GIORNATA MONDIALE DEL RIFUGIATO:
CERCARE UN FUTURO È UN DIRITTO
Questa giornata è un invito ad accogliere. Riconoscendo i diritti degli altri, oltre che i nostri
Migrare è un diritto? Oppure ognuno è obbligato a restare nel luogo in cui è nato, qualunque siano le condizioni, qualunque sia il pericolo, qualunque sia la paura?
Oggi è la Giornata Mondiale del Rifugiato, decisa dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite per celebrare la ricorrenza della Convenzione sui rifugiati. Il 24 settembre, invece, la Chiesa celebrerà la 109a Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato (GMMR). Tra le due giornate c’è una differenza sostanziale: la prima è solo dei rifugiati, la seconda è anche dei migranti, categoria assai più vasta.
Secondo il rapporto annuale dell’UNHCR (l’alto Commissariato dell’ONU per i rifugiati), Global Trends in Forced Displacement, nel corso del 2022 il numero dei migranti è salito come non mai, raggiungendo gli 108,4 milioni: 19,1 milioni in più rispetto all’anno precedente. Di questi, 35,3 milioni sono rifugiati, cioè persone che hanno attraversato un confine internazionale in cerca di sicurezza, mentre il gruppo più numeroso (il 58%, cioé 62,5 milioni di persone) è costituito da sfollati all’interno dei loro stessi Paesi, a causa di conflitti e violenze.
È da sottolineare che, sempre secondo il rapporto, sono i Paesi a medio e basso reddito ad ospitare la maggior parte delle persone in fuga: i 46 Paesi meno sviluppati rappresentano meno dell’1,3% del prodotto interno lordo globale, eppure ospitano più del 20% di tutti i rifugiati.
Penso però che la differenza tra rifugiati e migranti di altro tipo sia sempre più sfumata e difficile da sostenere. Gli altri migranti noi li definiamo “economici”, termine riduttivo e fuorviante, perché la povertà, le crisi climatiche, la mancanza di libertà, l’impossibilità di assicurare un futuro alla propria famiglia sono forme di violenza. Gli uomini, le donne, i bambini che rischiano la vita nel Mediterraneo o sulla rotta balcanica, non cercano soldi, ma vita e futuro.
La Giornata dedicata oggi ai rifugiati e quella di settembre dedicata anche ai migranti, non sono certo tra le più popolari per l’opinione pubblica, che reagisce con un riflesso quasi pavloviano di paura, appena sente la parola “migrazioni” o i suoi sinonimi
Ciò nonostante oggi sono in calendario molte iniziative, sia istituzionali (16 città hanno illuminato i loro monumenti di luce blu, per «accendere i riflettori su quanto tutti possiamo fare per dare a queste persone più opportunità»), sia della società civile (con incontri e dibattiti in varie città), sia ecclesiali (per esempio questa sera a Catania, nella moschea della Misericordia, ci sarà un momento di preghiera interreligiosa guidato dal vescovo mons. Luigi Renna, dall’imam Kheit Abdelhafid e dal direttore della Caritas diocesana don Piero Galvano, per ricordare l’importanza di essere una comunità unita e accogliente).
PERCHÈ TUTTI SIANO INCLUSI
Da parte sua, l’UHNCR ha lanciato la Campagna HOPE AWAY FROM HOME – Un mondo dove tutti i rifugiati siano inclusi, per «celebrare il coraggio e la forza d’animo dei rifugiati» ed evidenziare l’importanza «di soluzioni a lungo termine per i rifugiati ed il potere dell’inclusione». E qui arriviamo al punto: i rifugiati (come gli altri immigrati) non chiedono compassione, perché poverini scappano dalla violenza, ma chiedono inclusione. E questo richiede scelte sociali e politiche. Italiane, europee e globali.
Il CSER (Centro studi emigrazione degli Scalabriniani), in occasione di questa giornata Mondiale del rifugiato ha dichiarato che i recenti naufragi «quasi procurati, mettono in luce l’urgente necessità di un approccio globale alla gestione dei flussi migratori». Perciò è necessaria «una visione globale e cooperativa…, che comprenda la prevenzione dei conflitti, il rispetto dei diritti umani e la promozione di soluzioni sostenibili a lungo termine». Per questo, «è fondamentale che i governi adottino politiche e misure legislative che garantiscano l’accesso all’asilo, nelle sue diverse forme, e la tutela della sicurezza e dignità dei rifugiati. E, allo stesso tempo, sosteniamo l’importanza di promuovere l’integrazione sociale ed economica dei rifugiati nelle comunità di accoglienza. Attraverso l’accesso all’educazione, ai servizi sanitari e alle opportunità di lavoro, i rifugiati possono ricostruire le proprie vite, contribuendo così allo sviluppo delle società in cui si insediano».
Il Centro Astalli richiama ad un impegno dell’Unione Europea, che deve trovare «il coraggio di gestire le migrazioni con politiche che sottraggano i rifugiati alla guerra, alle stragi in mare, ai pericoli delle rotte terrestri e a chi trasforma in profitto la loro disperazione», perché l’Europa «non sia la “una somma di umori e interessi nazionali” come recentemente ha ammonito il Presidente Mattarella, ma un progetto comune di sviluppo umano, saldamente fondato su valori condivisi».
E ovviamente l’appello all’impegno dell’Unione non è un alibi per l’Italia, che deve assumersi le proprie responsabilità, «con uno sguardo capace di sollevarsi dalla logica dell’emergenza. Ciò che da anni è urgente è un sistema di accoglienza adeguato, diffuso, proporzionato ai bisogni reali di chi arriva per chiedere protezione. Ancora più necessaria è una pianificazione partecipata e innovativa per offrire soluzioni di integrazione sostenibili e capaci di valorizzare il contributo che ciascuno può dare».
Anche il presidente di Migrantes, Mons. Gian Carlo Perego, in una intervista ad “Avvenire” del 10 giugno scorso, ha stigmatizzato l’atteggiamento dell’Unione Europea, dove «purtroppo una visione ideologica sull’immigrazione in alcuni Paesi si sta diffondendo nel contesto europeo», una visione che è espressione di una «cultura che sta mettendo in discussione le radici europee in materia di tutela del diritto d’asilo, presente in modo fondamentale in tutte le costituzioni degli stati membri». Eppure, «se si sono accolte due milioni e 400 mila persone ucraine nella Ue dando a tutti la protezione sociale, significa che Bruxelles in pochi mesi ha saputo dare un grosso segnale di responsabilità e solidarietà. Non si capisce perché, invece, davanti alle proposte di redistribuzione degli altri profughi – 30 mila – ci sia una effettiva distinzione tra richiedenti asilo provenienti da Paesi dove per noi è importante una presenza di solidarietà e la sicurezza delle persone e quelli provenienti da Paesi che non sono in questo alveo di sicurezza, affari ed economia dei nostri territori. Costoro vengono lasciati nella loro situazione spesso grave, senza poter esercitare il diritto di migrare».
Insomma, se i migranti vengono da un Paese dove abbiamo interessi economici e politici possiamo accoglierli, altrimenti no. E, aggiungo io, se hanno la pelle bianca possiamo accoglierli, se ce l’hanno scura no. Per loro migrare non è un diritto.
LIBERI DI SCEGLIERE
In questo contesto, suona decisamente disturbante il tema scelto da papa Francesco per la 109a Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato: “Liberi di scegliere se migrare o restare”. Perché mette in discussione le nostre certezze e dà una scossa alle nostre paure. Ricordandoci che, se vogliamo che la nostra società sia giusta, non possiamo difendere solo i nostri diritti, ma anche quelli degli altri. E che, nel caso delle migrazioni, questo significa da una parte «uno sforzo congiunto dei singoli Paesi e della Comunità internazionale per assicurare a tutti il diritto a non dover emigrare, ossia la possibilità di vivere in pace e con dignità nella propria terra». Dall’altra, «mentre lavoriamo perché ogni migrazione possa essere frutto di una scelta libera, siamo chiamati ad avere il massimo rispetto della dignità di ogni migrante; e ciò significa accompagnare e governare nel miglior modo possibile i flussi, costruendo ponti e non muri, ampliando i canali per una migrazione sicura e regolare».
(fonte: Vino Nuovo, articolo di Paola Springhetti 20/06/2023)