VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ FRANCESCO
A PANAMA IN OCCASIONE DELLA
XXXIV GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙ
A PANAMA IN OCCASIONE DELLA
XXXIV GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙ
23-28 GENNAIO 2019
Conferenza stampa di Papa Francesco con i giornalisti,
sul volo di ritorno da Panama
sul volo di ritorno da Panama
Il Pontefice esordisce salutando i giornalisti:
«Buona sera e poi buon riposo perché è sicuro che tutti sono stanchi, dopo questo viaggio così forte. Grazie del vostro lavoro. Ho vissuto cose che non immaginavo, sorprese, come questa ragazza 16enne dell’Honduras: vittima di bullismo, ha cantato con una voce bellissima una canzone che ha scritto lei».
«Buona sera e poi buon riposo perché è sicuro che tutti sono stanchi, dopo questo viaggio così forte. Grazie del vostro lavoro. Ho vissuto cose che non immaginavo, sorprese, come questa ragazza 16enne dell’Honduras: vittima di bullismo, ha cantato con una voce bellissima una canzone che ha scritto lei».
Ecco poi le domande dei giornalisti.
Lei ha parlato ai volontari della Gmg sul fatto che loro hanno vissuto una missione, e sanno come batte il cuore quando si vive una missione. Qual è stata la sua missione nella Gmg centroamericana?
«La mia missione in una Gmg è la missione di Pietro, che è confermare nella fede. E questo non si fa con comandi freddi e ordini, ma lasciandosi toccare il cuore e rispondendo quello che ti viene. Faccio fatica a pensare che qualcuno possa compiere una missione solo con la testa. Per adempiere una missione bisogna sentirla, e quando la senti ti colpisce: la vita… i pensieri…. Nell’aeroporto stavo salutando il presidente e mi hanno portato un bambino neretto simpatico. Mi hanno detto che questo ragazzo stava attraversando la frontiera della Colombia: la madre è morta e lui è rimasto da solo. Avrà circa 5 anni. Lui è dell’Africa, però non sanno di che Paese, perché non parla inglese né francese, ma solo la sua lingua tribale. È stato poi adottato. È il dramma di un ragazzo abbandonato dalla vita perché la mamma è morta lì, il poliziotto lo ha consegnato alle autorità perché se ne prendessero cura. Questo è come uno schiaffo e fa che la mia missione prenda colore. La missione mi coinvolge. Io dico ai giovani che quello che loro devono fare nella vita devono farlo usando i tre linguaggi: testa, cuore e mani. Fare quello che si sente, sentire quello che si pensa, pensare quello che si fa. Non so fare un bilancio della missione, con tutto questo vado alla preghiera e rimango là davanti al Signore, a volte mi addormento, ma gli affido la missione. Così è come io concepisco la missione del Papa e come io la vivo. Ci sono stati casi in cui sono state presentate delle difficoltà di tipo dogmatico, e a me non viene da rispondere solo con la ragione ma in un altro modo».
Le attese che aveva per i giorni panamensi sono state soddisfatte?
«Il termometro per capirlo è la stanchezza, e io sono distrutto».
Molte ragazze in Centroamerica restano incinte precocemente, i detrattori della Chiesa dicono che è responsabilità della stessa Chiesa perché si oppone all’educazione sessuale: qual è la sua opinione sull’educazione sessuale?
«Nelle scuole bisogna dare educazione sessuale, il sesso è un dono di Dio, non è un mostro, è un dono di Dio per amare. Che poi alcuni lo usino per guadagnare soldi o sfruttare è un altro problema. Ma bisogna dare un’educazione sessuale oggettiva, senza colonizzazione ideologica. Se inizi dando un’educazione sessuale piena di colonizzazione ideologica distruggi la persona. Ma il sesso come dono di Dio deve essere educato. Educare nel senso di far emergere il meglio dalla persona e accompagnarla lungo la strada. Il problema è il sistema: quali maestri si scelgono per questo compito e quali libri di testo. Ho visto qualche libro un po’ sporco. Ci sono cose che fanno maturare e cose che fanno danni. Non so se a Panama si sta lavorando per questo, non entro in politica. Ma bisogna che ci sia un’educazione sessuale. L’ideale è iniziare da casa, anche se non sempre è possibile perché nelle famiglie ci sono situazioni svariate. E quindi la scuola supplisce questo, perché altrimenti rimarrà un vuoto che poi verrà riempito da un’ideologia qualsiasi».
In questi giorni lei ha parlato con tanti ragazzi, sicuramente ha parlato anche con molti che si allontanano dalla Chiesa. Secondo lei, quali sono i motivi?
«Sono tanti i motivi! Alcuni sono personali. Tra quelli generali, il primo credo sia la mancanza di testimonianza dei cristiani, dei preti, dei vescovi, non dico dei Papi perché è troppo… (scherza e ride, ndr). La mancanza di testimonianza! Se un pastore fa l’imprenditore o l’organizzatore di un piano pastorale, o se un pastore non è vicino alla gente, questo pastore non dà testimonianza di pastore. Il pastore deve essere con la gente, pastore e gregge, diciamolo con questi termini. Il pastore deve essere davanti al gregge, per marcare il cammino, in mezzo al gregge, per sentire l’odore della gente, e capire cosa sente la gente, di quale cosa ha bisogno, e dietro al gregge per custodire. Ma se un pastore non vive con passione, la gente si sente abbandonata… o si sente orfana. Ho sottolineato i pastori, ma anche i cristiani, i cattolici ipocriti, no? Che vanno tutte le domeniche a messa e poi non pagano la tredicesima, pagano in nero, sfruttano la gente, poi vanno nei Caraibi a fare le vacanze, con lo sfruttamento della gente… “Ma io sono cattolico, vado tutte le domeniche a messa!”. Se tu fai questo dai una contro-testimonianza. E questo è a mio parere quello che più allontana la gente dalla Chiesa. Anche i laici. Ma io farei così: non dire che sei un cattolico, se non dai testimonianza. Dici “io sono di educazione cattolica ma sono tiepido, sono mondano, chiedo scusa, non guardate a me come modello”: questo si deve dire. Io ho paura dei cattolici così. Che si credono perfetti! Ma la storia si ripete, lo stesso Gesù coi dottori della legge, no? “Ti ringrazio Signore perché non sono come questo... povero peccatore...”. Questa è la mancanza di testimonianza».
Abbiamo visto per quattro giorni tanti giovani pregare con molta intensità. Fra loro c’è forse un certo numero che intende abbracciare la vita religiosa. Ma forse qualcuno sta esitando perché pensa che sia un cammino difficile perché non ci si può sposare. È possibile pensare che nella Chiesa cattolica lei permetterà a degli uomini sposati di diventare preti?
«Nel rito orientale della Chiesa cattolica possono farlo. Si fa l’opzione celibataria prima del diaconato. Nel rito latino mi viene in mente una frase di san Paolo VI: “Preferisco dare la vita prima di cambiare la legge del celibato”. È una frase coraggiosa. In un momento più difficile di questo, si era nel ’68-’70. Personalmente penso che il celibato sia un dono alla Chiesa. In secondo luogo, dico che non sono d’accordo di permettere il celibato opzionale, no. Soltanto rimarrebbe qualche possibilità nei posti lontanissimi, penso alle isole del Pacifico… quando c’è necessità pastorale il pastore deve pensare ai fedeli. C’è un libro di padre Lobinger, interessante – questa è una cosa in discussione fra i teologi, non c’è ancora una decisione mia – la mia decisione è: il celibato opzionale prima del diaconato no. È una cosa mia, personale, io non la farò. E questo rimane chiaro. È solo il mio pensiero personale. Sono chiuso, forse? Non sento di mettermi davanti a Dio con questa decisone. Padre Lobinger dice che la Chiesa fa l’eucarestia e l’eucarestia la fa la Chiesa. In tanti posti, dice Lobinger, chi fa l’eucarestia? Le guide di quelle comunità sono diaconi o suore o direttamente laici. E Lobinger dice: si può ordinare un anziano sposato, è la sua tesi, ma soltanto che esercita il munus sanctificandi, cioè che celebri la messa, che amministri il sacramento della riconciliazione e dia l’unzione. L’ordinazione sacerdotale dà i tre munera: regendi, docendi e il sanctificandi. Il vescovo gli dà soltanto la licenza del santcificandi. Il libro è interessante. E forse può aiutare a pensare il problema. Credo che il tema deve essere aperto in questo senso: dove c’è il problema pastorale per la mancanza di sacerdoti. Non dico che si debba fare, perché non ho riflettuto, non ho pregato a sufficienza su questo. Ma i teologi devono studiare. Padre Lobinger è un fidei donum del Sudafrica. È anziano già. Parlavo con un officiale della Segreteria di Stato, un vescovo, che ha dovuto lavorare in un Paese comunista all’inizio della rivoluzione. Erano gli anni Cinquanta. I vescovi ordinarono di nascosto dei contadini, bravi religiosi. Poi passata la crisi, trent’anni dopo, la cosa si è risolta. E mi diceva l’emozione che aveva avuto quando in una concelebrazione vedeva questi contadini che mettevano il camice per concelebrare. Nella storia della Chiesa questo è stato dato. È una cosa da studiare, da pensare e pregare».
Ma ci sono anche i preti protestanti sposati che diventano cattolici?
«È vero. Benedetto XVI aveva fatto l’Anglicanorum coetibus: sacerdoti anglicani diventati cattolici e che vivono come se fossero orientali. Ricordo in un’udienza del mercoledì di averne visti tanti con donne e bambini».
Nella Via Crucis di Panama ci sono state parole molto forti sull’aborto. La posizione radicale rispetta le donne?
«Il messaggio della misericordia è per tutti. Anche per la persona umana che è in gestazione. Dopo aver fatto questo fallimento c’è misericordia pure. Ma una misericordia difficile perché il problema non è dare il perdono, ma accompagnare una donna che ha preso coscienza di aver abortito. Sono drammi terribili. Una volta ho sentito un medico che parlava di una teoria secondo cui una cellula del feto appena concepito va al midollo della mamma e lì riceve una memoria anche fisica. Questa è una teoria, ma per dire, una donna quando pensa a quello che ha fatto... ti dico la verità, bisogna essere nel confessionale e tu devi lì dare consolazione. Per questo io ho aperto la potestà di assolvere l’aborto per misericordia, perché tante volte devono incontrarsi con il figlio. Io consiglio tante volte quando hanno questa angoscia: “Tuo figlio è in cielo, parla con lui. Cantagli la ninna nanna che non hai potuto cantargli”. E lì si trova una via di riconciliazione della mamma con il figlio. Con Dio c’è già il perdono, Dio perdona sempre. Ma la misericordia, che lei elabori questo. Il dramma dell’aborto, per capirlo bene, bisogna essere in un confessionale».
In questi giorni ha detto di sentirsi molto vicino ai venezuelani, e domenica ha chiesto «una soluzione giusta e pacifica, nel rispetto dei diritti umani». I venezuelani vogliono sapere cosa significa questo. Il riconoscimento di Juan Guaidò, nuove elezioni libere? La gente sente che lei è un Papa latinoamericano e vuole sentire il suo appoggio.
«Io appoggio tutto il popolo venezuelano, che sta soffrendo. Se mi mettessi a dire “date retta a questi Paesi o a quegli altri”, mi metterei in un ruolo che non conosco. Sarebbe una imprudenza pastorale da parte mia e farei danno. Le parole che ho detto le ho pensate e ripensate, ho espresso la mia vicinanza e quello che sento. Io soffro per tutto questo. Mettersi d’accordo, non ci si riesce? Una soluzione giusta e pacifica. Mi fa paura lo spargimento di sangue. E per questo chiedo di essere grandi a coloro che possono aiutare a risolvere il problema. Il problema della violenza mi atterrisce. Dopo tutto lo sforzo fatto in Colombia, quello che è accaduto nella scuola dei cadetti di polizia è spaventoso. Devo essere un pastore. E se hanno bisogno di aiuto, che si mettano d’accordo e lo chiedano».
Durante il suo pranzo con un gruppo di giovani pellegrini, una ragazza americana ci ha raccontato che le aveva chiesto sul dolore e sullo sdegno di tanti cattolici in particolare degli Stati Uniti per la crisi degli abusi. Tanti cattolici americani pregano per la Chiesa, ma molti si sentono traditi e abbattuti dopo le recenti notizie di abusi e insabbiamento da parte di alcuni vescovi e hanno perso fiducia in loro. Quali sono le sue aspettative e speranze per l’incontro a febbraio affinché la Chiesa possa ricominciare a ricostruire la fiducia tra i fedeli e i loro vescovi?
«Questo è furbo (scherza, ndr), è partito dalla Gmg ed è arrivato là. Complimenti. Grazie della domanda. L’idea è nata nel C9 perché lì noi vedevamo che alcuni vescovi non capivano bene o non sapevano cosa fare o facevano una cosa buona e un’altra sbagliata e abbiamo sentito la responsabilità di dare una “catechesi” su questo problema alle Conferenze episcopali. Per questo si chiamano i presidenti. Una catechesi che, primo: si prenda coscienza del dramma, cos’è un bambino abusato, una bambina abusata. Io ricevo con regolarità gente abusata. Ricordo uno di 40 anni che non poteva pregare. È terribile questo, la sofferenza è terribile. Primo: che prendano coscienza di questo. Secondo: che sappiano cosa si deve fare, la procedura, perché tante volte il vescovo non sa cosa fare. Si devono fare programmi generali, ma che arrivino a tutte le Conferenze episcopali. Cosa deve fare il vescovo, cosa deve fare l’arcivescovo che è il metropolita, cosa deve fare il presidente della Conferenza episcopale. Ma che sia chiaro in maniera che siano, diciamolo in termini un po’ giuridici, dei protocolli chiari. Questo è l’elemento principale. Ma prima bisogna fare quello che ho detto prima, prendere coscienza. Poi lì si farà preghiera, ci sarà qualche testimonianza per aiutare a prendere coscienza e poi qualche liturgia penitenziale per chiedere perdono per tutta la Chiesa. Stanno lavorando bene nella preparazione di questo. Io mi permetto di dire che ho percepito un po’ una aspettativa gonfiata. Bisogna sgonfiare le aspettative. Perché il problema degli abusi continuerà, è un problema umano, ma umano dappertutto. Ho letto una statistica l’altro giorno: il 50% è denunciato, il 20% è ascoltato, diminuisce. Finiva così: il 5% è condannato, terribile. È un dramma umano e dobbiamo prendere coscienza. Anche noi risolvendo il problema nella Chiesa, ma prendendo coscienza, aiuteremo a risolverlo nella società, nelle famiglie dove la vergogna fa coprire tutto. Ma prima dobbiamo prendere coscienza, avere i protocolli e andare avanti».
Lei durante questa Gmg ha detto che è assurdo e irresponsabile considerare i migranti come portatori di male sociale. In Italia le nuove politiche sui migranti hanno portato alla chiusura del Cara di Castelnuovo di Porto, che lei conosce bene. Era un’esperienza dove si vedevano semi di integrazione, i bambini andavano a scuola, e ora quelle persone rischiano uno sradicamento. Lei scelse di celebrare con loro il Giovedì Santo del 2016. Le vorrei chiedere che cosa prova rispetto alla decisione della chiusura del Cara di Castelnuovo di Porto?
«Ho sentito rumori di quello che passava in Italia ma ero immerso nella Gmg, così precisamente non conosco bene la cosa ma mi immagino... È vero che il problema dei migranti è un problema molto complesso, un problema per cui ci vuole memoria, domandarsi se la mia patria è stata fatta da migranti. Noi argentini tutti migranti, gli Stati Uniti tutti migranti. Un vescovo, un cardinale, non ricordo quale, ha scritto un articolo bellissimo: “Un problema di mancanza di memoria” si chiamava. Le parole che io uso… ricevere, il cuore aperto per ricevere, accogliere, accompagnare, far crescere e integrare. E anche dico: il governante deve usare la prudenza perché la prudenza è la virtù del governante. Questo l’ho detto nell’ultimo volo. È una equazione difficile. A me viene in mente l’esempio svedese che negli anni ’70 con le dittature dell’America Latina ha ricevuto tanti, tanti, ma tutti integrati. Anche vedo cosa fa Sant’Egidio per esempio: integra subito. Ma gli svedesi l’anno scorso hanno detto: fermatevi un po’ perché non possiamo finire il percorso; e questa è la prudenza del governante. È un problema di carità, di amore, di solidarietà e io ribadisco che le nazioni più generose nel ricevere - altre non sono riuscite a farlo tanto - sono state l’Italia e la Grecia, anche un po’ la Turchia. Quando io sono andato a Lampedusa, era l’inzio… Ma è vero che si deve pensare realisticamente. Poi c’è un’altra cosa importante, di cui tenere conto: un modo di risolvere il problema delle migrazioni è aiutare i Paesi da dove vengono migranti. I migranti o vengono per fame o vengono per guerra. Bisogna investire dove c’è la fame, e l’Europa è capace di farlo. Occorre aiutare a crescere. Ma sempre c’è, parlando dell’Africa, sempre c’è quell’immaginario collettivo che noi abbiamo nell’inconscio: l’Africa va sfruttata. Questo è storico e questo fa male. I migranti del Medio Oriente hanno trovato altre via d’uscita. Il Libano è una meraviglia di generosità: ha più di un milione di siriani. La Giordania è lo stesso, aperti, fanno quello che possono. E anche la Turchia ha ricevuto qualcuno e noi in Italia abbiamo ricevuto qualcuno. È un problema complesso, di cui si deve parlare senza pregiudizi».
Il Papa, alla fine della conferenza stampa, vuole aggiungere: come in Colombia, a Panama «ho visto che sollevavano i bambini, come a dire “questo è il mio orgoglio, la mia fortuna”. Nell’inverno demografico che stiamo vivendo in Europa - in Italia è sotto zero - qual è l’orgoglio? Il turismo, la villa, il cagnolino? O alzare un bambino? Pensiamoci».
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