Dalla parte degli scartati
Teresa Forcades,
monaca benedettina spagnola
Intervista di Ritanna Armeni
Pubblicata su "L'Osservatore Romano" - 02.09.2023
#sistersproject
Teresa Forcades, nata a Barcellona, è monaca benedettina nel monastero di Monserrat in Catalogna, teologa, medico, attivista sociale, fondatrice del movimento politico Process costituent in Catalunya.
Come vede la Chiesa di oggi? Una chiesa “dei” margini, cioè che porta, o tenta di portare, al centro della sua attenzione coloro che sono estromessi dal potere e della ricchezza; o una Chiesa “ai” margini, cioè una istituzione che almeno nella parte di mondo europeo e occidentale non riesce più a incidere con i suoi insegnamenti e i suoi valori?
Entrambe le possibilità sono vere: la Chiesa è "dei" margini ed è "ai" margini. Dall'elezione di Papa Francesco, è chiaro che le periferie ricevono la sua attenzione privilegiata. Il suo modo di parlare degli "scartati" aiuta a capire che la povertà ha cause strutturali che dipendono dal sistema capitalistico. Povero non è la stessa cosa di scartato. Direi che "povero" è una categoria neutra e che "scartato" implica una critica sociale: scartato da chi, con quali criteri, per quale scopo? Il sistema capitalista riduce il valore dell'uomo a merce e scarta le merci che non gli servono. La Chiesa cattolica oggi promuove la coscienza sociale su questo punto. La lettera dell'Amazzonia ha dei passaggi forti in questo senso, così come Fratelli Tutti. L'anno scorso ho avuto l'opportunità di partecipare a un progetto del Dicastero per lo Sviluppo Umano Integrale intitolato Fare teologia dalle periferie esistenziali. Ha coinvolto 40 città nei cinque continenti e sono state intervistate più di 500 persone che abitualmente vivono nelle periferie, non con l'intento di ascoltare ciò che manca loro, ma con l'obiettivo di ascoltare ciò che possono contribuire, in questo caso alla teologia. I risultati di questo progetto sono disponibili su https://migrants-refugees.va/it/theology-from-the-peripheries/. A livello locale, è evidente che organizzazioni come Caritas Diocesana, Manos Unidas, Jesuit Refugee Service e molte altre sono sempre più attive e presenti.
Parallelamente, è anche vero che in Europa il cattolicesimo è passato dall'essere sociologicamente dominante a essere una minoranza e in pratica chiaramente marginale. La maggior parte degli europei non sono cattolici e la maggior parte di coloro che sono cattolici vivono l'appartenenza alla Chiesa come qualcosa di marginale nella loro vita, come una realtà che non influisce molto sulle loro decisioni, sia a livello morale (rapporti sessuali al di fuori del matrimonio, contraccezione, matrimonio omosessuale, divorzio) sia a livello socio-economico (quali attività o lavori svolgere o sostenere). Il cattolicesimo è in crescita in Africa e in Asia, ma in entrambi i continenti è quantitativamente marginale. Non lo è dal punto di vista qualitativo, in quanto rappresenta un importante legame con l'Europa e la cultura occidentale.
Che cosa dovrebbe fare la Chiesa per avvicinare gli estromessi della terra al centro, per renderli protagonisti della vita del mondo e della fede? Crede che il pontificato di Francesco sia andato in questa direzione?
Sostenere e, se del caso, promuovere gli uomini e le donne di Chiesa che operano nelle periferie, dare priorità agli interessi degli emarginati e dare voce alle loro preoccupazioni e ai loro bisogni, rappresentarli nelle organizzazioni internazionali. Sì, credo che Papa Francesco stia lavorando in questa direzione e che lo stia facendo in modo aperto, cioè non per promuovere l'istituzione ecclesiale, ma con l'obiettivo di aiutare davvero gli scartati.
Parliamo della Chiesa “ai” margini: in grandi paesi europei vive una crisi profonda, penso a Francia e Germania. Quali sono i motivi? Dove stanno le responsabilità?
Da un lato, la paura del cambiamento e della modernità, la dissociazione tra il magistero e la pratica dei cattolici in materia di morale sessuale, il sessismo ecclesiale, l'omofobia, lo scandalo degli abusi sessuali; dall'altro, il clericalismo e la mancata conservazione della visione sacramentale del mondo che gli conferisce bellezza e mistero. Al di là di questo, credo che il problema principale della Chiesa cattolica sia la perdita del profetismo: la connivenza con i poteri mondani, il fatto che non si sia opposta al fascismo come al comunismo, il fatto che non abbia sostenuto la lotta per la giustizia sociale in America Latina o la lotta per l'uguaglianza delle donne o la lotta dei lavoratori per un trattamento dignitoso. Molte persone nella Chiesa hanno sostenuto queste cause fino a dare la vita, ma non la maggioranza, né la grande maggioranza dei gerarchi della Chiesa. La responsabilità è di tutti i cattolici che non l'hanno fatto, ciascuno al proprio posto. Come dice San Paolo, ognuno deve fare il bene come lo intende. Lo facciamo?
Se parliamo di margini non possiamo non tener conto della esclusione femminile nella Chiesa. Non penso solo al sacerdozio - anche se è un problema che si pone in varie parti del mondo - ma alla presenza e all’influenza delle donne. Qualcosa è cambiato? E che cosa possono fare le donne della Chiesa oggi per superare le tante forme di esclusione e di estromissione cui sono sottoposte?
Il cambiamento più evidente e positivo sta avvenendo nel governo della Chiesa, nella curia: per la prima volta ci sono donne in posizioni di potere anche al di sopra dei vescovi. La riforma della curia del marzo 2022 dà una base giuridica a queste posizioni, finora esercitate nell'ombra, e riconosce per la prima volta nella storia la capacità delle donne di esercitare il governo centrale della Chiesa. L'esercizio del governo locale era già riconosciuto nella Chiesa primitiva e anche in quella medievale (ad esempio, le badesse mitrate avevano la giurisdizione ecclesiastica sui territori appartenenti alla loro abbazia, che potevano essere molto estesi). Apprezzo anche il fatto che il documento di lavoro (instrumentum laboris) pubblicato per il Sinodo includa il tema dell'ordinazione delle donne al diaconato. E considero anche positivo per le donne in generale che il Sinodo prenda in considerazione la sospensione del celibato obbligatorio.
Lei è una suora e conosce il grande processo di rinnovamento che ha investito in questi anni il mondo religioso femminile. Crede che sia stato sufficientemente riconosciuto? Crede che si possa parlare oggi di fuoriuscita delle suore dalla marginalità che viene loro attribuita?
Non credo si possa dire che in generale il mondo religioso femminile sia diventato più visibile. Al contrario, visto che nelle grandi capitali stanno scomparendo le grandi scuole cattoliche femminili. In queste scuole le suore educavano le figlie dell'élite e in molti casi svolgevano anche un interessante lavoro sociale. Anche i grandi monasteri femminili di tradizione millenaria stanno scomparendo. In Europa e negli Stati Uniti, le monache sono meno (molto meno!) e meno influenti. A parte questa realtà generale, ci sono monache che si distinguono come teologhe (ad esempio Elisabeth Johnson e Margaret Farley, negli Stati Uniti), guide spirituali (Joan Chittister, anche lei negli Usa) o portavoce dei diritti delle donne e della riforma della Chiesa (Philippa Rath, in Germania) ed è anche vero che la consapevolezza di sé delle monache è cambiata. Al di là delle figure singolari, è vero che le monache sono più consapevoli delle dinamiche di potere intra ed extra-ecclesiali, più consapevoli dello scandalo del sessismo e del clericalismo, meno disposte a promuoverlo, sostenerlo o tollerarlo.