L’efficacia della resistenza civile
Uno studio straordinario decennale sulle lotte nonviolente nel mondo tra il 1900 e i giorni nostri ribalta secoli di pensiero dominante e ne mostra l’efficacia rispetto alle lotte armate
Barcellona. Foto di Institut Català Internacional per la Pau
In un tempo nel quale non solo la guerra è tornata perfino in Europa, ma il bellicismo – ossia l’ideologia della guerra – ha assunto un’inedita centralità mediatica e politica nella storia repubblicana del nostro Paese, la traduzione in italiano dell’importante lavoro sulla resistenza civile della ricercatrice statunitense Erica Chenoweth Come risolvere i conflitti. Senza armi e senza odio con la resistenza civile (2023) – grazie all’impegno di Angela Dogliotti del Centro studi Sereno Regis di Torino e delle Edizioni Sonda – rappresenta una contro-narrazione rispetto alla vulgata della inevitabilità dell’esito violento dei conflitti. Una vera e propria decostruzione di un mito. Questo volume è uno degli esiti dello studio ultra decennale, svolto insieme a Maria Stephan, sulla quantità ed efficacia delle lotte nonviolente nel mondo dal 1900 ai giorni nostri, una mappa sistematica e ragionata dell’evoluzione della nonviolenza nei conflitti degli ultimi 120 anni, i cui frutti ribaltano secoli di pensiero dominante, anche storiografico, secondo il quale solo “quando c’è guerra c’è storia” (Anna Bravo, La conta dei salvati, 2013).
“La vita quotidiana – scrive Erica Chenoweth – è piena di innumerevoli racconti, film, miti e altri desiderata culturali che glorificano la violenza. E questa costante esaltazione della violenza serve anche a cancellare la straordinaria storia umana della resistenza civile e dei movimenti popolari che nel corso dei millenni hanno portato avanti battaglie nonviolente”.
Intanto la definizione pragmatica – come nello stile dei ricercatori statunitensi, a cominciare dallo storico lavoro di Gene Sharp The politics of nonviolent action (1973) – di resistenza civile:
“la resistenza civile – scrive Erica Chenoweth – è un metodo di azione diretta in cui persone disarmate utilizzano diversi metodi coordinati, non istituzionali per promuovere il cambiamento senza fare fisicamente del male o minacciare di fare fisicamente del male all’avversario”.
Ciò significa che la resistenza civile è un metodo attivo di gestione dei conflitti sociali e politici, che viene agita da cittadini che intenzionalmente rinunciano all’uso della violenza – non perché siano necessariamente (e capitinianamente, potremmo aggiungere) persuasi della superiorità morale della nonviolenza, ma perché la violenza è per lo più inefficace – e fanno uso di varie tecniche di disobbedienza civile – scioperi, proteste, manifestazioni, boicottaggi, costruzione di istituzioni alternative e molte altre raccontate nel documentati volume – nei confronti di leggi ingiuste, regimi oppressivi, occupazioni militari.
(fonte: COMUNE-INFO, articolo di Pasquale Pugliese 24/06/2023)