"Un cuore che ascolta - lev shomea"
"Concedi al tuo servo un cuore docile,
perché sappia rendere giustizia al tuo popolo
e sappia distinguere il bene dal male" (1Re 3,9)
La correzione fraterna è la più alta espressione della Misericordia del Padre, che diviene carne nella vita personale e comunitaria dei discepoli. Non si tratta di un giudizio di condanna, ma è il segno di un amore grande che desidera guadagnare il fratello alla salvezza osando ogni possibile via, perché egli possa riconoscere il suo errore e ravvedersi ristabilendo la fraternità ferita dal suo peccato. Correggere significa fare Verità nella vita del fratello nella più grande Carità, significa insistere senza mai stancarsi «in maniera opportuna e inopportuna» (2Tim 4,2), anche quando il fratello «fa finta di non sentire» (18,17) e la sua vita somiglia più a quella di un pagano. Trattare uno come un pagano e un peccatore non significa escluderlo dalla vita; egli è, invece, da amare maggiormente, perché possa essere riguadagnato alla vita inserendolo nel cuore stesso dell'evangelizzazione. La Chiesa tutta, non il solo Pietro, sa di avere ricevuto la stessa responsabilità del suo Maestro (16,19), quella cioè di condurre tutti alla salvezza, e la deve usare allo stesso modo di Gesù, amando e perdonando come lei stessa è amata e perdonata: sempre e comunque.
perché sappia rendere giustizia al tuo popolo
e sappia distinguere il bene dal male" (1Re 3,9)
Traccia di riflessione sul Vangelo
a cura di Santino Coppolino
XXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)
Vangelo:
La correzione fraterna è la più alta espressione della Misericordia del Padre, che diviene carne nella vita personale e comunitaria dei discepoli. Non si tratta di un giudizio di condanna, ma è il segno di un amore grande che desidera guadagnare il fratello alla salvezza osando ogni possibile via, perché egli possa riconoscere il suo errore e ravvedersi ristabilendo la fraternità ferita dal suo peccato. Correggere significa fare Verità nella vita del fratello nella più grande Carità, significa insistere senza mai stancarsi «in maniera opportuna e inopportuna» (2Tim 4,2), anche quando il fratello «fa finta di non sentire» (18,17) e la sua vita somiglia più a quella di un pagano. Trattare uno come un pagano e un peccatore non significa escluderlo dalla vita; egli è, invece, da amare maggiormente, perché possa essere riguadagnato alla vita inserendolo nel cuore stesso dell'evangelizzazione. La Chiesa tutta, non il solo Pietro, sa di avere ricevuto la stessa responsabilità del suo Maestro (16,19), quella cioè di condurre tutti alla salvezza, e la deve usare allo stesso modo di Gesù, amando e perdonando come lei stessa è amata e perdonata: sempre e comunque.