Don Luigi Ciotti visto da vicino
Andrà in onda in prima serata venerdì 8 giugno, su Rai 3, Così in terra, documentario diretto da Paolo Santolini su don Luigi Ciotti, e in particolare sulla sua incessante attività contro le mafie. Non poteva esserci titolo più indicato per racchiudere in poche parole la missione del prete di Pieve di Cadore. La sua volontà «di saldare la terra al cielo», secondo le sue stesse parole.
Esempio fra i più nitidi di come il Vangelo sia nato anche per vivere nel mondo, per calarsi nei problemi concreti degli uomini, don Ciotti si spende da sempre con grande dedizione, attraverso associazioni da lui stesso fondate, per gli emarginati della società o per riparare alle ingiustizie provocate dalla criminalità organizzata. Come nel caso delle migliaia di ex tossicodipendenti recuperati alla vita attraverso “Gruppo Abele” in oltre mezzo secolo di attività. O come la promozione dell’uso sociale dei beni confiscati ai boss mafiosi da parte di “Libera”, cui fanno oggi capo 1600 associazioni. Un imprinting più che eloquente alla sua attività a fianco degli ultimi, glielo diede il cardinale di Torino Michele Pellegrino, affidandogli come parrocchia la strada. E dalla strada, più precisamente da edifici in costruzione in cui trovano riparo decine di poveri, comincia non a caso il documentario di Santolini. Un paesaggio desolante che don Ciotti affida alla preghiera. Ma il momento di raccoglimento è fugace e solo introduttivo, perché «è Dio che fissa gli appuntamenti della vita», dice riferendosi all’aiuto che gli ultimi possono ricevere, «ma noi dobbiamo aiutarlo a fissare gli appuntamenti».
E allora, da qui in poi, la cinepresa sembrerà sempre all’inseguimento del protagonista, per restituircelo in fin dei conti come lo conosciamo: infaticabile, appassionato, a tratti sereno ma spesso irrequieto. Tanto nei convegni, vestito come tutti, quanto in chiesa con l’abito talare, a un passo dal crocifisso. E con un audio che intelligentemente la regia fa passare da un ambiente all’altro senza soluzione di continuità, cucendo i discorsi come fosse uno soltanto. Il loro significato — e il significato della missione di don Ciotti — è d’altronde proprio questo: il mondo deve entrare nella Chiesa e la Chiesa nel mondo.
Al di là di poche didascalie iniziali, il documentario si affida completamente alle immagini, facendo dunque a meno di un testo, ovvero di una voce narrante o di interviste. L’intenzione, andata a buon fine, era quella di sottolineare l’impegno stoico del protagonista, ma in fondo anche la sua solitudine. Non solo perché minacciato esplicitamente da Cosa Nostra e per questo costretto a girare sotto scorta, ma, più in generale, perché portatore di un verbo che non ovunque viene ben accolto. «Siate sovversivi» dice d’altronde ai giovani durante un sermone, riportando le parole di un suo amico vescovo, «perché il Vangelo non è omologabile alla mentalità corrente».
Sempre la regia, però, non manca di sottolineare anche un fondamentale parallelismo: la solitudine di don Ciotti è anche quella di chi ha visto morire i propri cari a causa della violenza e della sopraffazione. E i suoi occhi, spesso chiusi quando parla, sono gli stessi di chi, a tanti anni di distanza, ancora non sa chi sono i colpevoli di quei crimini, e vaga a tentoni alla ricerca di una verità che forse non arriverà mai.
Nonostante il suo carisma e la sua energia, infatti, il protagonista non monopolizza del tutto il lavoro di Santolini. Il film è infatti anche un viaggio nell’Italia dei dimenticati. Le cui tappe sono scandite dai luoghi in cui sono accaduti gravi fatti di cronaca criminale, o in cui riposano altri preti che hanno cercato di combattere la violenza, come don Tonino Bello e don Peppino Diana.
Luoghi e fatti di cui si cerca prima di tutto di perpetuare la memoria. Il piano civile e quello religioso dunque si fondono come raramente capita di vedere rappresentato o testimoniato sullo schermo. La regia non gioca poi soltanto con le analogie, ma anche con sottili e suggestivi contrasti. In più passaggi dei suoi discorsi, per esempio, don Ciotti ribadisce l’importanza di rimanere sobri e guardare alla sostanza di ciò che si fa. Lo sguardo della cinepresa, viceversa, si concentra molto anche sulla forma del personaggio, sui suoi atteggiamenti, i suoi gesti, le sue abitudini, i suoi refrain verbali. Come a voler sottolineare che forma e contenuto in lui ormai coincidono perché tutto il suo essere è immerso nella sua missione.
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