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lunedì 26 novembre 2012

Il problema delle vite parallele dei preti. Aiutiamoli a diventare e a restare uomini prima ancora che preti.

Lo dico con molta franchezza: a me non basta più il discorso sui tanti bravi e santi preti che il comportamento di alcuni va ad infangare 
È successo ancora. Ho aspettato qualche giorno a scrivere, perché proprio non ce la facevo. Ma è successo ancora. Ricordate la Preghiera per l'amico prete caduto nel fango, che ho scritto qualche mese fa? Beh, ho dovuto riprenderla in mano a lungo in questi giorni. Perché anche don Alberto Barin, il cappellano di San Vittore finito lui stesso in carcere con le accuse più infamanti, è un mio amico. Non è semplicemente uno dei tanti preti che - con il lavoro che faccio - mi è capitato di incontrare. Lui è stato nella mia parrocchia per dodici anni, era il prete dell'oratorio negli anni del mio passaggio dall'adolescenza all'età adulta. Lo avevo rivisto appena un mese fa, ascoltando da lui parole molto belle...
E allora la domanda è sempre quella: come è possibile che un prete così, un uomo dalla spiritualità forte, cada in questa maniera?...
Mi dico: che cosa possiamo fare perché non vada a finire così? Certo, il male è all'opera. Ma se il nostro compito è lottare contro il male, non possiamo accettare situazioni del genere come una fatalità.
A questo punto balbetto proprio, perché il tema è più grande di me. Ma questo problema delle vite parallele di troppi preti, di un'umanità che non trova un equilibrio nel ministero sacerdotale, è un macigno rispetto alla nostra testimonianza. Aiutiamoli a diventare e a restare uomini prima ancora che preti. E, vi prego, di tutto questo cominciamo a parlare davvero. (Giorgio Bernardelli)


Gino Rigoldi: punire chi commette reati, ma riflettere sulla solitudine dei preti
«L'inchiesta giudiziaria è in corso e se un uomo commette un reato è naturalmente giusto che risponda del suo comportamento scontando una condanna e una pena. Senza scuse, senza se e senza ma, con la massima chiarezza. Detto questo...»: comincia così, don Gino Rigoldi, la sua riflessione sull'amico e collega don Alberto Barin. Il primo è il cappellano del carcere minorile Beccaria, da decenni conosciuto in tutta Italia per il suo impegno sociale accanto agli ultimi. Il secondo è il cappellano (ormai ex) di San Vittore, altrettanto impegnato su analoghi fronti ma sconosciuto ai più sino all'altro ieri: quando la notorietà gli è piovuta addosso con l'arresto e le accuse aggravate di violenza sessuale nonché concussione nei confronti di almeno sei detenuti.
«Ecco, detto questo - prosegue don Rigoldi - vorrei solo che questa vicenda fosse guardata con la pietà che tutte le storie umane meritano. Perché è una storia che parla soprattutto di solitudine. In primo luogo quella delle vittime, certo, e in questo caso dei detenuti: forse le persone più sole della terra, per la loro stessa condizione. Ma qui c'è anche, vorrei dire, il problema della solitudine dei preti. Che hanno le stesse debolezze, tentazioni, fragilità di ogni altro essere umano: con l'aggravante di non poter contare, spesso, su nessuno a cui appoggiarsi quando ne hai bisogno davvero. Conosco don Alberto. Non so cosa abbia fatto e ripeto: se ha commesso dei reati ne risponderà. Ma dico pure che nessun luogo come il carcere è capace di tirar fuori le debolezze personali anche più misere». Continua: «Non è un'attenuante, è ovvio. Il cappellano sta lì in galera appunto per darlo, il conforto, non per chiederlo. Tuttavia gli sbagli, anche i peggiori, li possiamo fare tutti. L'importante è che questi non devono cancellare il bene che uno compie. E anche don Alberto, insieme con i suoi eventuali sbagli, di bene a San Vittore ne ha fatto molto. Quando mi sarà consentito andrò a trovarlo a Bollate. Penso che ne avrà bisogno»...