Alberto Melloni
Il cristianesimo conteso
La fede usata come uno strumento elettorale in tutto l'Occidente
Il cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei (eikon)
Il cattolicesimo è oggi conteso nelle campagne elettorali di tutto l’Occidente. Nell’America di Trump la sua saldatura con l’evangelicalismo suprematista ha creato un vero “ecumenismo dell’odio” (Spadaro dixit). In Europa il cattolicesimo orientale ha fornito il collante per scelte che hanno disegnato non maggioranze ma regimi. E anche da noi il salvinismo aveva tentato di usare i segni della fede – incluso il volto di una migrante ebrea che viaggiava con un uomo che non era il vero papà del suo Bambino – in una operazione naufragata per poco. Ovvio, dunque, che nelle prossime elezioni la posizione della Chiesa italiana sia rilevante: ma per prevederla o decifrarla bisogna aver chiare tre cose.
Primo. Gli ecclesiastici non sono tutti dei geni politici. Ma solo un cieco non vedrebbe che andando verso le urne le destre agiteranno la bandiera dei “valori” attorno alla retorica gandolfiniana famiglia/vita, sulla quale s’è costruito un castello ideologico dentro al quale non c’è pietà né vita. E solo cieco non vedrebbe che le sinistre si illudono che grattugiare un po’ di accoglienza e inclusione bastino a catturare un voto cattolico che aveva trovato voce negli Andreatta, negli Onida, nei Sassoli. Dunque la “regola uno” della Chiesa sarà di evitare di cadere nelle trappole propagandistiche.
Secondo. Il Papa non manifesta spesso stima per i vescovi italiani. Spesso dopo averli scelti, ne vede solo i difetti; e ne sceglie altri destinati alla stessa fine. Nega il cardinalato a quelli che sono nelle città più difficili (dove oggi le mafie possono agire uccidendo con una calunnia). E non ha lasciato alla segreteria di Stato un millimetro di margine politico. Non so dunque se abbia dato ordini particolari per le elezioni: ma deduco che guardi l’Italia con un binocolo rovesciato, da quel che dice in un magistero sociale che, in questo Paese, i cattolici misero in Costituzione quando lui aveva undici anni. Dunque la “regola due” della Chiesa è evitare che il Papa si faccia l’idea che la Cei vive ancora del sogno ruiniano di essere “rilevante”, anche a costo di accoccolarsi come un cagnolino cieco ai piedi di Berlusconi e mordere i garretti a Prodi.
Terzo: ieri è andata a messa una piccola minoranza di persone; fra i 5 e i 7 milioni di persone. Rispetto a questo tutto ciò che l’opinione pubblica crede rappresentativo del cattolicesimo è una piccola scintilla moltiplicata dai social e dalla vanità; e tutto ciò che lì dentro si agita è da sempre impermeabile alle logiche gerarchiche. Quando Ottaviani voleva far fallire il centrosinistra, Fanfani resse. Quando Paolo VI in persona si schierò contro il divorzio i cattolici lo votarono. Quando Ruini cercò di impedire la vittoria di Prodi, questi prevalse (anche se poi riuscì a farlo cadere). Dunque la “regola tre” dell’episcopato italiano è capire se davvero il cattolicesimo vissuto con la sua complessità interna è come lo descrivono i sondaggi o se al suo interno sono rimasti i due istinti – l’istinto di andare a votare e l’istinto che la Costituzione è (anche) sua – che potrebbero incidere sull’orizzonte del 25 settembre.
Se fossero dati esatti ne risulta che le quattro coalizioni dovrebbero evitare di trattare il cattolicesimo come si fa col segmento elettorale dei “possessori di animali domestici”. La comunità cattolica porta in sé complessità, sfumature, contraddizioni, sensibilità che non vanno né blandite (non è scema) né dileggiate (non è morta): e porta in sé un’attesa di pace che speriamo di non dover rimpiangere di aver lasciato inascoltata così a lungo e con tanto semplicismo.
(fonte: Repubblica 22/08/2022)