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domenica 10 novembre 2013

Omelia di don Angelo Casati nella 32ª Domenica del Tempo Ordinario


Omelia di don Angelo Casati 

nella 32ª Domenica del Tempo Ordinario


Anno C - 10 novembre 2013



2 Mac 7,1-2.9-14 
Sal 16
2Ts 2,16-3,5 
Lc 20,27-38

La Bibbia - qualche volta lo si dimentica - conosce al suo interno un cammino, un cammino che conduce ad approfondimenti nella verità, a intuizioni ulteriori e successive: si va di svelamento in svelamento.
Anche la fede nell'immortalità e nella risurrezione si fa strada poco a poco, nel libro della Bibbia, e quello che oggi abbiamo letto, dal libro dei Maccabei, è forse uno dei testi più espliciti di questa fede.
E vorrei subito dire che, al contrario di quanto a volte si è pensato, la fede nella risurrezione non ci rende né pavidi né rassegnati, ma ci restituisce forza e coraggio indomiti. Il coraggio della resistenza, della resistenza al tiranno di turno, che vuol essere adorato nei suoi pensieri e nelle sue decisioni e che vede sempre con pericolo qualcuno che abbia una fede sincera, e non una fede di corte, perché la fede, quella vera in Dio, toglie ogni assolutezza del potere: tu non sei il mio assoluto, le tue leggi non sono per me un assoluto, perché il mio assoluto è Dio. E solo le sue leggi - non le tue - sono per me un assoluto.
E' la storia della madre dei Maccabei e dei suoi sette figli, storia oggi decurtata dalla lettura liturgica, storia che andrebbe letta nella sua totalità, storia di una fierezza che nasce dalla fede in Dio, da cui si attende l'adempimento della promessa.
Storia di una madre che univa tenerezza femminile a coraggio virile e che così esortava il suo ultimo figlio, il minore di tutti, dopo aver visto trucidare gli altri sei barbaramente: "Non temere questo carnefice, ma mostrandoti degno dei tuoi fratelli, accetta la morte perché io ti possa riavere insieme con i tuoi fratelli, nel giorno della misericordia" (2Mac 7, 29).
Da chi viene questa fede, che diventa fedeltà e fierezza, capacità di opposizione e di resistenza? Ce lo ricorda oggi Paolo nella lettera ai Tessalonicesi: "E' lo stesso nostro Signore Gesù Cristo, Dio Padre nostro che ci ha amati e ci ha dato per grazia una consolazione eterna e una buona speranza". Una consolazione eterna e una buona speranza. Ebbene "Il Signore conforti i vostri cuori e li confermi in ogni opera e parola di bene".

Nel Vangelo Gesù, come è solito fare quando lo si vuole imprigionare nelle controversie, che sempre sono operazioni di corto respiro, sfugge. Come se volesse sfuggire all'accerchiamento, come se volesse respirare aria aperta. E, come sempre, dilata l'orizzonte.
Dilata anche l'orizzonte della risurrezione finale, che non può essere impoverito nelle casistiche e nelle strettoie umane. Sarebbe impoverente trasferire modelli mondani, così come sono, nell'aldilà, quasi fosse la risurrezione niente più che una rianimazione di cadaveri. Dilatate la visione, sembra dire Gesù. Non si può pensare la risurrezione dentro le categorie di una semplice trasposizione o di una pallida ripetizione...

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