ma perché è un diritto dell'umanità
di Domenico Quirico
La brava gente, quella che si commuove, che prova la compassione depurata di ogni secondo fine, che rifiuta di umiliare e di lasciarsi umiliare, che dice «sì, è fatica e pena, non è facile, eppure così bisogna fare e così faremo», ieri, a cercarla, la trovavi sul molo di Valencia Spagna Europa Occidente.
La brava gente… quello che noi italiani eravamo.
Perché c’è ancora, c’è sempre la brava gente, ferma su quel filo, aggrappata a quel filo che più forte di un cavo di acciaio, afferrata con le mani e con i denti a quel filo che è volontà di guardare a occhi aperti la sciagura dell’Altro, di resistere, di credere, di piangere con lui, di amare il suo dolore. Che è anche, sempre, un poco o tanto, il tuo. Ce lo siam portati dietro per secoli, noi, questa definizione «brava gente»; ed era la medaglia più grande, le parole da scriver sulla bandiera. Infatti qualcuno, gli arroganti, i decisionisti, i mascelluti, che anche quelli ci son sempre e qualche volta sembrano maggioranza, lo bestemmiava come il marchio della debolezza nazionale: italiani brava gente! E inveiva a seppellirla, la nomea di «zerbini», sotto cumuli di violenze e di soperchierie.
Non so: forse le nazioni e i popoli non hanno anima. Ma se c’è, quella era la nostra anima di popolo provato dalla Storia e che sapeva da quel dolore suo capire e compatire.
Adesso altri se lo calano addosso, con orgoglio, un marchio di dignità e di appartenenza, la grande Lega universale della pietà, senza spadoni twitter e bugie. Sì. I migranti ci hanno rivoltati come un guanto, hanno imposto con la loro sola presenza l’obbligatorietà di una domanda: chi siamo? Cosa vogliamo essere? Ci hanno tolto i veli della ipocrisia, della retorica, ci hanno obbligato a dividerci fisicamente: di qua o di là, non c’è remissione. Finalmente!
Gli xenofobi, quelli che hanno immancabilmente paura di qualcosa, vivono assediati da qualche pericolo, i negri i gialli i giudei i maomettani i capitalisti i boches la perfida albione… sono una razza, da Drumont in avanti, sempre e soltanto uguale. Esiste un universo del rifiuto, fermo, cristallizzato come una specie per cui la fase della evoluzione si è chiusa.
Ebbene di fronte a loro il manicheismo è permesso, obbligatorio.
Possono camuffarsi con ragionamenti economici, affidarsi al cavillo leguleio, ma in fondo sono sempre quello, un mondo soggettivamente insensibile, nessun margine di fluidità, tremendamente, nello stesso tempo, forte e debole, prigioniero della propria natura. Sono chiusi, per loro i giochi sono eternamente fatti. Di fronte a tutto questo bisogna a un certo punto esimersi dallo sforzo di interpretare, capire, modificare. Si può solo, risolutamente, passare dall’altra parte.
La Migrazione li ha fatti emergere, con strepiti e urla. Loro di là. E di qua gli altri, quelli che aspettavano la nave «Acquarius» con i suoi naufraghi e le altre caravelle delle «crociere» disperate che verranno. Non per inveire, ma per aiutare e servire. E quelli che lavorano nelle organizzazioni umanitarie: per la mia generazione era un sogno e un dovere, oggi sembra un reato da codice e manette. Quelli che credono, obbligatoriamente, nell’unico diritto che non è sminuzzabile in codicilli, che non si può diluire con l’acqua degli azzeccagarbugli: il diritto dell’uomo astratto, di sopravvivere, di fuggire, di essere libero. L’espressione spaziale di questa tensione morale è il desiderio di scavalcare frontiere come se non ci fossero.
La brava gente è quella che sente ogni violazione del diritto universale come un pezzo della propria condizione di uomo che salta via come una scheggia. Non i buoni o i buonisti, i debolucci, i professionisti del piagnisteo. No, gente dura, implacabile, determinata che sa che la sofferenza altrui mi coinvolge e mi condanna, che non ho il diritto di voltargli le spalle. Ieri erano sul molo di Valencia: purtroppo non a Lampedusa o a Catania. Non perché non esistano anche qui. Perché l’hanno vietato.
La brava gente… quello che noi italiani eravamo.
Perché c’è ancora, c’è sempre la brava gente, ferma su quel filo, aggrappata a quel filo che più forte di un cavo di acciaio, afferrata con le mani e con i denti a quel filo che è volontà di guardare a occhi aperti la sciagura dell’Altro, di resistere, di credere, di piangere con lui, di amare il suo dolore. Che è anche, sempre, un poco o tanto, il tuo. Ce lo siam portati dietro per secoli, noi, questa definizione «brava gente»; ed era la medaglia più grande, le parole da scriver sulla bandiera. Infatti qualcuno, gli arroganti, i decisionisti, i mascelluti, che anche quelli ci son sempre e qualche volta sembrano maggioranza, lo bestemmiava come il marchio della debolezza nazionale: italiani brava gente! E inveiva a seppellirla, la nomea di «zerbini», sotto cumuli di violenze e di soperchierie.
Non so: forse le nazioni e i popoli non hanno anima. Ma se c’è, quella era la nostra anima di popolo provato dalla Storia e che sapeva da quel dolore suo capire e compatire.
Adesso altri se lo calano addosso, con orgoglio, un marchio di dignità e di appartenenza, la grande Lega universale della pietà, senza spadoni twitter e bugie. Sì. I migranti ci hanno rivoltati come un guanto, hanno imposto con la loro sola presenza l’obbligatorietà di una domanda: chi siamo? Cosa vogliamo essere? Ci hanno tolto i veli della ipocrisia, della retorica, ci hanno obbligato a dividerci fisicamente: di qua o di là, non c’è remissione. Finalmente!
Gli xenofobi, quelli che hanno immancabilmente paura di qualcosa, vivono assediati da qualche pericolo, i negri i gialli i giudei i maomettani i capitalisti i boches la perfida albione… sono una razza, da Drumont in avanti, sempre e soltanto uguale. Esiste un universo del rifiuto, fermo, cristallizzato come una specie per cui la fase della evoluzione si è chiusa.
Ebbene di fronte a loro il manicheismo è permesso, obbligatorio.
Possono camuffarsi con ragionamenti economici, affidarsi al cavillo leguleio, ma in fondo sono sempre quello, un mondo soggettivamente insensibile, nessun margine di fluidità, tremendamente, nello stesso tempo, forte e debole, prigioniero della propria natura. Sono chiusi, per loro i giochi sono eternamente fatti. Di fronte a tutto questo bisogna a un certo punto esimersi dallo sforzo di interpretare, capire, modificare. Si può solo, risolutamente, passare dall’altra parte.
La Migrazione li ha fatti emergere, con strepiti e urla. Loro di là. E di qua gli altri, quelli che aspettavano la nave «Acquarius» con i suoi naufraghi e le altre caravelle delle «crociere» disperate che verranno. Non per inveire, ma per aiutare e servire. E quelli che lavorano nelle organizzazioni umanitarie: per la mia generazione era un sogno e un dovere, oggi sembra un reato da codice e manette. Quelli che credono, obbligatoriamente, nell’unico diritto che non è sminuzzabile in codicilli, che non si può diluire con l’acqua degli azzeccagarbugli: il diritto dell’uomo astratto, di sopravvivere, di fuggire, di essere libero. L’espressione spaziale di questa tensione morale è il desiderio di scavalcare frontiere come se non ci fossero.
La brava gente è quella che sente ogni violazione del diritto universale come un pezzo della propria condizione di uomo che salta via come una scheggia. Non i buoni o i buonisti, i debolucci, i professionisti del piagnisteo. No, gente dura, implacabile, determinata che sa che la sofferenza altrui mi coinvolge e mi condanna, che non ho il diritto di voltargli le spalle. Ieri erano sul molo di Valencia: purtroppo non a Lampedusa o a Catania. Non perché non esistano anche qui. Perché l’hanno vietato.
(fonte: “La Stampa” del 18 giugno 2018)
Il giornalista de La Stampa Domenico Quirico interviene a Sky Tg24 sulla questione della nave Aquarius
Guarda il video: “Voglio accogliere i migranti non per buonismo, ma perchè è un diritto dell’umanità”