Benvenuto a chiunque è alla "ricerca di senso nel quotidiano"



venerdì 11 gennaio 2019

Avete paura della verità! A proposito della lettera aperta di un'immigrata a Salvini: Sarei rimasta lì, a casa mia, nella mia terra. Avrei fatto a meno della pacchia...

A proposito di una lettera di un'immigrata a Salvini.
Avete paura della verità!


Alcuni mesi fa, ho incontrato una giovane immigrata. Ho ascoltato la terribile storia della sua vita, il racconto della miseria da cui fuggiva, l’orrore che le era toccato nel lungo pellegrinare tra deserti, terre assassine e un mare ingrato.

Mi chiedeva perché tanto disprezzo per quelli come lei, perché tanto odio. Avrebbe voluto spiegarsi con la nostra gente, far arrivar loro un messaggio, la sua povera umanissima ragione. E voleva che le sue ragioni arrivassero ai nostri governanti, soprattutto a quell’uomo cui tante volte aveva sentito dire che quelli come lei facevano la pacchia, erano ladri che rubavano vita e risorse agli italiani.

Da quell’incontro è nata una lettera che Raiawadunia ha deciso di pubblicare. Quella lettera ora scuote la coscienza degli italiani. E’ divenuta virale, fa discutere e ragionare. Come lei, e tanti altri come lei, desideravano e desiderano.

Come da copione, ora c’è chi mette in giro che quella lettera sia falsa. Lo fa perché spaventato dalla tragica bellezza di quel racconto, da quel dignitoso grido di dolore, da quell’urlo sacrosanto che chiede giustizia e ascolto.

Avete mai provato a parlare con loro, con quelli che guardate come nemici?

Fatelo. Riceverete mille e mille storie drammaticamente simili a quella da noi pubblicata.

Pensate davvero che un’africana non sia in grado di esprimersi con tanta forza e chiarezza?

E’ solo la vostra tragica ignoranza con l’unica discolpa che a tanto non sapere vi hanno portato i pifferai che occupano ogni potere nel nostro paese.

Leggete Kourouma, Senghor, Achebe, Ken Saro Wiwa, Narrudin Farah. Le loro poesie e i loro racconti. Quelli di mille e mille altri poeti e scrittori africani. Osservate le opere di Malangatana, Dago, Tita Mbaye, Reinata, Camara. Reinata non sa scrivere, ma il suo inno all’amore e alla fratellanza commuove chiunque abbia l’occasione di vedere i suoi manufatti. Ha una potenza magnetica, come la ha la poesia e l’arte che non hanno problemi di color di pelle o altre sciocchezze.

L’Africa è cultura, tanta cultura. L’espressione di uomini e donne come noi, con la stessa capacità di amare e produrre il bello.

Fatelo e scoprirete semplici verità che metteranno in crisi le favole bugiarde che vi hanno propinato. Ritornerete umani tra gli umani. Finalmente. E non perderete, non perderemo più tempo prezioso. L’umanità chiede cooperazione, non odio, per risolvere problemi che sono comuni ad ogni latitudine e parallelo.

Ad ogni latitudine e parallelo, infatti, ci sono solo uomini e donne. E il loro diritto a vivere.
Silvestro Montanaro

LETTERA A SALVINI DI UN'IMMIGRATA AFRICANA: 
«LA FACCIA CATTIVA LA DEDICHI AI POTENTI CHE OCCUPANO CASA MIA»

È diretta e senza mediazioni la lettera aperta di una donna africana al ministro dell'Interno. "Se avessi potuto scegliere, avrei fatto volentieri a meno della sua ospitalità".


«Ho visto la sua faccia ieri al telegiornale. Dipinta dei colori della rabbia. La sua voce ,poi, aveva il sapore amarissimo del fiele. Ha detto che per noi che siamo qui nella vostra terra è finita la pacchia. Ci ha accusati di vivere nel lusso, rubando il pane alla gente del suo paese. Ancora una volta ho provato i morsi atroci della paura…
Chi sono? Non le dirò il mio nome. I nomi, per lei, contano poco. Niente. Sono una di quelli che lei chiama con disprezzo “clandestini”.
Vengo da un paese, la Nigeria, dove ben pochi fanno la pacchia e sono tutti amici vostri. Lo dico subito. Non sono una vittima del terrorismo di Boko Haram. Nella mia regione, il Delta del Niger non sono arrivati. Sono una profuga economica, come dite voi, una di quelle persone che non hanno alcun diritto di venire in Italia e in Europa.
Lo conosce il Delta del Niger? Non credo. Eppure ogni volta che lei sale in macchina può farlo grazie a noi. Una parte della benzina che usa viene da lì.
Io vivevo alla periferia di Port Harkourt, la capitale dello Stato del Delta del Niger. Una delle capitali petrolifere del mondo. Vivevo con mia madre e i miei fratelli in una baracca e alla sera per avere un po’ di luce usavamo le candele. Noi come la grande maggioranza di chi vive lì.

È dura vivere dalle mie parti. Molto dura. Un inferno se sei una ragazza. Ed io ero una ragazza. Tutto è a pagamento. Tutto. Se non hai soldi non vai a scuola e non puoi curarti. Gli ospedali e le scuole pubbliche non funzionano. E persino lì, comunque, se vuoi far finta di studiare o di curarti, devi pagare. E come fai a pagare se di lavoro non ce ne è? La fame, la miseria, la disperazione e l’assenza di futuro, sono nostre compagne quotidiane.
La vedo già storcere il muso. È pronto a dire che non sono fatti suoi, vero?
Sono fatti suoi, invece.
Il mio paese, la regione in cui vivo, dovrebbe essere ricchissima visto che siamo tra i maggiori produttori di petrolio al mondo. E invece no. Quel petrolio arricchisce poche famiglie di politici corrotti, riempie le vostre banche del frutto delle loro ruberie, mantiene in vita le vostre economie e le vostre aziende.
Il mio paese è stato preda di più colpi di stato. Al potere sono sempre andati, caso strano, personaggi obbedienti ai voleri delle grandi compagnie petrolifere del suo mondo, anche del suo paese. Avete potuto, così, pagare un prezzo bassissimo per il tanto che portavate via. E quello che portavate via era la nostra vita.
Lo avete fatto con protervia e ferocia. La vostra civiltà e i vostri diritti umani hanno inquinato e distrutto la vita nel Delta del Niger e impiccato i nostri uomini migliori. Si ricorda Ken Saro Wiwa? Era un giovane poeta che chiedeva giustizia per noi. Lo avete fatto penzolare da una forca…
Le vostre aziende, in lotta tra loro, hanno alimentato la corruzione più estrema. Avete comprato ministri e funzionari pubblici pur di prendervi una fetta della nostra ricchezza.
L’Eni, l’Agip, quelle di certo le conosce. Sono accusate di aver versato cifre da paura in questo sporco gioco. Con quei soldi noi avremmo potuto avere scuole e ospedali. A casa, la sera, non avrei avuto bisogno di una candela…
Sarei rimasta lì, a casa mia, nella mia terra.
Avrei fatto a meno della pacchia di attraversare un deserto. Di essere derubata dai soldati di ogni frontiera e dai trafficanti. Di essere violentata tante volte durante il viaggio. Avrei volentieri fatto a meno delle prigioni libiche, delle notti passate in piedi perché non c’era posto per dormire, dell’acqua sporca e del pane secco che ti davano, degli stupri continui cui mi hanno costretta, delle urla strazianti di chi veniva torturato.
Avrei fatto a meno della vostra ospitalità. Nel suo paese tante ragazze come me hanno come solo destino la prostituzione. Lo sapete. E non fate niente contro la nostra schiavitù anzi la usate per placare la vostra bestialità. Io sono riuscita a sfuggire a questo orrore, ma sono stata schiava nei vostri campi. Ho raccolto i vostri pomodori, le vostre mele, i vostri aranci in cambio di pochi spiccioli e tante umiliazioni.
Ancora una volta, la pacchia l’avete fatta voi. Sulla nostra pelle. Sulle nostre vite. Sui nostri poveri sogni di una vita appena migliore.
Vedo che non ho mai pronunciato il suo nome. Me ne scuso, ma mi mette paura. Quella per l’ingiustizia di chi sa far la faccia dura contro i deboli, ma sa sorridere sempre ai potenti.
Vuole che torniamo a casa? Parli ai suoi potenti, a quelli degli altri paesi che occupano di fatto casa mia in una guerra velenosa e mai dichiarata. Se ha un po’ di dignità e di coraggio, la faccia brutta la faccia a loro». 
(Pubblicata da Famiglia Cristiana il 09/01/2019)