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mercoledì 24 agosto 2022

"Due (opposte) fragilità raccontano i cristiani divisi sulla guerra" di Lorenzo Prezzi

"Due (opposte) fragilità 
raccontano i cristiani divisi sulla guerra"
di Lorenzo Prezzi


Il 14-15 settembre prossimo è possibile che il patriarca di Mosca, Cirillo, e papa Francesco partecipino al settimo congresso dei leader delle religioni mondiali a Nun-Sultan (Kazakistan). 

Sarebbe il loro secondo incontro, dopo l’Avana nel 2016. Sia Cirillo che Francesco sono segnati dalla debolezza rispetto all’aggressione russa in Ucraina, ma in senso opposto: Cirillo per una evidente insufficienza evangelica in ragione della giustificazione ideologica al conflitto, Francesco per una preziosa esposizione profetica, priva di adeguato consenso di quanti sono coinvolti. La guerra ucraina non solo si sta prolungando nel tempo, ma allarga il coinvolgimento (per ora solo indiretto) dei paesi “amici”. La preoccupazione di mons. Paul Gallagher, segretario per i rapporti con gli stati della Santa Sede, è che i molti «focolai di guerra nel mondo siano soggetti a una infezione incrociata e che tutti i punti improvvisamente si uniscano. Ci troveremmo in guerra, non solo in singole regioni, paesi o continenti ma in un mondo in conflitto» (intervista a G. O’Connell, 11 luglio). La “terza guerra mondiale a pezzi”, secondo la definizione di Francesco, diventerebbe la “guerra grande” come suona il titolo di Limes (7,2022). Il conflitto ucraino è già il segno della sconfitta del cristianesimo in Europa.

Cirillo, chierichetto di Putin 

Cirillo di Mosca, considerato persona non grata in Gran Bretagna, Canada e Lituania e sfuggito a una condanna del parlamento europeo per la difesa del presidente ungherese, Viktor Orban, non perde occasione per giustificare l’aggressione di Putin al paese vicino. Dopo averla indicata come “guerra metafisica”, come scontro fra bene e male, come baluardo contro il depravato Occidente, come testimonianza della fede genuina rispetto ai “lapsi” (deboli) delle Chiese latine ed elleniche, in occasione della inaugurazione della cattedrale di Spassky (Penza – Mosca) ha contrapposto la costruzione delle chiese in Russia rispetto alla loro chiusura e vendita delle Chiese in Occidente. Il giorno dopo (21 giugno) visitando un ospedale militare invoca la protezione di Maria per la vittoria contro i “nazisti”. 

In una successiva visita a Kalingrad, la striscia di territorio fra Polonia e i paesi baltici, sottolinea “l’alterità” della Russia «che provoca un sentimento di gelosia, invidia e risentimento, perché sappiamo che la nostra patria non ha mai fatto del male a nessuno». Una posizione priva di distanza critica, anche parziale, rispetto al potere autocratico dello zar. 

Contraddittorio 

Persino contraddittoria, sia nei confronti dell’insegnamento ortodosso circa l’uccisione degli innocenti, sia della tradizione monastica-spirituale (ha definito i soldati degli “asceti” e dotati di sensibilità morale “superiore”, elementi classici del monachesimo), sia dell’insegnamento sociale da lui approvato assieme agli altri vescovi russi nel 2000. Ne I fondamenti del pensiero sociale della Chiesa ortodossa russa si afferma l’opposizione della Chiesa «alla conduzione di una guerra civile o all’avvio di una guerra di aggressione a stati stranieri» (cap. 3, n. 8) e il suo dovere di «stare dalla parte della vittima di un’aperta aggressione» (cap. 2 n. 4). A parte la Chiesa serba, quella di Gerusalemme e alcuni spezzoni dell’Ortodossia in diaspora, la sua posizione è stata censurata dalle Chiese cristiane: ortodosse, anglicane, protestanti e cattolica. Il patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo, gli ha chiesto di essere all’altezza della situazione e di opporsi a Putin.

Epifanio, della Chiesa ortodossa autocefala ucraina, ha auspicato una censura nei suoi confronti di tutti i gerarchi ortodossi che dovrebbero dimetterlo. Il card. Kurt Koch, presidente del dicastero per l’unità dei cristiani, ha qualificato come eretica la sua posizione. Il Consiglio ecumenico delle Chiese (CEC) ha definito la guerra come «incompatibile con la stessa natura e volontà di Dio e contro i nostri principi fondamentali cristiani ed ecumenici». 

Piccole ma significative increspature dentro la Chiesa ortodossa russa sono riconoscibili nelle lettera pubblica contro il conflitto firmata da circa 300 preti e nella dichiarazione delle delegazioni ortodosse alla futura assemblea del CEC contro la guerra, condivisa anche dalla delegazione russa. C’è chi vede nella defenestrazione di mons. A. Hilarion, ex numero due del patriarcato di Mosca, come censura alla sua impercettibile distanza dalla giustificazione patriarcale. 

Francesco e la profezia 

Il giudizio sulla guerra ucraina di Francesco è comprensibile dentro la lungimiranza profetica che spesso non ha riscontro. «Era accaduto così nel 1917 – annota il card. Pietro Parolin, segretario di stato – con la famosa nota di pace di Benedetto XV durante l’“inutile strage” della prima guerra mondiale, ignorata dalla potenze belligeranti di allora. Si è ripetuto con gli appelli di Pio XII, che fece di tutto per scongiurare l’immane tragedia della seconda guerra mondiale. Pensiamo ancora, più vicino a noi, all’accorata richiesta di san Giovanni Paolo II, che nel 2003 supplicò di non attaccare l’Iraq. Pure oggi, nella tragica vicenda ucraina, non sembra emergere al momento disponibilità a intavolare reali negoziati di pace e ad accettare l’offerta di una mediazione super partes» (Limes, 7/2022, 247). 

È una solitudine legata alla progressiva distanza del magistero rispetto alla dottrina della “guerra giusta”: dalla centralità delle vittime civili nelle due guerre mondiali all’incomprimibile potenza dell’armamento nucleare, dalla sproporzione degli investimenti sulle armi ai nuovi dispositivi autonomi, dall’indicazione dello spazio come ambito di guerra (assieme alla terra, al mare e al cielo) ai conflitti ibridi e cibernetici. In parallelo si è cercato di sradicare ogni possibile giustificazione religiosa alla violenza (dagli incontri di Assisi dal 1986 al Documento sulla fratellanza di Abu Dhabi del 2019). 

Fino a riconoscere nell’essenza della guerra il male in sé, che modifica a propria immagine tutti i protagonisti, al di là delle differenti e contrapposte responsabilità. Le tragedie che essa induce sono sempre superiori alle soluzioni che permette. «Davanti a tale realtà oggi è molto difficile sostenere i criteri razionali maturati in altri secoli per parlare di una possibile “guerra giusta”. Mai più la guerra». (2020, Enciclica Fratelli tutti, n. 258). 

Da qui nasce la cura di Francesco di non demonizzare il nemico, lo scarso entusiasmo nell’invio delle armi, il mancato schieramento acritico sul versante della Nato, l’insistenza sulla necessità del dialogo, il desiderio di un doppio viaggio a Mosca e Kiev. Francesco filo-russo? Ritengo «ingenerose e anche un po’ grossolane certe critiche, legate forse … alla constatazione che il papa non fa il “cappellano dell’Occidente”» (P. Parolin). 

Gli scontenti 

Difficile negare che la posizione di Francesco non abbia avuto riscontro da parte russa, almeno fino ad oggi. In compenso ha sollevato una marea di critiche in Occidente. Accenno solo ad alcune voci interne. 

Come il vescovo latino di Kiev, Krivistsky, che considera le parole del papa come scorrette e l’arcivescovo maggiore dei greco-cattolici ucraini che, davanti all’«abbaiare della Nato» come una delle molte motivazioni del nervosismo russo evocate da Francesco, risponde: «Chiunque pensi che una causa esterna abbia provocato la Russia all’aggressione militare è lui stesso vittima della propaganda russa o sta semplicemente e deliberatamente ingannando il mondo». Si può aggiungere la sussiegosa dichiarazione del presidente dei vescovi polacchi, mons. Gadecki: «L’approccio del Vaticano verso la Russia dovrebbe cambiare, essere più attento, perché l’approccio attuale è datato, sembra molto ingenuo e utopico».

Manca la teologia e la pratica 

Nella distanza fra profezia e politica la diplomazia è tornata alle categorie della guerra giusta, apprezzando la resistenza ucraina, l’aiuto delle armi da parte della Nato, la difesa dell’integrità territoriale ecc. Il pericolo era quello di delegare ai politici l’intero problema, di perdere il quadro d’insieme, di ridurre la fede o all’ideologia guerresca o ad un pacifismo senza qualità. 

Di perdere di vista il tema della libertà e della dignità connessa. Uno spazio che richiederebbe una più approfondita riflessione teologica, sostanzialmente ferma agli anni ‘80 del secolo scorso, e una pratica ben più diffusa di non violenza attiva. Riconoscere il limite ecclesiale significa anche non ignorare l’insufficienza di un Occidente che non avverte il bisogno di una interlocuzione critica interna per non essere prigioniero del suo orizzonte, perdendo consensi e interesse dagli altri quadranti del mondo.
(fonte: Editoriale di “Domani” del 22 agosto 2022)