"Parrocchia 2.0"
di Mons.Erio Castellucci,
Arcivescovo di Modena-Nonantola
«Un anno solo non basta per riflettere sulla parrocchia»: così, sabato 9 giugno 2018, al Centro Famiglia di Nazareth, Mons.Erio Castellucci, nelle conclusioni della Tre Giorni diocesana Parrocchia 2.0, ha sottolineato che la riflessione proseguirà, ispirata dallo stile di annuncio e dialogo enunciato dalla Gaudium et Spes. «Nell’anno che si sta concludendo, abbiamo puntato i riflettori sull’identità della comunità parrocchiale, concentrandoci sulla Parola di Dio, i Sacramenti, la fraternità – ha spiegato Castellucci – Abbiamo anche lasciato emergere le malattie che affliggono le parrocchie e pensato a una pastorale più dinamica». A tal fine, è necessario interrogarsi su cosa significhi «essere parrocchia oggi, inseriti in questo mondo», con la consapevolezza che «le parrocchie stanno già facendo molto, spesso più di altri e alcune volte al di sopra delle loro possibilità». I quattro orizzonti di Parrocchia 2.0 – migrazioni, fragilità, sport e oratori, lavoro – sono altrettante sfide da raccogliere. «Noi intendiamo farlo, per verificare l’impatto che hanno sull’identità delle nostre comunità parrocchiali», ha detto il Vescovo, ripercorrendo le conclusioni dei lavori di gruppo di giovedì sera e ringraziando in particolare il vicario generale don Giuliano Gazzetti, il vicario per la pastorale don Federico Pigoni, il sacerdote e teologo barese don Antonio Ruccia – intervenuto mercoledì all’apertura della Tre Giorni – i biblisti don Claudio Arletti e don Giacomo Violi, oltre a coloro che hanno introdotto e moderato i gruppi.
Ecco l'intervento
1. Dall’uomo di Neanderthal all’alter ego virtuale
... Internet nasce alla fine del II millennio ed esplode dall’inizio del III. Nell’ultimo quarto di
secolo i dati raccolti nella rete sono pari a miliardi di volte quelli raccolti nell’intera storia umana
precedente. E il progresso della comunicazione via web è inarrestabile. ...
Pensiamo alla vita pastorale delle nostre comunità parrocchiali, che sono luoghi di comunicazione della fede. La storia della salvezza è comunicazione – il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, il Dio di Gesù Cristo non è muto ma parla – e la Chiesa è una grande esperienza di comunicazione con il Signore e tra i fratelli: non solo la comunicazione verbale e scritta della parola di Dio, ma anche la comunicazione dei sacramenti e della fraternità, dove si intrecciano parole, gesti, riti, canti, simboli. Dunque le nostre parrocchie sono per loro stessa natura luoghi di comunicazione intensa e profonda.
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MIGRANTI
La diversità a volte spaventa a volte arricchisce: dipende non solo dal comportamento dell’altro, ma dalla mia pre-comprensione e dall’atteggiamento con cui mi rapporto a lui.
Purtroppo nella nostra attuale cultura italiana circolano sull’argomento molte fake news, talvolta alimentate ad arte, che tendono a trascurare non solo i dati reali ma anche e soprattutto l’opportunità dell’incontro. A partire dal vocabolario, che spesso identifica sommariamente stranieri, extracomunitari, immigrati, profughi, richiedenti asilo, sfollati e clandestini; per non dire poi dell’identificazione tra musulmani, fondamentalisti e terroristi. Ma sono discorsi già affrontati tante volte, anche nelle comunità cristiane che purtroppo si dividono su questi aspetti. Mi ha colpito il dato offerto dal vescovo Perego: se in Italia 6 persone su 10 si schierano contro i migranti, nei nostri consigli pastorali sono 7 su 10. Senza chiudere gli occhi davanti alle difficoltà, ai problemi reali e ai pregiudizi, credo che occorrerà perseguire alcuni obiettivi per essere sempre di più parrocchia 2.0 e rendere credibili l’annuncio, l’eucaristia e la fraternità. Per passare da un atteggiamento emergenziale (“prima accoglienza”) ad uno strutturale (“seconda” e “terza” accoglienza), dovremo:
- farci portatori e divulgatori di dati reali, non gonfiati, attraverso una corretta informazione: andare contro la corrente del pregiudizio e dell’approssimazione, anche rischiando l’impopolarità. Non possiamo, specialmente in questo campo, spegnere la profezia, anche e soprattutto quando i cristiani stessi rischiano di seppellirla sotto la cenere di un pigro adeguamento ai pregiudizi diffusi.
- Farsi soprattutto divulgatori di “fatti buoni” …
… forse basterebbe cominciare dall’accoglienza dell’invito che papa Francesco lanciò nel settembre del 2015: ogni parrocchia accolga una famiglia;
c) formare nelle nostre comunità una mentalità integralmente “missionaria”:
la missione cristiana passa prima di tutto attraverso l’accoglienza-fraternità-carità, che resta il linguaggio cristiano di base e senza il quale non c’è annuncio credibile; su questa base si può innestare l’annuncio esplicito di Cristo, nella convinzione che il Vangelo porta a pienezza l’umano.
la missione cristiana passa prima di tutto attraverso l’accoglienza-fraternità-carità, che resta il linguaggio cristiano di base e senza il quale non c’è annuncio credibile; su questa base si può innestare l’annuncio esplicito di Cristo, nella convinzione che il Vangelo porta a pienezza l’umano.
Entrambi gli aspetti fanno parte della missione cristiana: noi ammiriamo giustamente i missionari “ad gentes”, ma quando le “gentes” vengono da noi, non siamo sempre in grado di essere missionari.
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Fragilità.
In questo ambito, che comprende di per sé innumerevoli situazioni – tutti del resto siamo fragili e in alcuni momenti della vita ciò emerge con maggiore forza – abbiamo inteso considerare in modo specifico quelle condizioni che hanno mosso l’iniziativa del “ministero della consolazione”. Lo spunto iniziale è venuto da un passo dell’enciclica Spe Salvi di Benedetto XVI: «Accettare l'altro che soffre significa assumere in qualche modo la sua sofferenza, cosicché essa diventa anche mia. Ma proprio perché ora è divenuta sofferenza condivisa, nella quale c'è la presenza di un altro, questa sofferenza è penetrata dalla luce dell'amore. La parola latina con-solatio, consolazione, lo esprime in maniera molto bella suggerendo un essere-con nella solitudine, che allora non è più solitudine» (n. 38) A partire dalla diocesi di Taranto, il ministero della consolazione si è già diffuso in una decina di Chiese locali. Nel frattempo anche l’introduzione all’edizione italiana del nuovo Rito delle esequie (2011) faceva riferimento ad una “ministerialità differenziata” con la quale una comunità cristiana può rendersi prossima a chi attraversa un grave lutto (cf. n. 5).
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Le nostre parrocchie hanno le risorse per lasciarsi provocare da questi grandi orizzonti missionari; anzi, sono convinto che più si confronteranno in maniera aperta con i problemi del mondo, meno si chiuderanno nei loro problemi interni: più usciranno dal recinto e più scopriranno cosa significa essere parrocchia.
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