"La pesca" uno spot pubblicitario che sta facendo discutere
Le riflessioni di uno psicologo (Alberto Pellai)
e di un teologo (Andrea Grillo)
È un filmato che colpisce dritto al cuore. A molti non piace perché costringe gli adulti a riconoscere che nessun bambino è felice quando due genitori si separano e, anche nelle migliori situazioni, c’è sempre un dolore profondo che abita il suo mondo interiore. Il gesto di donare la pesca racconta questa sofferenza inespressa e il desiderio di riallineare l’intesa tra due genitori che non sono più coniugi
All’ipermercato, la mamma perde di vista la bambina di circa 10 anni. La ritrova al reparto ortofrutta: stava cercando una pesca. “Se vuoi una pesca me lo dici”: la mamma fa capire alla figlia che non si scompare dalla vista e dal controllo genitoriale in un luogo dispersivo e affollato.
Le emozioni della mamma sono tutte visibili e anche ben esplicitate dalle sue parole. Quelle della bambina restano invisibili. Quel gesto apparentemente trasgressivo e fuori dalle regole, nasconde un bisogno che la bambina non sa raccontare a parole. Mamma e papà infatti sono separati. Lei vuole donare quella pesca a papà, quando lui la verrà a prendere e dirgli che è stata la mamma a sceglierla per lui e a volergliela far avere tramite la consegna da parte sua.
La pesca racconta un bisogno grande della bambina che lei non sa o non può raccontare a parole. Simboleggia il desiderio di riallineare l’intesa tra due genitori che non possono essere più coniugi. E’ un simbolo di mediazione famigliare, quella che dovrebbero fare i genitori a favore dei figli, ma che spesso vede i figli impegnati in un compito che ai loro genitori riesce difficile. Non sappiamo quasi nulla di questa famiglia, nel breve tempo di questo spot.
Vediamo una storia che ci tocca il cuore perché ci fa capire quante cose ci sono nei gesti e nei silenzi dei bambini e dei figli. E’ decisamente una narrazione “perturbante” quella proposta da questa pubblicità. Non permette agli adulti di rimanere in una finta “comfort zone”, non nasconde verità che – chi lavora con coppie che si separano – conosce benissimo e maneggia nella propria pratica professionale ogni giorno. Potremmo dire che il messaggio dello spot colpisce al centro del cuore: c’è un dolore profondo che abita il mondo interiore di un bambino quando mamma e papà si separano.
E’ un dolore che viene attraversato e gestito attraverso fantasie di riappacificazione, gesti maldestri che vorrebbero rimettere insieme ciò che il principio di realtà ha diviso. Non è colpa dei bambini faticare a comprendere i motivi per cui due genitori si lasciano. E’ una conseguenza inevitabile dovuta al frantumarsi di quel senso di protezione e sicurezza che ogni separazione coniugale porta con sé nella vita dei figli, quando essi sono presenti e coinvolti dalla fine della storia d’amore di chi li ha messi al mondo.
SPOT ESSELUNGA "LA PESCA", PERCHÉ SE NE DISCUTE
Questo spot è stato molto criticato. Alcuni dicono che colpevolizza i genitori che si separano. Che narra qualcosa che ha il potere di aggiungere dolore ad un dolore che già c’è e che quindi non ha bisogno di essere amplificato. Io invece penso che questo spot ci dia fastidio perché ci obbliga a comprendere che quella libertà che giustamente noi adulti possiamo agire e gestire nella nostra vita ha inevitabilmente della conseguenze sulle vite di coloro che dipendono da noi.
Non c’è separazione di coppia che non porti dolore nella vita di un figlio. Quel dolore lì, ovvero quello dei figli, molti genitori preferirebbero non vederlo. Addirittura non pensarlo. “Dottore noi ci separeremo, ma non faremo soffrire i nostri figli”. Accade spesso, nello studio del terapeuta, che una coppia che sta dividendo dica questa frase. In questi casi, noi terapeuti dobbiamo aiutare quei due adulti a riformulare questa frase in un modo completamente diverso: «Vi separerete e la vostra separazione porterà molto dolore nella vita della vostra famiglia.
Ma se manterrete alta l’alleanza genitoriale e lavorerete in squadra, insegnerete ai vostri figli che alcuni dolori nella vita non si possono evitare. Però si possono attraversare, elaborare e superare. Non è un’impresa facile e voi dovrete essere capitani coraggiosi dentro una tempesta che dovrete imparare ad addomesticare». Anche nelle migliori separazioni, i figli fanno vivere ai genitori attimi di tempesta.
La pesca che la bambina dona al suo papà, dicendo che gliel’ha data la mamma, è un’onda che arriva e travolge noi adulti perché ci mostra che nessun bambino è mai felice quando due genitori si separano. E questa è l’unica verità di cui dobbiamo diventare consapevoli. Questo spot ce la racconta. E ce la racconta bene. Non stigmatizza, non condanna, non colpevolizza. al contrario fa ciò di cui tutti i bambini hanno bisogno quando due genitori si separano: responsabilizza gli adulti. Forse per questo è così divisiva e perturbante.
(fonte: Famiglia Cristiana 27/09/2023)
Guarda il video dello spot "La pesca"
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Andrea Grillo
Pesca simbolica, pesca diabolica
Fa discutere uno spot pubblicitario in cui una bambina, in compagnia della mamma, compra una pesca in un supermercato, poi la nasconde nel suo zaino e quando il papà (evidentemente separato dalla mamma) va a prenderla a casa della mamma, la piccola dona al papà la pesca, presentandola come un regalo della mamma.
Lo spot è girato con grande finezza e si presenta in una versione lunga e in una più breve. È chiaro che si tratta dell’inizio di una campagna pubblicitaria, allo scopo di promuovere il buon nome della catena di supermercati. Cerchiamo di capire bene le due funzioni simboliche che stanno al centro del racconto.
La finzione simbolica visibile: la pesca donata
La pesca intorno a cui ruota il racconto è l’oggetto di una elaborazione simbolica della bambina che vive la separazione tra il papà e la mamma. Va a comprare la pesca insieme alla mamma, ma poi la dona al papà come regalo che attribuisce alla mamma. La bambina ricostruisce la relazione tra genitori assumendo la pesca come forma e orizzonte di riconciliazione. Una unione tra i genitori torna ad essere possibile nella pesca donata, che riapre il rapporto di dono tra la mamma e il papà. Il modo con cui è presentata la storia è tutto nel gioco di sguardi tra la bambina, la pesca, la madre e il padre: piccolo capolavoro di regia cinematografica. Il desiderio della bambina trasforma la pesca nel simbolo della famiglia ferita che aspira alla riconciliazione e la realizza nella pesca donata. È la finzione simbolica visibile.
La finzione diabolica invisibile: la dipendenza affettiva della fidelizzazione al supermercato
Uno spot pubblicitario non contiene mai soltanto una dimensione comunicativa, ma sempre almeno due: la finzione simbolica invisibile è quella che associa tutta la scena ad una catena di supermercati e che sostituisce la relazione desiderata e irresistibile con un bene o con un servizio. Questo modo di comunicare crea un livello nascosto di comunicazione, che funziona diabolicamente, ossia separa il soggetto dalla propria identità, creando una identificazione fittizia. Mentre la finzione simbolica costruisce relazioni reali, dà forma a speranze fondate, la finzione diabolica separa dalle relazioni reali e costruisce mondi fittizi, divisi e in conflitto. Lo spot pubblicitario si fonda su questo doppio livello di comunicazione e genera per lo più identità distorte, perché scambia ad arte l’interesse con il disinteresse, il profitto con la gratuità. Con lo spot pubblicitario si vende la famiglia felice come un biscotto o come una pasta, si vende il fascino personale come uno shampoo, si vende il riscatto come una gomma da masticare, si vende la salute dell’anima e il perdono del peccato come un’acqua minerale.
Come difendersi dall’uso diabolico dei simboli?
L’unico modo per “difendersi” da questo uso distorto dei valori più alti, in contesti che sono soltanto commerciali, è di “smascherare” il simbolo diabolico nascosto. Se riesci a portare a coscienza a quale scopo la storia toccante ti viene raccontata, ti salvi dalla “dipendenza di fidelizzazione” e forse non metti più piede in quel supermercato, che usa violentemente un simbolo delicato di desiderio, di sofferenza e di speranza, solo per far soldi.
Nel suo viaggio negli Stati Uniti papa Francesco, incontrando il vescovi nel seminario San Carlo di Filadelfia, ha fatto un paragone tra il negozietto di quartiere e i centri commerciali, come “mondi diversi”, basati su relazioni o su assenza di relazioni, nei quali è possibile essere spirituali. La pesca si può simbolizzare tanto nel negozietto quanto nel centro commerciale. Certo potrebbe sorprenderci il fatto che la spersonalizzazione, che attenta ai legami, tipica di un supermercato, possa capovolgersi nella ricerca della riconciliazione e nella ripresa dei legami. La nostalgia dei legami forti, spacciata come verità di uno dei luoghi di più alta spersonalizzazione, come il supermercato! La pesca simbolica ci libera alla vita buona; la pesca diabolica ci illude che sia un supermercato a garantirci la libertà, e così ci rende schiavi. Forse imparando a guardare con occhio lungimirante la storia di questa bambina ci prenderemo a cuore le forme di vita, ma capiremo anche a quale livello di cinismo può arrivare la logica del profitto. Forse ne trarremo la conseguenza di non mettere mai più piede in quel supermercato, che usa i migliori sentimenti per attirare soltanto il portafoglio delle persone. Solo così una pesca matura, come la slitta Rosebud, resiste alla cattura potente da parte della macchina senza cuore della comunicazione commerciale.
(fonte: Come se non 27/09/2023)