegnato al fatto che alcuni suoi fratelli in umanità non solo non conoscono Gesù Cristo, ma disdegnano per pigrizia, o a causa delle loro passioni, di prendere sul serio il Vangelo”, argomenta Francesco: “Infatti è in Gesù Cristo che si gioca la loro vita”. Per Pascal, “la fede cristiana non è un modo per esorcizzare la paura della morte, piuttosto ci aiuta ad affrontarla”: “Prima o poi, tutti andremo per quella porta. La vera luce che illumina il mistero della morte viene dalla risurrezione di Cristo. Solo la grazia di Dio permette al cuore dell’uomo di accedere all’ordine della conoscenza divina, alla carità”.
«Pascal è profondamente attaccato alla ragionevolezza della fede in Dio – spiega ancora il Papa – non solo perché la mente non può essere costretta a credere ciò che sa essere falso, ma perché se si urtano i principi della ragione, la nostra religione sarà assurda e ridicola». Ma, “se la fede è ragionevole, è anche un dono di Dio e non potrebbe imporsi: “è impossibile credere se Dio non inclina il cuore. Se la fede è di un ordine superiore alla ragione, ciò non significa affatto che vi si opponga, ma che la supera infinitamente. Leggere l’opera di Pascal non è dunque anzitutto scoprire la ragione che illumina la fede; è mettersi alla scuola di un cristiano di razionalità eccezionale, che ha saputo tanto meglio rendere conto di un ordine stabilito dal dono di Dio al di sopra della ragione».
«Non conosciamo la vita, la morte, se non tramite Gesù Cristo», scrive ancora il Papa, nella lettera apostolica Sublimitas et miseria hominis. «Se Pascal ha iniziato a parlare dell’uomo e di Dio, è perché era arrivato alla certezza che ‘non solo non conosciamo Dio se non tramite Gesù Cristo, ma non conosciamo noi stessi se non tramite Gesù Cristo”, argomenta infine Francesco, secondo il quale “come cristiani dobbiamo tenerci lontani dalla tentazione di brandire la nostra fede come una certezza incontestabile che si imporrebbe a tutti". Pascal, spiega il Papa, “aveva certamente la preoccupazione di far conoscere a tutti che Dio e il vero sono inseparabili, ma sapeva che l’atto di credere è possibile per la grazia di Dio, ricevuta in un cuore libero”.
“Perciò propongo a tutti coloro che vogliono continuare a ricercare la verità – impresa che in questa vita non ha mai fine – di mettersi in ascolto di Blaise Pascal, un uomo dall’intelligenza prodigiosa che ha voluto ricordare che al di fuori della prospettiva dell’amore non c’è verità che valga”, la proposta di Francesco, che sulla scorta del filosofo francese mette in guardia dalle “false dottrine, le superstizioni o il libertinaggio”. “Il dramma della nostra vita è che talvolta vediamo male e, di conseguenza, scegliamo male”, la tesi del Papa: “possiamo assaporare la felicità del Vangelo solo ‘se lo Spirito Santo ci pervade con tutta la sua potenza e ci libera dalla debolezza dell’egoismo, della pigrizia, dell’orgoglio’”. “Senza la sapienza del discernimento possiamo trasformarci facilmente in burattini alla mercé delle tendenze del momento”, l’altra citazione del filosofo francese: “l’intelligenza e la fede viva di Pascal, che ha voluto mostrare che la religione cristiana è ‘venerabile perché ha conosciuto bene l’uomo’, e ‘amabile perché promette il vero bene’, possono aiutarci ad avanzare attraverso le oscurità e le disgrazie di questo mondo”.
(fonte: Famiglia Cristiana 19/06/2023)