VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ FRANCESCO
A PANAMA IN OCCASIONE DELLA
XXXIV GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙ
A PANAMA IN OCCASIONE DELLA
XXXIV GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙ
23-28 GENNAIO 2019
Sabato, 26 gennaio 2019
PANAMA
12:15 Pranzo con i giovani nel Seminario Maggiore San José
18:30 Veglia con i giovani nel Campo San Juan Pablo II – Metro Park
Il Santo Padre ha pranzato, in forma privata, al Seminario Maggiore San José con un gruppo di 10 giovani partecipanti alla Gmg, 5 maschi e 5 femmine, di diverse nazionalità in rappresentanza dei 5 continenti. Al pranzo, in un clima particolarmente familiare e festoso, ha preso parte anche l’arcivescovo di Panama, mons. José Domingo Ulloa Mendieta.
Durante il pranzo i giovani hanno posto domande al Papa, toccando con “serietà” “le difficoltà e le sfide” che incontrano nelle loro vite. Questioni forti come gli abusi nella Chiesa.
I ragazzi vengono dalla Spagna, dagli Stati Uniti, dal Burkina Faso, dall’Astraulia, dall’India. La sensazione è quella di stare a tavola con un padre o con un nonno.
Lo chef panamense Cuquita Arias ha creato un menù speciale, tenendo soprattutto conto dei suggerimenti della Santa Sede riguardo alla dieta del Santo Padre.Per dare il benvenuto ai commensali, un cesto con dei biscotti come biglietti, “empanadas” e “mini carimañolas” accolgono gli ospiti al tavolo.
Poi Papa Francesco ha assaggiato un'insalata di avocado e una zuppa di barbabietola ghiacciata. Nel menu c'è anche “la corbina”. La Corbina è un tipico pesce bianco, specialmente per i giamaicani che vivono a Panama City. Il piatto è servito con verdure biologiche di Boquete, una regione sul lato ovest della nazione; poi riso, cocco e banane.
Come dessert, Papa Francesco e i giovani hanno gustato del pan di spagna ricoperto di caffè e zucchero filato. “Tutti questi piatti hanno l'essenza e il sapore di Panama”, fa sapere il comitato organizzatore.
Dopo il pranzo, il Papa si è recato nella Cappella del Seminario dove si è raccolto in preghiera per alcuni minuti. Salutando i seminaristi, è rimasto a parlare con loro qualche minuto incoraggiandoli a servire sempre il Signore.
Il Seminario maggiore di San Josè è stato aperto il 1 maggio 1970, Festa di San Giuseppe Lavoratore. È un moderno edificio che accoglie seminaristi delle diverse diocesi e comunità religiose di Panamà e del Centroamerica, oggi è affidato alla guida del rettore Padre Santiago Benitez.
Sette dei ragazzi presenti al pranzo hanno raccontato ai giornalisti, presso la Sala Stampa allestita a Panama, le emozioni che hanno vissuto. C’è Brenda, dagli Stati Uniti, che ha parlato al Pontefice della difficile situazione della Chiesa negli States riguardo gli abusi sessuali: “Dobbiamo essere una Chiesa che accoglie, una chiesa pastorale, dobbiamo accogliere soprattutto le vittime”, ha detto Papa Francesco.
Poi una ragazza dalla Palestina racconta la sua sorprendente esperienza: “Il Papa mi ha detto che la Palestina è la patria di Gesù. Lui è l’angelo che in questo momento protegge la Chiesa”.
Infine una ragazza di Panama ha raccontato al Papa l’importanza della “Laudato Sì” per le popolazioni indigene: “Il Papa mi ha ribadito che dobbiamo prenderci cura delle nostre radici”.
Al Seminario il Papa ha donato un Ostensorio, realizzato in metallo dorato e argentato nell’ambito della moderna manifattura di oggetti artistici destinati alla liturgia.
Dopo il pranzo tutto è pronto per l’evento più atteso della GMG, la veglia con i giovani nel Campo San Juan Pablo II.
VEGLIA CON I GIOVANI
Campo San Juan Pablo II – Metro Park (Panama)
Sabato, 26 gennaio 2019
Sabato, 26 gennaio 2019
Un solo grande “sì”. Pronunciato da 600mila giovani stretti intorno al Papa. Il “sì” di Maria, “la donna che ha avuto la maggiore influenza nella storia”, la “influencer di Dio”, come dice Francesco. Un "sì" amplificato per il terzo millennio da coloro che nel Campo San Juan Pablo II Metro Park di Panama partecipano alla veglia della Gmg. Un sì suggellato da un'adorazione eucaristica finale, di rara intensità spirituale. E' il sì di Erika e Rogelio, che hanno accettato di diventare genitori di Ines e di amarla con tutto il cuore, nonostante fosse nata con handicap (anche papa Bergoglio la accarezza teneramente, quando i genitori gliela presentano). “Voi avete creduto che il mondo non è soltanto per i forti”, commenta il Pontefice. E' il sì di Alfredo, che è rimasto “senza scuola, senza occupazione e senza lavoro” e tuttavia ha avuto la forza di rialzarsi dal baratro della droga in cui era caduto. E' il sì di Nirmeen che nella Gmg di Cracovia, due anni e mezzo fa, ha incontrato una comunità viva che le ha permesso di vivere la gioia di essere incontrata da Gesù. E', in definitiva, il sì di chi vuole un futuro - parola chiave di questa Gmg - migliore per il mondo. E lo grida nel cielo scuro di Panama illuminato dalle tante fiammelle di questa Veglia.
Francesco, che nel pomeriggio ha incontrato in Nunziatura Apostolica i gesuiti di Panama e di altri Paesi del Centro America (l’incontro è durato circa un’ora, fa sapere la Sala Stampa vaticana), giunge al Campo Juan Pablo II intorno alle 18,15 (mezzanotte e un quarto in Italia). Scene di grande entusiasmo accompagnano l'arrivo della Papamobile nell'immenso accampamento, dove i giovani hanno atteso per ore sotto il sole. Ma caldo e fatica non li hanno affatto fiaccati, anzi in un certo senso hanno moltiplicato le loro forze, per un “benvenuto” corale ed estremamente caloroso.
Così il colpo d'occhio che si presenta a papa Bergoglio, al suo arrivo è stato a dir poco indimenticabile. Bandiere di tutti i Paesi, magliette con le scritte più fantasiose, tutte ispirate al Vangelo, foulard colorati agitati in segno di saluto. Sul palco a forma di vela, alle spalle del Papa una gigantografia di un Gesù sorridente a braccia aperte. E l'Inno della Gmg di Panama a fare da colonna sonora. Decine e decine di decibel scaricati nell'aria, a sottolineare anche coreografie che il Pontefice segue con visibile interesse. Il tutto però lascia poi posto al silenzio e all'ascolto quando il Papa attacca il suo discorso, solo di tanto in tanto interrotto dagli applausi. Oppure quando è egli stesso a invitare a ripetere certe frasi. Ad esempio: "Solo quello che si ama può essere salvato".
Papa Francesco parla ai giovani
DISCORSO DEL SANTO PADRE
Cari giovani, buonasera!
Abbiamo visto questo bello spettacolo sull’Albero della Vita che ci mostra come la vita che Gesù ci dona è una storia d’amore, una storia di vita che desidera mescolarsi con la nostra e mettere radici nella terra di ognuno. Quella vita non è una salvezza appesa “nella nuvola” in attesa di venire scaricata, né una nuova “applicazione” da scoprire o un esercizio mentale frutto di tecniche di crescita personale. Neppure la vita che Dio ci offre è un tutorial con cui apprendere l’ultima novità. La salvezza che Dio ci dona è un invito a far parte di una storia d’amore che si intreccia con le nostre storie; che vive e vuole nascere tra noi perché possiamo dare frutto lì dove siamo, come siamo e con chi siamo. Lì viene il Signore a piantare e a piantarsi; è Lui il primo nel dire “sì” alla nostra vita, Lui è sempre il primo. È il primo a dire “sì” alla nostra storia, e desidera che anche noi diciamo “sì” insieme a Lui. Lui sempre ci precede, è il primo.
E così sorprese Maria e la invitò a far parte di questa storia d’amore. Senza dubbio la giovane di Nazaret non compariva nelle “reti sociali” dell’epoca, lei non era una influencer, però senza volerlo né cercarlo è diventata la donna che ha avuto la maggiore influenza nella storia.
E le possiamo dire, con fiducia di figli: Maria, la “influencer” di Dio. Con poche parole ha avuto il coraggio di dire “sì” e confidare nell’amore, a confidare nelle promesse di Dio, che è l’unica forza capace di rinnovare, di fare nuove tutte le cose. E tutti noi, oggi, abbiamo qualcosa da rinnovare dentro. Oggi dobbiamo lasciare che Dio rinnovi qualcosa nel nostro cuore. Pensiamoci un po’: che cosa voglio che Dio rinnovi nel mio cuore?
Sempre impressiona la forza del “sì” Maria, giovane. La forza di quell’“avvenga per me” che disse all’angelo. È stata una cosa diversa da un’accettazione passiva o rassegnata. È stato qualcosa di diverso da un “sì” come a dire: “Bene, proviamo a vedere che succede”. Maria non conosceva questa espressione: vediamo cosa succede. Era decisa, ha capito di cosa si trattava e ha detto “sì”, senza giri di parole. È stato qualcosa di più, qualcosa di diverso. È stato il “sì” di chi vuole coinvolgersi e rischiare, di chi vuole scommettere tutto, senza altra garanzia che la certezza di sapere di essere portatrice di una promessa. E domando a ognuno di voi: vi sentite portatori di una promessa? Quale promessa porto nel cuore, da portare avanti? Maria, indubbiamente, avrebbe avuto una missione difficile, ma le difficoltà non erano un motivo per dire “no”. Certo che avrebbe avuto complicazioni, ma non sarebbero state le stesse complicazioni che si verificano quando la viltà ci paralizza per il fatto che non abbiamo tutto chiaro o assicurato in anticipo. Maria non ha comprato una assicurazione sulla vita! Maria si è messa in gioco, e per questo è forte, per questo è una influencer, è l’influencer di Dio! Il “sì” e il desiderio di servire sono stati più forti dei dubbi e delle difficoltà.
Questa sera ascoltiamo anche come il “sì” di Maria riecheggia e si moltiplica di generazione in generazione. Molti giovani sull’esempio di Maria rischiano e scommettono, guidati da una promessa. Grazie, Erika y Rogelio, per la testimonianza che ci avete donato. Sono stati coraggiosi questi due! Meritano un applauso. Grazie! Avete condiviso i vostri timori, le difficoltà, tutto il rischio vissuto prima della nascita di Ines. A un certo punto avete detto: “A noi genitori, per diverse ragioni, costa molto accettare l’arrivo di un bimbo con qualche malattia o disabilità”, questo è sicuro, è comprensibile. Ma la cosa sorprendente è stata quando avete aggiunto: “Quando è nata nostra figlia abbiamo deciso di amarla con tutto il nostro cuore”. Prima del suo arrivo, di fronte a tutte le notizie e le difficoltà che si presentavano, avete preso una decisione e avete detto come Maria “avvenga per noi”, avete deciso di amarla. Davanti alla vita di vostra figlia fragile, indifesa e bisognosa la vostra risposta, di Erika e Rogelio, è stata: “sì”, e così abbiamo Ines. Voi avete avuto il coraggio di credere che il mondo non è soltanto per i forti! Grazie!
Dire “sì” al Signore significa avere il coraggio di abbracciare la vita come viene, con tutta la sua fragilità e piccolezza e molte volte persino con tutte le sue contraddizioni e mancanze di senso, con lo stesso amore con cui ci hanno parlato Erika e Rogelio. Prendere la vita come viene. Significa abbracciare la nostra patria, le nostre famiglie, i nostri amici così come sono, anche con le loro fragilità e piccolezze. Abbracciare la vita si manifesta anche quando diamo il benvenuto a tutto ciò che non è perfetto, a tutto quello che non è puro né distillato, ma non per questo è meno degno di amore. Forse che qualcuno per il fatto di essere disabile o fragile non è degno d’amore? Vi domando: un disabile, una persona disabile, una persona fragile, è degna di amore? [rispondono: sì!] Non si sente bene… [più forte: sì!] Avete capito. Un’altra domanda, vediamo come rispondete. Qualcuno, per il fatto di essere straniero, di avere sbagliato, di essere malato o in una prigione, è degno di amore? [rispondono: sì!] Così ha fatto Gesù: ha abbracciato il lebbroso, il cieco e il paralitico, ha abbracciato il fariseo e il peccatore. Ha abbracciato il ladro sulla croce e ha abbracciato e perdonato persino quelli che lo stavano mettendo in croce.
Perché? Perché solo quello che si ama può essere salvato. Tu non puoi salvare una persona, non puoi salvare una situazione, se non la ami. Solo quello che si ama può essere salvato. Lo ripetiamo? [insieme] Solo quello che si ama può essere salvato. Un’altra volta! [i giovani: “Solo quello che si ama può essere salvato”]. Non dimenticatelo. Per questo noi siamo salvati da Gesù: perché ci ama e non può farne a meno. Possiamo fargli qualunque cosa, ma Lui ci ama, e ci salva. Perché solo quello che si ama può essere salvato. Solo quello che si abbraccia può essere trasformato. L’amore del Signore è più grande di tutte le nostre contraddizioni, di tutte le nostre fragilità e di tutte le nostre meschinità. Ma è precisamente attraverso le nostre contraddizioni, fragilità e meschinità che Lui vuole scrivere questa storia d’amore. Ha abbracciato il figlio prodigo, ha abbracciato Pietro dopo i suoi rinnegamenti e ci abbraccia sempre, sempre, sempre dopo le nostre cadute aiutandoci ad alzarci e a rimetterci in piedi. Perché la vera caduta – attenzione a questo – la vera caduta, quella che può rovinarci la vita, è rimanere a terra e non lasciarsi aiutare. C’è un canto alpino molto bello, che cantano mentre salgono sulla montagna: “Nell’arte dell’ascesa, la vittoria non sta nel non cadere, ma nel non rimanere caduto”. Non rimanere caduto! Dare la mano, perché ti facciano alzare. Non rimanere caduto.
Il primo passo consiste nel non aver paura di ricevere la vita come viene, non avere paura di abbracciare la vita così com’è. Questo è l’albero della vita che abbiamo visto oggi [durante la Veglia].
Grazie, Alfredo, per la tua testimonianza e il coraggio di condividerla con tutti noi. Mi ha molto colpito quando hai detto: “Ho iniziato a lavorare nell’edilizia fino a quando terminò quel progetto. Senza impiego le cose presero un altro colore: senza scuola, senza occupazione e senza lavoro”. Lo riassumo nei quattro “senza” per cui la nostra vita resta senza radici e si secca: senza lavoro, senza istruzione, senza comunità, senza famiglia. Ovvero una vita senza radici. Senza lavoro, senza istruzione, senza comunità e senza famiglia. Questi quattro “senza” uccidono.
È impossibile che uno cresca se non ha radici forti che aiutino a stare bene in piedi e attaccato alla terra. È facile disperdersi quando non si ha dove attaccarsi, dove fissarsi. Questa è una domanda che noi adulti siamo tenuti a farci, noi adulti che siamo qui, anzi, è una domanda che voi dovrete farci, voi giovani dovrete fare a noi adulti, e noi avremo il dovere di rispondervi: quali radici vi stiamo dando?, quali basi per costruirvi come persone vi stiamo offrendo? E’ una domanda per noi adulti. Com’è facile criticare i giovani e passare il tempo mormorando, se li priviamo di opportunità lavorative, educative e comunitarie a cui aggrapparsi e sognare il futuro! Senza istruzione è difficile sognare un futuro; senza lavoro è molto difficile sognare il futuro; senza famiglia e senza comunità è quasi impossibile sognare il futuro. Perché sognare il futuro significa imparare a rispondere non solo perché vivo, ma per chi vivo, per chi vale la pena di spendere la mia vita. E questo dobbiamo favorirlo noi adulti, dandovi lavoro, istruzione, comunità, opportunità.
Come ci diceva Alfredo, quando uno si sgancia e rimane senza lavoro, senza istruzione, senza comunità e senza famiglia, alla fine della giornata ci si sente vuoti e si finisce per colmare quel vuoto con qualunque cosa, con qualunque bruttura. Perché ormai non sappiamo per chi vivere, lottare e amare. Agli adulti che sono qui, e a quelli che ci stanno vedendo, domando: che cosa fai tu per generare futuro, voglia di futuro nei giovani di oggi? Sei capace di lottare perché abbiano istruzione, perché abbiano lavoro, perché abbiano famiglia, perché abbiano comunità? Ognuno di noi grandi, risponda nel proprio cuore.
Ricordo che una volta, parlando con alcuni giovani, uno mi ha chiesto: “Perché oggi tanti giovani non si domandano se Dio esiste o fanno fatica a credere in Lui ed evitano di impegnarsi nella vita?”. E io ho risposto: “E voi, cosa ne pensate?”. Tra le risposte che sono venute fuori nella conversazione mi ricordo di una che mi ha toccato il cuore ed è legata all’esperienza che Alfredo ha condiviso: “Padre, è che molti di loro sentono che, a poco a poco, per gli altri hanno smesso di esistere, si sentono molte volte invisibili”. Molti giovani sentono che hanno smesso di esistere per gli altri, per la famiglia, per la società, per la comunità…, e allora, molte volte si sentono invisibili. È la cultura dell’abbandono e della mancanza di considerazione. Non dico tutti, ma molti sentono di non avere tanto o nulla da dare perché non hanno spazi reali a partire dai quali sentirsi interpellati. Come penseranno che Dio esiste se loro stessi, questi giovani da tempo hanno smesso di esistere per i loro fratelli e per la società? Così li stiamo spingendo a non guardare al futuro, e a cadere in preda di qualsiasi droga, di qualsiasi cosa che li distrugge. Possiamo chiederci: cosa faccio io con i giovani che vedo? Li critico, o non mi interessano? Li aiuto, o non mi interessano? E’ vero che per me hanno smesso di esistere da tempo?
Lo sappiamo bene, non basta stare tutto il giorno connessi per sentirsi riconosciuti e amati. Sentirsi considerato e invitato a qualcosa è più grande che stare “nella rete”. Significa trovare spazi in cui con le vostre mani, con il vostro cuore e con la vostra testa potete sentirvi parte di una comunità più grande che ha bisogno di voi e di cui anche voi, giovani, avete bisogno.
E questo i santi l’hanno capito bene. Penso per esempio a Don Bosco [i giovani applaudono] che non se ne andò a cercare i giovani in qualche posto lontano o speciale – si vede che qui ci sono quelli che vogliono bene a Don Bosco!, un applauso! Don Bosco non è andato a cercare i giovani in qualche posto lontano o speciale; semplicemente imparò a guardare, a vedere tutto quello che accadeva attorno nella città e a guardarlo con gli occhi di Dio e, così, fu colpito da centinaia di bambini e di giovani abbandonati senza scuola, senza lavoro e senza la mano amica di una comunità. Molta gente viveva in quella stessa città, e molti criticavano quei giovani, però non sapevano guardarli con gli occhi di Dio. I giovani bisogna guardarli con gli occhi di Dio. Lui lo fece, Don Bosco, seppe fare il primo passo: abbracciare la vita come si presenta; e, a partire da lì, non ebbe paura di fare il secondo passo: creare con loro una comunità, una famiglia in cui con lavoro e studio si sentissero amati. Dare loro radici a cui aggrapparsi per poter arrivare al cielo. Per poter essere qualcuno nella società. Dare loro radici a cui aggrapparsi per non essere abbattuti dal primo vento che viene. Questo ha fatto Don Bosco, questo hanno fatto i santi, questo fanno le comunità che sanno guardare i giovani con gli occhi di Dio. Ve la sentite, voi grandi, di guardare i giovani con gli occhi di Dio?
Penso a tanti luoghi della nostra America Latina che promuovono quello che chiamano famiglia grande casa di Cristo che, col medesimo spirito di altri centri, cercano di accogliere la vita come viene nella sua totalità e complessità, perché sanno che «per l’albero c’è [sempre] speranza: se viene tagliato, ancora si rinnova, e i suoi germogli non cessano di crescere» (Gb 14,7).
E sempre si può “rinnovarsi e germogliare”, sempre si può cominciare di nuovo quando c’è una comunità, il calore di una casa dove mettere radici, che offre la fiducia necessaria e prepara il cuore a scoprire un nuovo orizzonte: orizzonte di figlio amato, cercato, trovato e donato per una missione. Il Signore si fa presente per mezzo di volti concreti. Dire “sì” come Maria a questa storia d’amore è dire “sì” ad essere strumenti per costruire, nei nostri quartieri, comunità ecclesiali capaci di percorrere le strade della città, di abbracciare e tessere nuove relazioni. Essere un “influencer” nel secolo XXI significa essere custodi delle radici, custodi di tutto ciò che impedisce che la nostra vita diventi “gassosa”, che la nostra vita evapori nel nulla. Voi adulti, siate custodi di tutto ciò che ci permette di sentirci parte gli uni degli altri, custodi di tutto ciò che ci fa sentire che apparteniamo gli uni agli altri.
Così l’ha vissuto Nirmeen nella GMG di Cracovia. Ha incontrato una comunità viva, gioiosa, che le è andata incontro, le ha dato un senso di appartenenza, e dunque di identità, e le ha permesso di vivere la gioia che comunica l’essere incontrata da Gesù. Nirmeen evitava Gesù, lo evitava, teneva le distanze, finché qualcuno le ha fatto mettere radici, le ha dato un’appartenenza, e quella comunità le ha dato il coraggio di incominciare questo cammino che lei ci ha raccontato.
Un santo – latinoamericano – una volta si domandò: «Il progresso della società, sarà solo per arrivare a possedere l’ultimo modello di automobile o acquistare l’ultima tecnologia sul mercato? In questo consiste tutta la grandezza dell’uomo? Non c’è niente di più che vivere per questo?» (S. Alberto Hurtado, Meditación de Semana Santa para jóvenes, 1946). Io vi domando, ai voi giovani: voi volete questa grandezza? O no? [“No!”] Siete incerti… Qui non si sente bene, che succede?… [“No!”] La grandezza non è soltanto possedere la macchina ultimo modello, o comprare l’ultima tecnologia sul mercato. Voi siete stati creati per qualcosa di più grande! Maria l’ha capito e ha detto: “Avvenga per me!”. Erika e Rogelio l’hanno capito e hanno detto: “Avvenga per noi!”. Alfredo l’ha capito e ha detto: “Avvenga per me!”. Nirmeen l’ha capito e ha detto: “Avvenga per me!”. Li abbiamo ascoltati qui. Amici, vi domando: Siete disposti a dire “sì”? [“Sì!”] Adesso rispondete, così mi piace di più! Il Vangelo ci insegna che il mondo non sarà migliore perché ci saranno meno persone malate, meno persone deboli, meno persone fragili o anziane di cui occuparsi, e neppure perché ci saranno meno peccatori, no, non sarà migliore per questo. Il mondo sarà migliore quando saranno di più le persone che, come questi amici che ci hanno parlato, sono disposte e hanno il coraggio di portare in grembo il domani e credere nella forza trasformatrice dell’amore di Dio. A voi giovani chiedo: volete essere “influencer” nello stile di Maria [“Sì!”] Lei ha avuto il coraggio di dire “avvenga per me”. Solo l’amore ci rende più umani, non i litigi, non lo studio soltanto: solo l’amore ci rende più umani, più pieni, tutto il resto sono buoni ma vuoti placebo.
Fra poco ci incontreremo con Gesù, Gesù vivo nell’eucaristia . Di certo avrete molte cose da dirgli, molte cose da raccontargli su varie situazioni della vostra vita, delle vostre famiglie e dei vostri paesi.
Stando di fronte a Gesù, faccia a faccia, abbiate il coraggio, non abbiate paura di aprirgli il cuore, perché Lui rinnovi il fuoco del Suo amore, perché vi spinga ad abbracciare la vita con tutta la sua fragilità, con tutta la sua piccolezza, ma anche con tutta la sua grandezza e bellezza. Che Gesù vi aiuti a scoprire la bellezza di essere vivi e svegli. Vivi e svegli.
Non abbiate paura di dire a Gesù che anche voi desiderate partecipare alla sua storia d’amore nel mondo, che siete fatti per un “di più”!
Amici, vi chiedo anche che, in questo faccia a faccia con Gesù, siate buoni e preghiate per me, perché anch’io non abbia paura di abbracciare la vita, perché sia capace di custodire le radici, e dica come Maria: “Avvenga per me secondo la tua parola!”.
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