UN ANNO DOPO
Tra tutti i biglietti lasciati sul cancello della sua camera ardente, lo scorso agosto, ce n’era uno che diceva: “Grazie Gino, ora riposa. Andiamo avanti noi”. Era legato alle sbarre insieme a tanti altri, pieni di affetto e di gratitudine, ma aveva qualcosa di diverso: guardava in qualche modo al futuro.
Quel biglietto ha rappresentato di fatto un’ispirazione nell’anno che è seguito, durante il quale non sono mai mancati l’aiuto e il pensiero di amici o persone sconosciute che hanno voluto dire “Ci sono”, che sono stati accanto a EMERGENCY nel suo momento più difficile.
Tra i tanti doni che ci ha lasciato Gino abbiamo ritrovato così anche una comunità, nata intorno a un’idea semplice: “Chi ha bisogno va aiutato”. Attorno a quel suo modo di vedere il mondo, si sono ritrovate tante persone, spesso diversissime tra loro eppure tutte convinte che abbandonare qualcuno al suo destino sia sempre una scelta disumana.
Gino non ha abbandonato le vittime della guerra. Ferito dopo ferito, conflitto dopo conflitto, ci ha dimostrato che “La guerra non è mai la soluzione, ma è sempre il problema” e quindi va cancellata dalla nostra storia. Ovunque sia andato, ha visto esseri umani soffrire perché non avevano abbastanza soldi per ricevere le cure di cui avevano bisogno oppure perché dove vivevano non c’erano risorse, ospedali, medici a cui rivolgersi. In un mondo diviso tra chi può e chi no, si è sempre battuto per colmare quel baratro da medico, con tutti i mezzi che aveva. Perché “le cure sono un diritto umano fondamentale”.
Tante persone hanno portato avanti l’enorme lavoro di EMERGENCY. Tanti colleghi, volontari, artisti, amici, sostenitori, ma c’era sempre Gino alla guida. Era un ottimo medico, aveva coraggio, certo, ma soprattutto vedeva più lontano di tutti: aveva una capacità naturale di indicare la strada.
È passato un anno dal giorno in cui Gino ci ha lasciati. Anche se siamo irrimediabilmente più soli, oggi non possiamo fare altro che andare avanti noi. Lo facciamo perché ce n’è ancora bisogno e con la consapevolezza che – se oggi continuiamo a camminare – è anche perché qualcuno prima di noi ha avuto la forza di fare il primo passo.
(fonte: Emergency 13 Agosto 2022)
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Simonetta Strada: "Un anno senza Gino ma le sue idee continuano a parlarci"
La moglie del fondatore: "Se doveva passare 14 ore in piedi lo faceva ma se non era necessario si metteva a giocare a bridge. Non si sacrificava per solo moralismo, gli piaceva vivere". Sabato, a un anno dalla morte, il libro con Repubblica
Un anno dopo resta il sorriso, quello di una delle ultime foto, diffusa solo dopo la morte. L'affetto, enorme, che è scaturito intorno ad Emergency, la sua ong, dopo la morte. E i progetti, tanti, compresi quelli nell'amato Afghanistan, da completare. Ed è tornata la voce, potente più che mai, di Gino Strada. Il chirurgo milanese moriva esattamente un anno fa, il 13 agosto 2021, in Normandia dove si trovava in vacanza con la moglie, Simonetta Gola. È stata lei, nei mesi scorsi, a riprendere in mano il suo testimone e a consegnarlo al mondo. Lo ha fatto sotto forma di un libro, Una persona alla volta, che Strada aveva quasi terminato al momento della morte, uscito in marzo da Feltrinelli e in edicola da sabato con Repubblica.
Signora Strada, è passato un anno: che eredità ha lasciato Gino Strada?
"Un'eredità pratica prima di tutto: una serie di progetti grandi, realizzati e da realizzare. Emergency sta facendo un grande sforzo per andare avanti senza di lui. Ma credo che l'eredità vera sia l'idea che il mondo si può cambiare, che vale la pena di continuare a crederci e a fare quello che è giusto, anche quando è difficile. Una persona alla volta, appunto".
È il titolo del libro: lo avevate scelto insieme?
"No. Il titolo doveva essere un altro, ma l'ho cambiato dopo la sua morte. Non volevo che questa suonasse come qualcosa che guarda indietro, perché non lo è. È un libro di lotta, in cui Gino mette insieme le due cose che aveva capito nella vita: che la guerra non si deve fare mai e che la salute è un diritto universale. Quel titolo l'abbiamo scelto una sera a cena, con gli amici e i colleghi di Emergency: è una frase della postfazione, ci sembrava che riflettesse al meglio quello che ha fatto Gino. Salvare il mondo una persona alla volta, appunto".
Nelle prime pagine, il dottor Strada fa un riferimento a suo padre, morto quando era molto giovane. Sembra quasi un presentimento ...
"Gino diceva sempre che non sono gli anni a pesare, ma i chilometri. Ha avuto una vita intensa e non si è mai curato: quando ha iniziato a farlo la situazione era già complicata. Sapeva che c'era poco tempo ma questo gli ha dato la lucidità di scegliere le persone, le battaglie, i progetti".
Il libro è arrivato nelle librerie quando era da poco cominciata la guerra in Ucraina. In edicola ora che il conflitto va verso a una lunga continuazione...
"In momenti come questi c'è bisogno di ascoltare voci come quella di Gino. Aveva visto molte guerre: l'Iraq, la Cambogia, la Palestina, l'Eritrea, Gibuti, il Ruanda, l'Afghanistan naturalmente. All'inizio ragionava sulle motivazioni di ogni singolo conflitto, voleva capire. Poi è arrivato a credere che la guerra non ha mai senso. E questa riflessione vale anche per questo conflitto che lui non ha visto: nessuno dubita su chi sia l'aggressore e chi l'aggredito, ma Gino pensava che la guerra non ha senso in generale e soprattutto in un momento in cui sul tavolo ci sono strumenti di autodistruzione come quelli di cui dispone oggi l'umanità. Serve un modo di pensare diverso".
Lei ha detto: "Non era un martire". Può spiegarci?
"Quando uno muore, c'è sempre il tentativo di cancellare i suoi difetti. O, come in questo caso, di farne un martire raccontando la sua eccezionale dedizione al lavoro. Gino era una persona con una forte tensione verso la giustizia: se doveva passare 14 ore in piedi in sala operatoria lo faceva, ma se non era necessario invece si metteva a giocare a bridge. Non si sacrificava per solo moralismo, gli piaceva vivere, aveva molto altro al di fuori di quello che era la persona pubblica. E anche perché coltivava il resto della sua vita era una persona realizzata".
A lei come piace ricordarlo?
"Ho molti ricordi ma continuo a pensare al nostro arrivo in Normandia per quell'ultima vacanza. Era molto felice, gli sembrava la realizzazione di un grande desiderio perché venivamo da un periodo intenso e difficile. Continuo a guardare la foto, quella che abbiamo diffuso dopo la sua morte: a lui piaceva molto perché in quello scatto riconosceva sé stesso in pieno. Aveva raggiunto la consapevolezza di chi era, di quello che aveva fatto, di ciò che voleva. Diceva che era in pace con sé stesso. Non è una cosa da tutti. Questo pensiero mi ha aiutato a convivere con la sua morte".
(fonte: La Repubblica, articolo di di Francesca Caferri 11/08/2022)
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Una persona alla volta
di Gino Strada
Da Kabul a Hiroshima, il racconto di una missione durata tutta la vita: «Non un'autobiografia, un genere che proprio non fa per me, ma le cose più importanti che ho capito guardando il mondo dopo tutti questi anni in giro».
«Dai ricordi, pubblicati postumi, emerge il ritratto di un uomo sempre in prima linea. Pronto a curare tutti.» – Ezio Mauro, la Repubblica
«Bisogna curare le vittime e rivendicare i diritti. Una persona alla volta.»
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La miglior cosa che possiamo fare:
ad un anno dalla morte di Gino Strada
Gino Strada è morto il 13 agosto del 2021 a Rouen. Esattamente un anno fa.
Come fare a ricordare o a descrivere le azioni, le parole e le prese di posizione di un personaggio come Gino Strada?
Ogni volta che si prova a scegliere una definizione per il suo operato o una parola per descrivere il suo agire, si sente forte ed immediata la sensazione di star eliminando più che aggiungere, di star “normalizzando” un’esperienza che è stata unica perché unico è stato lo stile e l’approccio di Gino Strada nelle mille e mille azioni che ha portato avanti come medico, come organizzatore, come interprete di un mondo basato sull’eguaglianza: “L’eguaglianza è anche questo: condividere gli stessi diritti ed essere parte di un destino comune” (queste le sue parole).
E, quindi, ci giunge in qualche modo in soccorso La miglior cosa che possiamo fare, un percorso a più voci e a più mani sulle prese di posizione del fondatore di Emergency; un testo nato grazie alla casa editrice People, con l’esigenza di non cadere in una memoria retorica o in un ricordo di circostanza di un personaggio così complesso.
Gino Cavalli scrive, infatti, nella sua prefazione al testo:
“Gino Strada morto piace a tutti perché non parla” mi disse la figlia Cecilia pochi giorni dopo la sua scomparsa in un’intervista. Proprio così. La santificazione di Gino è partita a spron battuto pochi minuti dopo, nelle dichiarazioni dei politici, nei lagnanti editoriali dei giornali, nelle celebrazioni di gesso sputate nel palinsesto”.
Le celebrazioni e i ricordi di facciata tendono a neutralizzare e quasi, per assurdo, a cancellare il potenziale eversivo e dirompente delle azioni di Gino Strada che non può essere presentato semplicemente come un medico filantropo che sposava cause impossibili in luoghi impossibili.
Questo tipo di narrazione, pur infilandosi facilmente tra le pieghe della comunicazione, nasconde la reale portata delle sue azioni che sono progetti; sono cura per il dettaglio; sono una visione delle relazioni fra i popoli; sono una consapevolezza profonda e tagliente del valore delle parole e delle dichiarazioni. Parole, azioni e progetti sono tutti costantemente ancorati ad un progetto di pace.
Le sue scelte sono, infine, il coraggio costante di un “dissidente” (come scrive ancora Cavalli: “Gino è stato il più grande dissidente italiano negli ultimi anni”) che ha parlato per tutta la vita della pace come un processo costante e continuo che non si esaurisce nella banale idea dell’assenza di guerra, ma deve avere dentro di sé la condivisione di diritti, la ricerca dell’uguaglianza e la volontà di un incontro reale con l’altro.
Tutte parole che indicano la bontà di un’azione e di un operare; tutte parole che congiungono il sogno alla sua realizzazione; tutte parole che si legano all’agire.
“Tutto questo, scrive Nico Piro, mi porta a dire – con un’iperbole – che Gino Strada era un comandante e si è costruito un esercito perché non era un pacifista, o almeno non lo era nel senso classico del termine. Gino era un guerriero della Pace”.
L’iperbole serve ad indicare un cammino e la costanza di una forza che sa vedere sempre davanti a sé un obiettivo di rispetto e di cura per l’altro. Nelle parole dei collaboratori di Gino Strada emerge forte la sua volontà di realizzare strutture che fossero anche belle e accoglienti, capaci cioè di dare un segnale che andasse oltre la semplice emergenza e indicasse il rispetto umano come condizione da garantire a tutti.
Nel suo contributo al libro, Roberto Vicaretti, riferendosi ad un’intervista fatta con Gino Strada per Rai News 24, un paio di giorni dopo la consegna davanti al parlamento svedese del Right Livelihood Award, il premio Nobel per la pace alternativo, ricorda: “La forza tranquilla delle sue parole, il tremore della mia voce e quel messaggio che, rispettosamente, semplificherei così: sono un medico, sono contro la guerra e faccio la mia parte. Ecco, quello era ed è il messaggio, quella era ed è la pratica pacifista: fare la propria parte, piccola o grande che sia, per costruire una società nuova, libera e giusta. Una società di pace”.
Una società di pace, dunque, che nasce da prese di posizione continue, oneste e aperte; prese di posizione che ci consentano di allenare lo sguardo, secondo una felice espressione di Elena Pasquini: “Allenare lo sguardo alla scuola di Gino Strada è già “il meglio che possiamo fare”, cambiando i termini di quella relazione con le persone e le società dei Paesi in guerra o che si definiscono “in via di sviluppo”. Da quello sguardo discende tanto”.
Allenare lo sguardo è una spinta e un suggerimento. “La miglior cosa che possiamo fare” non serve a chiudere la memoria di Gino Strada in un cerchio ristretto di ammiratori o adepti; restano le azioni compiute e quelle da compiere; resta lo stile da riconoscere e il linguaggio da onorare con prese di posizione chiare, nette.
La postfazione di Giuseppe Civati ci riporta al cuore di questa iniziativa editoriale: “People ha deciso di offrire, grazie alle sue autrici e ai suoi autori, un percorso attraverso le azioni, le prese di posizione e le parole di Strada. Quelle stesse parole, nitide e forti, che la politica non udiva. Troppo alte, per la Realpolitik, troppo laterali per le logiche di palazzo, troppo convinte, per gli eterni compromessi che attraversano il nostro dibattito pubblico”.
Con i contributi di
Giulio Cavalli, Giuseppe Civati, Forum Trentino per la Pace e i Diritti Umani, Elena L.Pasquini, Nico Piro, Marco Vassalotti, Roberto Vicaretti
People, 2022
Pagine 144; € 12,00
(fonte: Menti in fuga, articolo di Antonio Fresa 13/08/2022)
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Vedi anche i post precedenti: