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venerdì 15 settembre 2023

Il lascito di don Pino Puglisi al mondo della Chiesa

Il lascito di don Pino Puglisi al mondo della Chiesa

Il 15 settembre il trentennale dell’omicidio del parroco palermitano, ucciso a causa del suo impegno per la legalità


Dal 1970/1971 al 1992/1993: quasi 25 anni di stragi e delitti di mafia, dalla scomparsa del giornalista Mauro De Mauro e dell’uccisione del procuratore Pietro Scaglione a Falcone, Borsellino e agli attentati di Firenze, Roma e Milano. Commemorazioni che culminano a settembre con le cerimonie per Carlo Alberto Dalla Chiesa, il giudice Cesare Terranova e don Pino Puglisi, del quale ricorrono i trent’anni del martirio. Un anniversario che si preannuncia emblematico e per molti versi rivoluzionario quello del parroco palermitano ucciso alla mafia.

Don Pino è infatti un martire da venerare e un eroe civile

Un esempio da seguire. Per don Pino Puglisi i tre decenni trascorsi dalla sera dell’agguato mortale compiuto il 15 settembre 1993 da due sicari della cosca mafiosa capeggiata dai fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, non solo non sono stati scalfiti dall’oblio e dalla retorica ma anzi sono lievitati fino a trasformarsi in dirompenti termini di paragone fra l’incisività missionaria di Don Pino e quel che è rimasto della sua eredità spirituale.

Sulla scia dell’anatema di Papa Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi di Agrigento contro i padrini di Cosa nostra (“Convertitevi! Un giorno verrà il giudizio di Dio”) il parroco non perdeva occasione per ricordare ai fedeli che alla mafia c’era eccome un’alternativa. Che la sopraffazione non si poteva accettare. Che occorreva ribellarsi. E soprattutto insegnava carità e legalità ai figli dei mafiosi alunni delle elementari della borgata di Brancaccio. Diametralmente all’opposto dell’intento criminale di mettere a tacere la voce della coscienza cristiana, l’uccisione di 3P, come veniva affettuosamente chiamato padre Pino Puglisi, ha invece segnato la maledizione dei godfather brothers, i fratelli padrini Graviano e dell’intera mafia.

All’arresto dei due boss fino allora latitanti di lusso fra Venezia, Milano e il lago di Garda è seguito infatti il clamoroso pentimento dei killer del sacerdote, Salvatore Grigoli e Gaspare Spatuzza, che hanno rivelato l’intera trama di connivenze politico affaristiche e delineato la strategia terroristica delle stragi di Capaci e via D’Amelio e delle bombe dell’estate del 1993. Una maledizione che con le morti in carcere dei capi dei capi Totò Riina e Bernardo Provenzano e la recente cattura di Matteo Messina Denaro sembra aver concretizzato l’implicita profezia della fine della mafia degli anni Ottanta, prospettata dal Pontefice polacco e ribadita di recente da Papa Francesco. Un sipario che incombe anche sull’ipotetico ed epocale miracolo al limite dell’impossibile che potrebbe essere attribuito al Beato Puglisi: l’eventuale pentimento dei Graviano i quali, poco più che sessantenni, restano in bilico fra la scelta di marcire in carcere per il resto delle loro esistenze e la possibilità di seguire in qualche modo da vicino l’adolescenza dei loro figli.

Cause ed effetti che visti dalla parte della Chiesa rappresentano il punto di partenza della doppia scossa dell’anatema di Wojtyla e dell’assassinio di Padre Puglisi, che ha mobilitato per oltre un decennio le Diocesi siciliane allora guidate dall’Arcivescovo di Palermo, cardinale Salvatore Pappalardo, già precursore fin dai tempi del maxiprocesso di omelie di denuncia e di scomuniche nei confronti di cosa nostra. Da allora la spinta antimafia e soprattutto la presenza missionaria della chiesa siciliana nelle periferie sembra essersi però complessivamente arenata.

Lo hanno denunciato anche due sacerdoti di frontiera di Palermo, don Cosimo Scordato e padre Francesco Romano che, alla vigilia del Sinodo universale dei Vescovi che si terrà a ottobre, in un libro di imminente pubblicazione tracciano un dirompente confronto fra l’attualità ecclesiale e l’esempio di Padre Puglisi. Radiografando fede e malafede i due sacerdoti affrontano temi scottanti, come il ruolo paritario che nella Chiesa andrebbe riconosciuto alle donne, il celibato, e puntano il dito contro gli episcopati spesso burocratici, distanti dai fedeli e invece contigui al potere politico. Un’analisi con lo sguardo rivolto soprattutto alla chiesa del futuro. Che è in sostanza quella profetizzata da Padre Puglisi. Una Chiesa incentrata su valori trascendentali e diritti universali, ma calata nella realtà e non ridotta a custode di incommensurabili patrimoni artistici e monumentali ed all’utilizzazione di basiliche e parrocchie soltanto per battesimi, matrimoni e funerali. “Se non vogliamo ridurre don Pino Puglisi a un santino – ha detto don Franco Romano – bisogna uscire dal chiuso delle Sacrestie e confrontarci con la modernità”.

“Quelli di Padre Puglisi sono valori antidoto all’insulso individualismo e alle ingiustizie” ha ricordato il presidente della Cei, cardinale Matteo Zuppi, che non a caso presiederà nella Cattedrale normanna di Palermo la solenne concelebrazione commemorativa dell’anniversario del martirio del Beato Puglisi. Cerimonia in cui è attesa la significativa presenza del Capo dello Stato Sergio Mattarella. Un intervento diretto, quello di Zuppi, che oltre a rivelare l’attenzione del Vaticano, assume il valore di incoraggiamento e sostegno alla Chiesa siciliana affinché rilanci lo spirito di Padre Pino Puglisi.

“Altro che uomini d’onore, come amano definirsi: i mafiosi sono dei vigliacchi! La Chiesa deve e può fare molto per combattere la mafia” ha recentemente affermato il presidente della Conferenza episcopale italiana, testimone di una Chiesa in cui contano nuovamente più gli esempi che le parole.
(fonte: Quotidiano di Sicilia, articolo di Gianfranco D'Anna 05/09/2023)

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