La difesa dei confini
Cari amici,
il Consiglio dei ministri di lunedì scorso ha inserito nel decreto-legge per gli aiuti al Mezzogiorno nuove norme di contrasto all’immigrazione, ciò che nel linguaggio di Giorgia Meloni significa “la difesa dei confini”. Finora si intendeva come difesa dei confini il contrasto alle invasioni armate. Ma i profughi non sbarcano sulle nostre coste facendosi ragione con le armi, quindi non si possono mandare le Frecce Tricolori a bombardare i barchini, né fare con le navi da guerra il blocco navale, né spedire la Folgore per sbarrare i porti né si possono schierare i carri armati Ariete e Leopard sulla spiaggia dell’isola dei Conigli a Lampedusa, dove a sbarcare sono le tartarughe che vengono a deporvi le uova. Sicché, venuta meno la difesa avanzata dei confini, il governo ha deciso una difesa arretrata decretando l’istituzione in tutte le regioni, di concerto con il ministro della Difesa, di centri di detenzione che dovranno essere messi “in località scarsamente popolate”, facili a delimitare e “facilmente sorvegliabili”, cioè in prigioni o lager dove i reclusi potranno essere ristretti fino a un anno e mezzo, prima dell’espulsione. C’è però un problema, che si è posto il prefetto di Agrigento dopo che due o trecento profughi erano scappati dal centro di Porto Empedocle per cercare cibo ed acqua nella città vicina; poiché tecnicamente gli evasi non erano in stato di detenzione, si è chiesto il prefetto, come faccio a riacchiapparli? E così si scopre che è stata istituita una nuova figura giuridica, quella di detenuti con diritto di fuga, salvo ad essere poi riacciuffati dalla polizia, se no si disperdono nel territorio.
Che cosa si intende quindi per “difesa dei confini”? L’immagine più rappresentativa è quella che la Stampa ha definito “un video-choc”, della polizia francese che aggredisce una famiglia ivoriana con donna incinta e un bambino in braccio al padre sul treno Cuneo-Ventimiglia per farli scendere alla stazione di Breil. Altri modi di difendere i confini sono quelli della polizia di frontiera francese che respinge ed espelle decine di minori non accompagnati falsificandone perfino i dati anagrafici per spacciarli come maggiorenni.
Ma poi c’è l’invenzione della Meloni e della Von der Meyen di dare soldi in cambio di migranti al presidente tunisino, e di fare accordi per ricollocare i profughi comunque sbarcati in Europa nei lager libici o ributtarli nel deserto del Sahara; e queste sono due donne che orgogliosamente rivendicano di essere madri, la Meloni se ne gloria in spagnolo (“yo soi madre”), la Von der Meyen ha sette figli tra cui due gemelle: esse giustamente difendono la natalità e la famiglia, ma la loro, non quella delle altre. C’è poi da dire che le nuove misure decretate in Italia dal governo hanno anche un sapore razzista perché destinate a colpire soprattutto profughi di pelle scura, e bisogna stare attenti a questo in tempi in cui in Europa ci si scambia accuse di nazismo.
Ma se la risposta alla tragedia dei migranti viene iscritta nel capitolo della difesa dei confini, è proprio l’istituto dei confini, celebrati finora come sacri e inviolabili, che bisogna riformare. Finora la riforma è stata quella di liberalizzare e aprire le frontiere alle ricchezze e alle merci, ma non alle persone; ora si tratta di destinare i confini non a circondare territori chiusi e presidiati da sovrani l’un contro l’altro armati, che si sbranano tra loro come oggi accade, ma a delimitare dei grandi spazi giuridici, degli ordinamenti comunicanti tra loro, dotati di legislazioni specifiche ma subordinate a un costituzionalismo di diritti e di garanzie fondamentali a tutti comune. In questo quadro, la libertà di movimento dovrebbe essere riconosciuta come un diritto fondamentale tra questi spazi giuridici aperti. E per evitare migrazioni di massa occorrerebbe una bonifica dei rapporti economici tra gli Stati, compreso il debito, in prospettiva mondiale. A vigilare sulla sicurezza dei confini dovrebbero essere eserciti anche nazionali, ma nella forma dei caschi blu come sono previsti dal capitolo VII dello Statuto dell’Onu. A questo compito è chiamata la politica, e a proporlo come nuovo modello per il mondo può essere un grande soggetto politico: e proprio questo dovrebbe essere l’Europa, se si converte, e proprio questo è il cimento a cui essa dovrebbe essere chiamata nella prossima competizione europea.
Non è la sostituzione etnica che si dovrebbe temere, ma piuttosto la catastrofe etica dei valori universalisti dell’Europa e dell’Occidente.
Con i più cordiali saluti,
Raniero La Valle
(fonte: Newsletter n.132 del 20 settembre 2023 in www.chiesadituttichiesadeipoveri.it)
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Il nemico è ai porti
I migranti sono nemici invasori, di conseguenza li affrontiamo con il codice militare. Gli atti di legge hanno una loro eloquenza e adesso che finalmente conosciamo il decreto anticipato dal video «dissuasore» di Meloni, scopriamo che interviene su una vecchia norma che regola la costruzione dei forti, delle basi, delle caserme e dei poligoni. D’ora in poi quelle regole straordinarie saranno valide anche per acquartierare i migranti e chissà se solo loro. Perché nel testo di legge la parola che va ad affiancare «difesa» è quella passepartout: «Sicurezza». Oggi la minacciano gli africani, per esempio quella bambina che ci hanno fatto vedere in braccio a un carabiniere di Lampedusa, domani chi può dire. Magari nemici interni.
Le nuove norme di edilizia migratoria sono state infilate in un decreto che si occupa del Mezzogiorno, è bastato allungarne il nome. Nessuno ha avvertito il parlamento che così lo ha affidato alla commissione bilancio. I deputati votando sulle tasse decideranno anche delle libertà personali, che volete che sia. Prova migliore della eterogeneità di questo decreto non c’è, dunque non poteva essere emanato. Il fatto poi che sia il terzo sullo stesso tema dimostra che nemmeno c’era l’urgenza. Ma il governo se non si decreta addosso non sa che fare. A parte i video.
Nei campi militari non si capisce ancora chi dovrà andare. Se costituzioni e convenzioni internazionali valessero ancora, non certo chi chiede asilo. Senza di loro, però, resterebbero semivuoti e si sa che una volta costruito un carcere si riempie. Quanto ai migranti che si vorrebbe rimpatriare, in Italia hanno già otto centri dove essere richiusi. Posti terrificanti dove si va avanti a psicofarmaci e mazzate. I nuovi, costruiti dall’esercito in tutta fretta e con venti milioni in tutto (a proposito, stiamo aumentando le spese militari) potranno solo essere peggiori, oltre che far durare più a lungo la detenzione.
Sappiamo che prolungare questa galera abusiva non servirà a rendere più facili i rimpatri che, quando ci sono le condizioni, raramente, si fanno subito. Forse il governo spera che questa edilizia di guerra serva a spaventare chi parte: adesso ha la promessa di finire nei guai. Un «porto sicuro» dove sicuramente si starà malissimo, un po’ l’effetto dissuasore che ha cercato la presidente del Consiglio con il suo video. Meloni però su questo terreno deve battere la concorrenza di fame, devastazioni climatiche e torture. Deve impegnarsi di più, ma non diamole idee.
(fonte: Il Manifesto, editoriale di Andrea Fabozzi 21/09/2023)
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