Cardinale Matteo Zuppi:
Il nostro è un mondo che non riconosce più il passo del fratello, non interessa ...
Abbiamo bisogno di passi di pace per liberare dalla paura.
Ogni cristiano comunica la pace,
perché vive e annuncia Cristo, nostra pace.
Omelia nella Festa di san Domenico
- Basilica di San Domenico 04/08/2022 -
(Testo e video)
Abbiamo tanto bisogno di sentire passi che annunciano pace in un mondo dove non si ascoltano più quelli degli altri o arriva solo il rumore sinistro e pesanti dei passi militari, che disperdono e profanano il dono delicato e fragile della vita. Il nostro è un mondo che non riconosce più il passo del fratello, non interessa. Basta sfiorarsi, sentire che qualcuno si avvicina, che ci sembra di avvertire un pericolo e ci si difende. Esplode la rabbia giustificata dalla paura, dal rancore, dall’ingiustizia per qualche diritto che ci sembra tolto e per una minaccia non desiderata, che spesso, peraltro, non c’è o che in realtà siamo noi. Abbiamo bisogno di passi di pace per liberare dalla paura. Ogni cristiano comunica la pace, perché vive e annuncia Cristo, nostra pace.
La tradizione domenicana racconta come Reginaldo da maestro si fece discepolo (ogni vero maestro non dimentica di dover sempre imparare!). Reginaldo venne aiutato da Maria che gli apparve e unse i suoi piedi con l’olio santo “affinché siano pronti per annunciare il Vangelo di pace”.
Il cristiano è una sentinella che non si addormenta, perché vuole bene, non si accontenta di stare bene lui e di cercare il suo interesse. Parla perché “vede con gli occhi il ritorno del Signore a Sion”.
Chi vede la presenza del Signore nella sua vita si accorge del mondo intorno e del suo incanto, cioè la bellezza che contiene ogni persona, che trasforma ogni incontro in legame, in qualcosa di significativo. Senza questo tutto è uguale, grigio, privo di interesse. Gli occhi del Signore ci aprono alla vita, altrimenti resta solo il cinismo, la convenienza, persone che finiscono per avere tutti i diritti ma solo per difendere il proprio io. Non si trovano per davvero se non difendiamo allo stesso tempo quelli del prossimo.
La memoria di San Domenico, sentinella della presenza di Dio nella storia, ci aiuta a vedere oggi i segni della Sua presenza, a credere nella luce quando dentro e fuori c’è solo tanto buio. San Domenico ci aiuta sempre ad incontrare quello che è veramente necessario, ad uscire da noi per trovare il nostro io. È una gioia sempre nuova incontrare San Domenico, sentinella di un mondo nuovo che non ha creduto che si difende la verità annullando l’avversario ma attraendolo con una carità più convincente.
Non si è esercitato nel giudizio, ma ha predicato il Vangelo, cioè ha annunciato la Parola, in modo “opportuno e non opportuno”. Il non opportuno non è andare contro tutti a tutti costi, ma non arrendersi, non pensare mai che sia inutile parlare di Gesù, e farlo sempre e con tutti, anche quando pensiamo sia pericoloso o compromettente, insomma non opportuno. Il non opportuno dobbiamo sconfiggerlo dentro noi stessi, liberandoci dai nostri giudizi acquisiti, dalle parole d’ordine senza amore, dalla pigrizia, dall’assecondare la logica pervasiva e individualistica di lasciare ognuno solo con se stesso. San Domenico aveva “pertinacia compassionevole e paziente, facendosi aiutare dallo Spirito” e parlava “sempre con parole affabili e convincenti e con argomenti inconfutabili”. Con magnanimità e dottrina, si raccomanda l’Apostolo; con cuore largo e con tanta profondità di contenuto, perché raggiunga il cuore delle persone. Non opportuno significa non ridurre il Vangelo a verità impersonale, senza corpo, senza amore, perché la verità che è Cristo richiede sempre il nostro volto e la nostra carne. Non dobbiamo avere paura di annunciare Cristo in tutte le occasioni perché è sempre utile! “Ovunque si trovasse sia in casa con l’ospite o tra i magnati, i principi o i prelati, traboccava di parole edificanti e abbondava di esempi con cui piegava l’animo di chi ascoltava all’amore di Cristo”.
Non si tratta certo di contrapporci a tutti i costi a qualcuno avvertito come pericolo, credendo così di essere noi a scegliere per davvero, vedendo nemici dove non ci sono o finendo per parlare da soli.
Il Vangelo è sempre un seme, anche quando non sembra dia frutto o sia sprecato! È verità da annunciare in maniera viva, non con la lettera e la supponenza di una lezione (che non vuol dire certo profondità!), ma sempre con lo Spirito, con la fermezza umile e profonda di San Domenico. Facciamo due miglia non opportune con chi ci ha chiesto di farne uno. Non rispondiamo al male con il male e non accontentiamoci di risposte banali, senza sapore e profondità.
San Domenico predica sempre e ci manda con magnanimità e dottrina a capire i labirinti delle persone e dei pensieri che le agitano. Dottrina è non solo obbedienza alla Chiesa ma anche evitare accomodamenti compiacenti come durezze distanti dalla verità. I nostri giorni sono quelli in cui non si sopporta più la sana dottrina, che è sempre e solo il Vangelo, lo scandalo della croce, esigente, vera, umana. È proprio vero che oggi, pur di udire qualcosa, “gli uomini si circonderanno di maestri secondo i propri capricci, rifiutando di dare ascolto alla verità per perdersi dietro alle favole”.
I capricci di cui parla l’Apostolo sono le infinite esigenze di un ego sempre adolescenziale, convinto e indotto a cercare per sé, a esigere i diritti individuali secondari trascurando quelli primari, perché tutto gira intorno a sé, cancellando il prossimo, imprevedibile e irriducibile all’io, perché richiede di entrare in relazione. “Adempi il tuo ministero”, ecco quello che ci è chiesto. E ministero è servizio, è il tuo servizio, quello che è chiesto a te nella comunione del corpo. Siamo mandati a due a due, proprio come i fratelli raffigurati nella tavola della Mascarella. Non dimentichiamo che San Domenico si è sempre fatto chiamare “Fratello Domenico” e il suo ministero, il Vangelo, genera figli e fratelli, diversi tra loro, segno anche di una fraternità universale. Il beato Giordano di Sassonia, successore di San Domenico, disse di lui: «Poiché amava tutti, era amato da tutti». Amava sempre, opportune et inopportune. La comunione tra i fratelli e la missione a tutti fratelli. Quando ci si esercita nel comparativo alla fine non si vive più il dono della fraternità come dono. La preoccupazione è sempre la messe, davvero grande, stanca e sfinita di pecore senza pastore, davanti alla quale non ci è chiesto il giudizio, ma l’amore, non di distinguerci rimanendo lontani ma di andare in mezzo per essere operai.
Gli uomini mettono paura se non li amiamo. Poiché amava tutti, da tutti era amato.
Il cristianesimo sarà attraente solo se oseremo chiedere molto, opportune et inopportune, ma con amore, impegnativo per noi. Se mettiamo il cristianesimo nel banco dei tanti elisir di benessere, chi lo prenderà sul serio? Ma per chiedere amore dobbiamo amare! Diventiamo irrilevanti. Dobbiamo essere presenti nella vita concreta e parlare del Signore partendo dalla persona, riconoscendo in ognuno la dignità di figlio di Dio. Nel deserto non si cerca forse più intensamente l’acqua? Ecco la sfida di San Domenico e la sua consegna oggi. Una comunità con una tavola accogliente, abbondante nella fraternità. Che San Domenico ci aiuti a predicare il Vangelo con la stessa passione dell’inizio perché dia frutto abbondante di amore e noi troviamo il senso della nostra chiamata.
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