Benvenuto a chiunque è alla "ricerca di senso nel quotidiano"



giovedì 19 marzo 2020

PAPÀ CHIAMATI A ESSERE I COMANDANTI DI UNA NAVE IN TEMPESTA di Alberto Pellai


PAPÀ CHIAMATI A ESSERE I COMANDANTI 
DI UNA NAVE IN TEMPESTA
di Alberto Pellai

Oggi è la festa del papà. Un ruolo centrale per la famiglia, in particolare in questi tempi che da un lato costringono per alcuni a una convivenza forzata per altri a una distanza obbligata 



Troppo vicini. Oppure troppo lontani. E’ dentro a questo “troppo” che molti papà oggi vivono la loro festa. E’ un 19 marzo differente da sempre: il mondo ha chiuso le porte. Di casa, di molte aziende, di quasi tutte le attività commerciali. E soprattutto di tutte le scuole. I nostri figli sono chiusi in casa da mattina a sera. Siamo tutti protagonisti di un film che non avremmo mai voluto vivere. Per i nostri figli significa trovarsi deprivati di gran parte delle libertà che pensavano essere un diritto assoluto, quale quella di incontrare gli amici. Sono anche obbligati a fermarsi col corpo. E quindi niente più sport, niente più partite del sabato e della domenica. Si deve reinventare tutto.
Questo cambiamento di prospettiva rende la festa di noi papà molto particolare, oggi. Alcuni di noi stanno vivendo una reclusione condivisa. 24 ore su 24 a contatto con i figli. E loro con noi. Per alcuni di noi sovrabbonda l’unica cosa di cui quasi sempre, nella vita normale, siamo poverissimi: il tempo e le occasioni di stare insieme. Ora siamo sempre insieme. Se si vive in case piccole ci respiriamo addosso. E la sensazione può essere anche claustrofobica. Noi psicoterapeuti sappiamo quanto a volte la famiglia possa essere percepita come una gabbia che ti imprigiona. Succede in particolare quando i figli sono piccoli, totalmente dipendenti da noi e non ci si può allontanare da loro nemmeno un minuto. E’ lì che impariamo a rinunciare alle nostre priorità, che diventiamo disponibili. Un neonato rende obbligatorio imparare a decentrarsi, a passare dall’io al noi. Stiamo lì per lui, rinunciamo al sonno, ci preoccupiamo per ogni suo piccolo sussulto. Tutto diventa secondario nel tempo in cui i nostri figli, nati da poco, si affacciano e si abituano alla vita. Così impariamo la pazienza. Impariamo l’amore. Impariamo a tollerare le frustrazioni che diventare genitori, inevitabilmente, porta con sé. Oggi è un po' come tornare ai primi mesi di vita. I nostri figli hanno soltanto noi al loro fianco. Dobbiamo ridiventare, metaforicamente, braccia che cullano e parole che confortano. Ma dobbiamo anche essere compagni di gioco, tutor di apprendimento online, sostentamento emotivo. Un po' come comandanti di una nave nella tempesta. Gennaro Arma, il comandante della nave da crociera Princess rimasta bloccata per infiniti giorni con i passeggeri in quarantena a bordo, ha detto che lui doveva fare tutto questo con i suoi passeggeri. Loro si erano imbarcati sulla sua nave per vivere un’emozione unica e indimenticabile e, senza volerlo, si sono trovati protagonisti di un incubo. Un po' come tutti noi, ora, nelle nostre vite. Noi padri, oggi, dobbiamo diventare i comandanti di una nave che affronta una tempesta inaspettata, rimanendo al timone e affrontando gli imprevisti. Se viviamo in una coppia stabile, coordinarci con la nostra compagna di vita rappresenta la più grande risorsa. Perché, in due tutto diventa più facile.
In questi tempi, ci stiamo accorgendo di quale risorsa incredibile è per noi la nostra famiglia. Se invece di percepirne la dimensione claustrofobica, vedremo in questa intimità forzata un’occasione per rinforzare e valorizzare i nostri legami, allora tutto potrà diventare più bello. Nella mia famiglia numerosa, non vedo solo nervosismo e insofferenza. Vedo anche molti gesti di solidarietà tra fratelli, sento molte più parole di prima, scopro che i momenti dei pasti sono diventati lunghi e divertenti. E si gioca tanto. Molto più di prima. Vedo i miei figli far fronte alla difficoltà, coltivando la speranza e non solo la tristezza. Parlano con i loro amici attraverso i loro social e quei telefonini che prima gli rubavano la vita reale e ora gliene restituiscono una “parvenza”, trasformandosi in scialuppe di salvataggio, braccia elettroniche che si tendono verso l’altro per un incontro che, seppur virtuale, oggi è più che mai necessario.
Ma in questo giorno di festa dei papà, non possiamo però non pensare a tutti quei padri che oggi non possono essere vicini ai loro figli. Padri in trincea negli ospedali, padri separati che non possono rientrare a casa, padri che hanno i figli in giro per il mondo a inseguire una prospettiva di lavoro che a casa loro non potevano trovare. E poi ci sono i padri dei figli dell’Erasmus che in questi giorni dovrebbero, forse, tornare a casa. In questo distanziamento sociale, il rischio è che le solitudini di alcuni di noi si amplifichino oltremisura, generando disagi infiniti, tristezze non confortabili, abissi di isolamento e ritiro sociale.
Chi troppo e chi niente, verrebbe da dire. In questa mancanza di equilibrio, ogni papà oggi si deve trasformare in un equilibrista. Siamo tutti funamboli, nella vita. E oggi l’altezza su cui è stato posto il filo su cui camminiamo è molto più elevata, rispetto a quanto succedeva poche settimane fa. Da lì in alto, guardiamo giù e proviamo una vertigine inedita. Ma se osserviamo bene, i nostri figli là sotto ci stanno guardando e salutando. Stanno facendo il tifo per noi. Ci dicono: “Papà continua a camminare e a non cadere”. Loro non possono darci l’equilibrio. Quello lo dobbiamo trovare noi. Ma avendo loro come tifosi, è più facile riuscirci.