Nel salottino che fu di una prostituta e che oggi è il suo quartier generale, don Luigi Ciotti ci parla di sé e delle sue opere. Il tono della voce è cantilenante, come capita ai preti, ma gli argomenti sono decisi, a volte duri, capaci di scomporre l’idea comune su quest’uomo di chiesa di 69 anni che da 50 si batte per gli esclusi e ha fatto della legalità e della giustizia lo scopo di una vita. Ma, ci dice, non è più così. Quelle due parole su cui ha costruito una rete imponente di attività e associazioni in tutta Italia, sono state svuotate da chi ne ha abusato alla ricerca del consenso. Oggi bisogna trovarne altre. E mentre le espone, don Ciotti mostra un’energia, quasi un fuoco, che forse non è acceso soltanto dalla fede, come ci racconterà nel corso di questo lungo colloquio che ha accettato di rendere anche confidenziale.
Siamo all’ultimo piano di una palazzina del centro di Roma, confiscata anni fa al boss della camorra Michele Zaza che l’aveva adibita a bordello di lusso: su ogni piano, un salotto, un’alcova e un bagno. Oggi è la sede nazionale di Libera, con scrivanie e computer, volontari e dipendenti, telefoni che squillano, e un via vai di persone che ruota attorno a questo prete anomalo che è sempre piaciuto poco alle gerarchie vaticane.
E invece due mesi fa Papa Bergoglio l’ha preso per mano di fronte a centomila persone. Quasi una consacrazione...